Trib. Pesaro- Coll. Penale- ord. Pres.- Estensore Marinelli

Oggetto: istanza di sequestro preventivo penale- omesso pagamento IVA- requisiti

22/01/2016

Il Pubblico Ministero propone appello avverso l’ordinanza di rigetto del sequestro preventivo nei confronti della società e dell’indagato per omesso versamento IVA nell’anno d’imposta 2012; in detta ordinanza il GIP rileva che il 1° comma dell’art. 12 bis del D. lgs. n. 74/2000 recita:” nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444c.p.p. per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto od il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.” La disposizione prevede dunque, in primis, la confisca diretta del profitto o del prezzo del reato (salva l’appartenenza dei beni a terzi estranei), in subordine, qualora essa non sia possibile, la confisca per equivalente. Dopo un ampio excursus giurisprudenziale sul punto e sulla nozione di profitto il GIP richiama la sentenza n.10561/14 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 30/01/2014 depositata il 05/03/2014, secondo cui: “non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di somme di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato”… In altre parole, secondo le Sezioni Unite: “il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è legittimo, solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, ovvero, quando gli stessi non siano aggredibili per qualsiasi ragione…”In base al richiamo a detta decisione ed ai limiti della confisca “per equivalente” nei confronti della persona giuridica in materia tributaria ivi precisati, il Giudice ritiene che il sequestro preventivo così come richiesto dal P.M. presupponga necessariamente la preventiva individuazione dei beni riconducibili alla società od all’indagato nella sua qualità, di legale rappresentante, sia nel caso in cui la misura cautelare sia finalizzata alla confisca diretta del profitto o del prezzo del reato, sia alla confisca per equivalente. Chiara in questo senso anche la formulazione dell’art. 12 bis del Dlvo n. 74/2000, laddove prevede espressamente che la confisca non possa essere ordinata dal Giudice qualora i beni sequestrati appartengano ad un terzo estraneo al reato ( cfr. anche Corte di Cass. sez. Unite n. 11170 del 2015, Uniland). Nel caso di specie, il pubblico Ministero non ha indicato i beni direttamente riconducibili al profitto dei reati tributari in contestazione nel patrimonio della società o dell’indagato in qualità di legale rappresentante ed, in quanto tali, da sottoporre a sequestro preventivo, né ha fornito alcuna prova circa l’impossibilità di reperirli, ai fini della preventiva confisca diretta. L’appellante censura la decisione rilevando che ai fini della legittimità del decreto di sequestro, è sufficiente che il G.I.P. valuti se l’ammontare della somma che il P.M. chiede di potere aggredire sia corretta in relazione all’ipotesi di reato contestata. E che non è corretta l’interpretazione delle norme sopra enunciate se si ritenga che dalla loro applicazione discenda un dovere del P.M. di indicare nella sua richiesta i beni da sottoporre a sequestro, richiamando varie pronunce della Corte di legittimità relative al sequestro preventivo finalizzato alla confisca c.d. per equivalente, non avendo il Giudice l’obbligo d’individuare i singoli beni in quanto demandato all’esecuzione del provvedimento. Aggiunge il Pubblico Ministero che l’esecuzione del sequestro preventivo deve compiersi come “atto a sorpresa”. Ne consegue che qualunque tipo di attività investigativa preliminare finalizzata ad accertare la “consistenza patrimoniale” della società che ha tratto vantaggio dall’illecito fiscale ovvero dell’indagato, potrebbe determinare una possibilità che costui venga a conoscenza dell’interesse investigativo sul punto con il rischio che l’indagato venga informato dell’indagine patrimoniale e, siccome titolare di poteri gestori della società-essendone legale rappresentante- possa alienare ovvero “rimettere altrimenti al riparo” i beni ovvero i danari che devono essere aggrediti quale confisca diretta. Rileva da ultimo che l’indagato non rimane privo di tutela dinnanzi ad un’esecuzione di sequestro preventivo “malamente” curata dal P.M., poiché, per giurisprudenza ormai pacifica, costui potrà adire il Tribunale della Libertà il quale, in funzione di Giudice dell’esecuzione, potrà esaminare ogni aspetto della fase esecutiva. Nella respinta richiesta il P.M. precisa che conformemente al principio cui la Suprema Corte appare ormai orientata, in sede esecutiva si tenterà dapprima il c.d. “sequestro diretto” e poi quello c.d. per equivalente; nelle conclusioni si fa riferimento al c.d. sequestro diretto e, in subordine, al c.d. sequestro per equivalente; pertanto si chiede l’annullamento dell’ordinanza del G.I.P. 28/30/12/2015.La difesa chiede la conferma dell’ordinanza impugnata rilevando che in applicazione di quanto affermato dalle Sezioni Unite (30.01.2014 dep. 05.03.2014 Gubert) e dei principi di diritto enucleati nella motivazione, la ricerca preventiva del profitto impone l’individuazione dei beni ad esso relativi altrimenti vanificandosi la valutazione del G.I.P.; inoltre produce documentazione relativa a procedura concorsuale in atto della società alfa s.r.l. ed a richiesta di transazione fiscale ulteriormente ostativa all’accoglimento dell’istanza cautelare. La questione preliminare da esaminare è relativa all’ammissibilità o meno d una richiesta finalizzata al sequestro del profitto del reato priva d’indicazioni patrimoniali pertinenti al soggetto passivo riguardo ai beni che s’intendono sottrarre alla relativa disponibilità. Sul punto va osservato che la pronuncia delle Sezioni Unite (“Gubert n. 10561/2014), richiamata dal G.I.P. evidenzia che ”il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, sia