Infortunio sul lavoro – giudicato penale nel giudizio civile - conseguenze – copertura assicurativa RC – sussistenza - ragioni

29.3.2022 – Corte di Appello di Ancona Sez. lavoro – Sent. 57/2022 – Pres. Gianfelice - Est. Quitadamo

04/04/2022

… “Con ricorso depositato il 30 giugno 2021 V e S, in proprio e nella veste di soci della Soc. X S.n.c., hanno proposto appello avverso la sentenza del 12 marzo 2021, pubblicata il 30 maggio 2021, con la quale il Tribunale di Pesaro, in funzione di giudice del lavoro, aveva condannato essi convenuti al pagamento, in favore di P e di ciascuno degli altri ricorrenti indicati in epigrafe, delle somme specificate in dispositivo, a titolo di risarcimento del danno patito in conseguenza dell’infortunio occorso in data (omissis) a P – caduto rovinosamente a terra da un’altezza di circa sei metri, mentre si trovava sul cestello elevatore di proprietà della predetta Società, in quanto impegnato con V nell’esecuzione dei lavori di potatura di alberi sul fondo agricolo di C – quindi, in accoglimento dell’azione di regresso esperita dall’Inail, li aveva condannati in solido con la Società al pagamento della somma di euro (omissis) in favore di detto Istituto, mentre aveva rigettato la domanda di garanzia assicurativa proposta dalla Società nei confronti di Assicurazione A. Gli appellanti hanno dedotto l’errore del primo giudice nel valutare le risultanze istruttorie, travisando totalmente le emergenze della relazione redatta sull’infortunio dall’Ispettore Asur il 23 aprile 2013, e fondando la decisione in punto di responsabilità sul mero riferimento, ivi contenuto, alle sommarie informazioni testimoniali rilasciate da V ai Carabinieri, comunque superate dalle dichiarazioni rese dal medesimo in sede di esame dell’imputato, nel successivo processo penale. Gli appellanti hanno evidenziato come, invece, l’assoluta incertezza sulla dinamica del fatto dedotto in giudizio, per assenza di testimoni oculari, avrebbe dovuto condurre a negare l’esistenza del nesso causale in sede civilistica e, d’altro canto, esclusi i profili di colpa specifica in capo a V, avrebbe dovuto valorizzare quegli aspetti di abnormità e di imprevedibilità del contegno tenuto nell’occasione dal danneggiato, che senza dubbio imponevano di ravvisare un’ipotesi di rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale. Gli appellanti, inoltre, hanno censurato la qualificazione operata dal Tribunale del rapporto intercorso tra P e la Società X S.n.c., mettendo in evidenza il complesso degli elementi acquisiti agli atti, da cui avrebbe dovuto desumersi il carattere pienamente autonomo della prestazione professionale resa nell’occasione dal danneggiato, titolare di impresa artigiana e di partita Iva, nonché impegnato ad eseguire su chiamata lavori per conto di varie ditte. Gli appellanti hanno impugnato, altresì, la statuizione del Tribunale inerente alla liquidazione del danno morale patito dall’infortunato e dai suoi congiunti iure proprio, sottolineando, riguardo al primo, il difetto di elementi per riconoscere l’incremento del 12,5% da personalizzazione, ed inoltre criticando l’eccessiva incidenza assegnata alle vicende personali e familiari del danneggiato, che, viceversa, non potevano considerarsi conseguenza diretta dell’infortunio, in difetto di specifica prova sul punto. Infine, gli appellanti hanno censurato la ritenuta non operatività della polizza assicurativa stipulata dalla Società X S.n.c., a copertura della RCT derivante da attività d’impresa, regolarmente rinnovata e pienamente vigente, contenente la clausola di delimitazione del rischio invocata, da interpretarsi in maniera estensiva e dinamica, ed in base al criterio ermeneutico posto dall'art. 1370 cod. civ. Gli appellanti hanno quindi chiesto, in riforma della sentenza impugnata, rigettarsi la domanda attorea e di conseguenza la domanda di rimborso avanzata dall’Inail, con vittoria di spese di lite. P e gli altri ricorrenti hanno resistito al gravame, chiedendone il rigetto; in via incidentale hanno chiesto ascriversi ad esclusiva responsabilità dei convenuti l’infortunio occorso, per l’effetto condannarsi i medesimi all’integrale risarcimento dei danni quantificati in sentenza, senza riduzione degli importi in ragione del ritenuto concorso di colpa del danneggiato nella misura del 25%, nonché dichiararsi Assicurazione A tenuta all’invocata garanzia. La Soc. X S.n.c. ha chiesto, in riforma della sentenza impugnata, escludersi la responsabilità di essa Società nella causazione dell’infortunio, ed in ogni caso riconoscersi una corresponsabilità del danneggiato in misura superiore al 25%, quindi dichiararsi Assicurazione A tenuta a manlevare essa assicurata da qualsiasi conseguenza derivante dall’accoglimento delle