Trib. Ancona – Sez. spec. Imprese – ord. Est. Melucci

Società – Istanza Sospensione Delibera Assemblea – Onere di Comunicazione ad Amministratori e Sindaci – Omissione – Conseguenze – Difetto Fumus e Periculum – Reiezione – Fattispecie

26/11/2014

…” In via preliminare, deve rilevarsi che nessuna delle parti ha provveduto, per quanto consta, a comunicare ad amministratori e sindaci la proposizione dell’istanza di sospensione, al fine di consentire la loro audizione, come prescritto dall’art. 2378, comma 4, c.c., sicché si deve verificare quali siano le conseguenze di tale omissione. A tale riguardo deve, anzitutto, dichiararsi che l’onere di convocare i membri degli organi sociali non spetta alla parte ricorrente, che ha soltanto l’onere di notificare il ricorso e il decreto alla controparte, ma grava sulla società resistente (cfr. Trib. Firenze 1.10.2013), come chiaramente disponeva il previgente art. 24, comma 8, D. L.gs n. 5 del 2003. Ciò premesso, per quanto concerne le conseguenze della mancata comunicazione del ricorso ai soggetti predetti, si osserva che la dottrina dominante esprime l’orientamento per cui “in ogni caso è consentita la decisione cautelare quanto la società ometta di dare notizia ad amministratori e sindaci della richiesta di sospensione della delibera assembleare impugnata”. La tesi è senz’altro da condividere soprattutto perché la convocazione di amministratori e sindaci, nella norma in esame, non attiene all’integrità del contraddittorio (v. art. 102 c.p.c.), ma ha una chiara ed esclusiva funzione istruttoria, essendo destinata a fornire al giudice designato le maggiori informazioni possibili ai fini della decisione (cfr. sul punto Trib. Padova 14.7.2005). Del resto, una volta individuato nel convenuto il soggetto tenuto all’adempimento dell’obbligo di notificazione dell’istanza ad amministratori e sindaci, è agevole osservare, con autorevole dottrina, che sarebbe “irragionevole far dipendere l’effettività della tutela in cautela dell’opponente proprio dalla diligenza della parte convenuta, che fisiologicamente non ha un interesse prativo (men che giuridico) ad accelerare la pronuncia sull’istanza cautelare”. In definitiva, “il giudice può emanare ugualmente la decisione quando i soggetti di cui si discute sono assenti senza un giustificato impedimento rappresentato dalla società convenuta, ed anche in caso di colpevole omissione della comunicazione”, ferma restando l’obbligatorietà dell’audizione nel caso, non verificatosi nella specie, che amministratori e sindaci siano presenti all’udienza. La domanda cautelare va, dunque esaminata nel merito. 2- A tale riguardo, si premette che la sospensione dell’esecuzione della delibera impugnata presuppone, come ogni misura cautelare, il concorso del fumus boni iuris e del periculum, in relazione al quale è previsto che il giudice debba valutare comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la società dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione (v. art. 2378 c.c.). Nel caso in esame, il periculum allegato dai ricorrenti è rappresentato dalla “possibile estromissione della compagine di soc. X (v. ricorso pg. 23), quale effetto della mancata sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato. Dalle allegazioni dei ricorrenti, così espresse, deriva, anzitutto, che, in relazione alle altre delibere impugnate, ossia quelle in data 13.12.2013 e 30.4.2014 non ricorre alcuna situazione di periculum, e già determina l’infondatezza in parte qua dell’istanza cautelare. Ma, anche in riferimento alla deliberazione di aumento del capitale sociale, non sussiste il periculum allegato dai ricorrenti, giacché come già osservato nel decreto 14.7.2014, la perdita della qualità di socio derivante dal mancato esercizio del diritto di opzione è reversibile all’esito del giudizio di merito, né i ricorrenti hanno allegato ragioni, economiche o di altra natura, tali da impedire loro di sottoscrivere l’aumento di capitale. Contrariamente, poi, a quanto sostenuto dalla difesa attrice in memoria di replica, non può costituire ragione di (concreto e specifico) periculum in mora il fatto che i ricorrenti, estromessi allo stato dalla compagine sociale, non potrebbero esercitare il controllo sugli organi sociali, sia perché una siffatta conseguenza sussiste in tutti i casi in cui la cessazione della qualità di socio, è effetto di qualche deliberazione societaria, sia perché, in difetto delle predette ragioni ostative alla sottoscrizione del capitale, l’uscita dalla società, con i correlativi effetti, è imputabile anche a volontà consapevole degli stessi ricorrenti. Per contro, considerata l’elevata esposizione debitoria della società resistente verso banche e fornitori, ammontante a metà del 2013 a circa 25.600.000 euro (v. comparsa di risposta pag. 41), gli effetti che deriverebbero alla società dalla invocata sospensione delle delibere impugnate, che hanno obbiettivamente inciso su detta esposizione, come conferma la persistente attività di impresa, potrebbero rilevarsi esiziali nell’attuale fase di ristrutturazione dei debiti e di crisi del mercato, determinando peraltro lo stato dell’attività sociale in ragione degli notori effetti della sospensione, la quale rende illegittimi gli atti di esecuzione della delibera sospesa. La valutazione comparativa degli opposti interessi induce, pertanto, a dare prevalenza a quello della società a non vedere travolti gli effetti delle delibere impugnate. “… P.Q.M. Rigetta il ricorso” …….

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