pure transitoriamente, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili per qualsiasi ragione” nel contempo rilevando che è necessario tuttavia chiarire che, versandosi in materia di misura cautelare reale, non è possibile pretendere la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato, giacchè durante il tempo necessario per l’espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente, così vanificando ogni esigenza di cautela”. L’applicazione di detti principi non è pertanto compatibile con la richiesta di un vero e proprio accertamento per l’individuazione dei singoli beni rappresentativi del profitto quale presupposto della richiesta da parte del PM di un sequestro preventivo per equivalente Tuttavia detta sentenza esclude che il PM abbia una libera scelta tra il sequestro diretto ed il sequestro per equivalente, dato che il secondo potrà esperirsi solo nel caso d’impossibilità anche temporanea del primo. Va rilevato che la sostanziale differenza tra il sequestro diretto del profitto e quello per equivalente è costituita dal fatto che nel primo caso si sequestra ciò che costituisce un vantaggio direttamente riferibile al reato, nel senso che risulta pertinente allo stesso e che nei reati tributari può costituire come reiteratamente affermato, un risparmio di spesa, essendosi inoltre precisato che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall’art. 322 ter c.p., costituiscono “profitto” del reato anche gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa ed i beni in cui questo è trasformato, in quanto tali attività di impiego di trasformazione non possono impedire che venga sottoposto ad ablazione ciò che rappresenta l’obiettivo del reato posto in essere (Cass., sez. VI, N. 11918 DEL 14.11.2013, dep. il 12.03.2014, Rossi, rv. 262613). Mentre il cd. Sequestro per equivalente non richiede che si tratti di beni riferibili alla pericolosità del soggetto od al singolo reato coincidendo il periculum con la confiscabilità del bene (in termini SU citate). Se quindi, come lo stesso Pubblico Ministero ammette, il sequestro del profitto costituisce un atto che va esperito prima di quello per equivalente, lo stesso dovrà effettuare una verifica di quanto risulta dagli atti prima di chiedere la misura cautelare e cioè rilevare se vi siano dati dimostrativi della sequestrabilità diretta del bene che dovranno essere posti al vaglio del Giudice prima dell’esecuzione della misura cautelare, in quanto solo in questo modo vi sarà la possibilità di esaminare la fondatezza delle ragioni che non rendono possibile il sequestro diretto, oltre che di riscontrare la pertinenza del bene al reato contestato. Accanto al fumus vi dovrà essere una valutazione della situazione patrimoniale dell’ente che consenta al Giudice di accertare, seppure nei limiti di una verifica necessariamente sommaria propria della fase cautelare, la presenza diretta od indiretta del profitto del reato che, in caso negativo, legittimerà il sequestro per equivalente; non si ritiene conforme alla normativa di riferimento demandare detta verifica, come si evince dalla richiesta del Pubblico Ministero, alla fase esecutiva data la possibilità per l’interessato di attivare i meccanismi dell’impugnazione, in quanto l’adozione di una misura cautelare presuppone la valutazione ex ante delle relative condizioni di legittimità da parte del Giudice competente, limitandosi in caso contrario il relativo giudizio al solo fumus del reato ed escludendo la verifica dell’ulteriore elemento richiesto e cioè il profitto sia pure nei termini sommari propri della misura richiesta. Sul punto si richiama una recente decisione della Corte di legittimità secondo cui: “in tema di reati tributari, il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al Giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella “diretta”all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo od il profitto nelle casse della società o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta (Cass. sez. 3, n. 1738 del 11/11/2014, dep. 15.01.2015 Rv. 261929). Ed è stato ribadito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro, costituente il profitto del reato, può colpire sia la somma che s’identifica proprio in quella che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa sia la somma corrispondente al valore nominale ovunque sia stata rinvenuta e comunque sia stata investita (Cass. sez. 2, n. 14600 del 12.03.2014, Ber Branca spa, fattispecie relativa al sequestro preventivo di denaro. Titoli, valori, beni mobili, immobili ed altre utilità nella disponibilità di una banca, corrispondenti al prezzo del reato di “market abuse”, commesso dai legali rappresentanti della stessa). Nel caso di specie nella domanda del Pubblico Ministero difetta totalmente l’indicazione, sia pure sommaria della capienza patrimoniale dell’ente che ha tratto profitto dal reato tributario, risultando agli atti la mera denuncia formale del reato accertato ai sensi dell’art. 36 bis dpr 600/73; non vi è pertanto la possibilità per il GIP di valutare la disponibilità in capo all’ente del profitto del reato e cioè se sia reperibile presso la persona giuridica il profitto del reato essendosi rilevato che in tema di reati tributari commessi dai legali rappresentanti della persona giuridica, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto può essere disposto sui beni personali degli amministratori solo nell’ipotesi in cui il profitto (o i beni ad esso direttamente riconducibili) non sia più nella disponibilità della persona giuridica ( Cass. Sez. 3, n. 30486 del 28/05/2015, dep. 15/07/2015 Rv. 264392). Ne consegue la conferma del rigetto impugnato. PQM Visti gli artt. 310, 322 bis cpp RIGETTA l’appello proposto.

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