domande attoree. L’Inail ha chiesto rigettarsi il gravame principale e, in via incidentale, accertarsi l’esclusiva responsabilità in capo ai convenuti dell’evento occorso, riconoscendosi, altresì, l’Assicurazione A tenuta alla manleva. Assicurazione A ha resistito al gravame e ne ha chiesto il rigetto. All’esito dell’udienza odierna la Corte ha trattenuto la causa in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE L’appello principale e gli appelli incidentali, dei quali è opportuna la trattazione congiunta, sono fondati nei soli termini di seguito precisati. Questa Corte non ha motivo di discostarsi dal condivisibile principio affermato dai Giudici di legittimità, secondo cui Qualora, in sede penale, sia stata pronunciata in primo o in secondo grado la condanna, anche generica, alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, e la Corte di cassazione, nell'annullare senza rinvio la pronuncia per essere il reato estinto per prescrizione, tenga "ferme le statuizioni civili, ..…”, una tale decisione dà luogo alla formazione del giudicato sulla statuizione resa dal giudice penale, a norma dell'art. 578 c.p.p., sulla domanda civile portata nella sede penale, come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti in cui si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento (nella specie, l'annullamento di un testamento), derivanti dal fatto. (Cass, sez. 2 , Ordinanza n. 11467 del 15/06/2020. Nella parte motiva della citata Ordinanza la Suprema Corte - dopo aver ribadito il generale principio (consacrato anche delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 1768/2011) dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile, cui, pertanto, non sono applicabili in via analogica le disposizioni di cui agli artt. 651, 651-bis, 652, 653 e 654 c.p.p. oltre i casi espressamente previsti - ha chiarito che, tuttavia, “… nel giudizio penale, concluso con una pronuncia estintiva del reato per prescrizione, si è formato il giudicato sulla statuizione resa dal giudice penale, a norma dell'art. 578 c.p.p., sulla domanda civile portata nella sede penale…”, aggiungendo “…Deve, in proposito, richiamarsi l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la sentenza del giudice penale che, nel dichiarare estinto per amnistia il reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine all'affermata responsabilità dell'imputato che, pur prosciolto dal reato, non può più contestare in sede civile i presupposti per l'affermazione della sua responsabilità, quali, in particolare, l'accertamento della sussistenza del fatto reato e l'insussistenza di esimenti ad esso riferibili, nonchè la declaratoria iuris di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ma può contestare soltanto l'esistenza e l'entità in concreto di un pregiudizio risarcibile (Cass., sentt. n. 2083 del 2013, n. 15557 del 2002)…”. Prosegue l’iter motivazionale dell’Ordinanza n. 11467/2020 richiamando, quale precedente “….perfettamente aderente al caso che ne occupa…”, la sentenza Cass.n. 14921/2010, inerente ad un’ipotesi di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, con conferma della pronuncia di condanna alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile; anche in seno a tale pronuncia viene messo in luce che, se la condanna alle restituzioni o al risarcimento resa confermata, con essa rimane irreversibilmente consacrata anche, “… come suo indispensabile presupposto, l'affermazione della sussistenza del reato e della sua commissione da parte dell'imputato….” . La condanna in discorso, dunque, seppure contenuta in una sentenza del Giudice penale, da luogo ad un giudicato civile “… come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti, nel quale si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, derivanti dal fatto, la cui illiceità, ormai definitivamente stabilita, non può più venire in questione….” (Cass.n. 14921/2010 cit.). Ebbene, rispetto alla fattispecie all’odierno vaglio, la Corte di Cassazione, investita del terzo grado del giudizio penale instaurato a carico di V, con sentenza n.24415/2021 del 6 maggio 2021 ha annullato la sentenza della Corte di appello di Ancona agli effetti penali per estinzione del reato in relazione all’intervenuta prescrizione, quindi ha rigettato il ricorso agli effetti civili, dunque ha tenuto ferme le statuizioni civili. Quanto detto innanzi implica l’inevitabile formarsi del giudicato su ogni aspetto inerente alla ricostruzione della dinamica dell’infortunio occorso a P in data (omissis), nonché all’accertamento della percentuale di responsabilità ascrivibile sia all’imputato sia al danneggiato nella causazione del danno, ed inoltre in merito al presupposto indefettibile dell’affermazione della responsabilità penale di V ex art. 590, terzo comma, c.p., ossia la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con P. Ed infatti, la chiara qualificazione, da parte dei giudici penali, del reato in termini di lesioni personali colpose gravissime, commesse con violazione della normativa antinfortunistica, ed in particolare con violazione delle disposizioni di cui al d.lgs.n. 81/2008, che ha attuato la riforma legislativa in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, non lascia dubbi quanto alla consacrazione in termini di lavoro subordinato della relazione intercorsa tra danneggiato e responsabile del fatto. In particolare, il vincolo di subordinazione si atteggia a connotato effettivo della relazione tra il soggetto vittima e il soggetto autore del reato, né costoro avrebbero potuto assumere tali rispettive vesti, nell’ottica di una collaborazione professionale resa dal primo in piena autonomia di mezzi ed a proprio rischio, quale titolare d’impresa. A fortiori, sussiste il vincolo del giudicato civile, reso in sede penale, rispetto alla ricostruzione della dinamica dell’infortunio, all’analisi dei profili di colpevolezza nella condotta dell’imputato, così come rispetto al concorso colposo della persona offesa nella misura del 25%, in quanto siffatte valutazioni sono sfociate nella pronuncia di condanna al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, a norma dell’art. 538 e ss., c.p.p., e la sentenza della Corte di Cassazione penale, nel rigettare il ricorso dell’imputato agli effetti civili ha chiaramente tenuto fermi i suddetti accertamenti, a mente dell'art. 578 c.p.p. Tanto chiarito, l’odierna indagine va circoscritta all’accertamento della responsabilità in capo alla Società Soc. X S.n.c., non costituita parte civile nel processo penale, nonché ai criteri di liquidazione del danno adottati dal Tribunale civile, che abbiano formato oggetto di specifiche censure, nonché alla questione inerente all’operatività della garanzia assicurativa. Può affermarsi la responsabilità civile della Società X S.n.c, poiché questa incontestatamente aveva assunto l’incarico di eseguire i lavori di potatura presso il fondo di proprietà di C, così che, nell’illustrare all’infortunato il lavoro da eseguire, V non ha agito in proprio, bensì in veste di socio, con conseguente imputazione alla Società dei risultati del suo agire; siffatta spendita del nome discende, oltretutto, dall’altrettanto pacifica circostanza che sin dall’anno 2008 P svolgesse in via esclusiva attività per conto di detta Società, utilizzando le attrezzature di proprietà della stessa. In ordine al criterio di liquidazione del danno morale, il primo giudice ha applicato le Tabelle del Tribunale di Milano aggiornate all’anno 2021, procedendo, dunque, alla liquidazione di un’unitaria ed omnicomprensiva voce di danno non patrimoniale, che include la componente del danno c.d. morale o da sofferenza interiore soggettiva, in linea con quanto affermato dalla Suprema Corte sin dal 2008 (cfr. Cass., Sez. Un., n. 26972 del 2008), riguardo alla …categoria di danno unitaria, che ricomprende in sé tutte le possibili componenti di pregiudizio non aventi rilievo patrimoniale…” (così in motivazione, Cass. n.9112/2019 che richiama le Sezioni Unite); di tale composita ed unitaria natura del danno non patrimoniale oggetto di domanda occorre tenere adeguatamente conto, quali che siano i criteri di relativa liquidazione adottati dal giudicante. Ed infatti, il danno biologico è rappresentato dalla lesione dell’integrità psico-fisica in sé considerata, laddove la sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute è pregiudizio ontologicamente diverso, definito danno morale soggettivo (cfr. in tal senso Cass. civ., Sez. 3^, Ordinanza n. 7513 del 27/03/2018 e Cass. civ., Sez. 3^, Ordinanza n. 27482 del 30/10/2018). Ebbene, rispetto all’entità ed alla natura delle lesioni all’integrità psicofisica irreversibilmente riportate dall’infortunato, ed alla complessiva storia clinica che l’ha interessato - facilmente ricostruibile attraverso la copiosa certificazione sanitaria in atti, che attesta il susseguirsi di delicati e complessi interventi chirurgici e la somministrazione di trattamenti terapeutici altamente invasivi - dunque rispetto al documentato percorso di malattia particolarmente travagliato, non è seriamente discutibile la piena spettanza al medesimo dell’incremento corrispondente alla valorizzazione della componente del danno morale nella percentuale del 12,5%, a prescindere da ogni considerazione circa l’incidenza delle gravissime condizioni fisiche del soggetto nella sfera dei rapporti familiari e coniugali. Pertanto, anche in assenza di una valutazione dell’ulteriore dolorosa vicenda, rappresentata dalla crisi matrimoniale e dal conseguente disgregarsi del nucleo famigliare, deve senz’altro riconoscersi il grado di sofferenza interiore soggettiva indicato dal Tribunale, per il solo fatto che il ricorrente abbia vissuto un vero e proprio “calvario”, in occasione delle lunghe degenze ospedaliere e dei decorsi operatori e post operatori, e per l’ormai acquisita consapevolezza da parte sua dell’irrimediabile perdita dell’autosufficienza fisica e motoria, e, con esse, di uno stile di vita “normale”, ossia assestato su livelli qualitativi accettabili. Sulla misura del danno riconosciuto iure proprio ai congiunti, le censure degli appellanti sono inammissibili, in quanto generiche ed avulse da minime indicazioni circa i più bassi importi in concreto liquidabili a tale titolo e circa i criteri alla stregua dei quali pervenire ad una diversa e minore quantificazione. Devesi, invece, riconoscere l’operatività della garanzia assicurativa in favore della Società civilmente responsabile dei danni. Emerge dall’esame della polizza assicurativa acquisita agli atti che questa ha ad oggetto la copertura del rischio derivante dalla “posa in opera presso terzi di infissi metallici e pareti metalliche, installazioni di vetri di qualsiasi dimensione e genere, con operazioni di saldatura e verniciatura mediante l’utilizzo di scale e piattaforme mobili e semoventi”. Si tratta di attività, contraddistinta dal codice 235, che va ad identificare ed a circoscrivere il rischio assicurato. Tuttavia, in seno alla polizza figura la clausola in forza della quale le parti danno per “….assicurate in ciascuna sezione anche attività appartenenti a codici diversi da quella dichiarata in polizza purchè ascrivibili a categorie tariffarie uguali o inferiori”. Le clausole in esame mirano evidentemente a ricomprendere nel rischio assicurato ogni attività, praticabile nel medesimo settore, che, in relazione al codice tariffario di riferimento, quindi in relazione alle oggettive caratteristiche e modalità del suo svolgersi, non vada ad incrementare il rischio di verificazione dell’evento assicurato. Tanto premesso, sembra al Collegio che il connotato essenziale alla determinazione dei margini di rischio, collegati allo svolgimento dell’attività di posa in opera di infissi e di pareti metalliche o di vetro, risieda essenzialmente nell’esigenza di portarsi a considerevole altezza dal suolo, mediante utilizzo di scale e piattaforme mobili e semoventi, onde realizzare il montaggio o la finitura dei manufatti. Ne consegue che, essendo l’infortunio consistito nella caduta da un’altezza di circa sei metri al suolo del lavoratore, posizionato nel cestello della piattaforma elevabile e non agganciato mediante sistema anticaduta, e considerato che la copertura assicurativa trova la sua ragion d’essere proprio nei rischi connessi all’utilizzo della piattaforma semovente, si impone un’interpretazione delle clausole rispettosa dei criteri di cui agli artt.1362, 1363 e 1366 c.c., ancor prima che del criterio consacrato all’art. 1370 c.c.. Occorre, dunque, soffermare l’attenzione sulla chiara volontà, espressa dai contraenti, di non escludere la copertura assicurativa rispetto a qualsiasi attività implicante il compimento “in quota” di operazioni manuali, con l’ausilio di strumenti relativamente maneggevoli (un saldatore o verniciatore, non meno che una sega elettrica), dunque richiedente il posizionamento dell’operaio su piattaforma semovente e mobile, onde consentirgli di raggiungere le maggiori altezze (di un edificio non meno che di un albero ad alto fusto) alle quali eseguire il lavoro. In definitiva, il complesso degli elementi in atti consente di ritenere che la manutenzione e potatura delle piante non sia attività a maggior rischio specifico rispetto alla montatura di infissi, in quanto per entrambe il fattore di maggior rischio è rappresentato dalla necessità di operare ad altezze elevate, mediante impiego di piattaforme mobili e semoventi. Peraltro, come evidenziato dalla difesa degli appellanti, l’infortunio è consistito proprio nella caduta, a fine lavoro, dell’operaio dalla piattaforma utilizzata per consentirgli di elevarsi dal suolo, dunque non si è verificato a causa delle particolari modalità di impiego, da parte di costui, di strumenti adatti in specie alla potatura piuttosto che al montaggio di infissi. In definitiva, non sono emerse ragioni valide all’esclusione della garanzia assicurativa, così che va accolta nei confronti di Assicurazione A la domanda di manleva. Alla stregua dei suesposti argomenti, la sentenza va riformata in senso parzialmente conforme alle istanze degli appellanti. (omissis) P.Q.M. La Corte così provvede: 1) In parziale riforma della sentenza impugnata, che nel resto conferma, dichiara l’obbligo di Assicurazione A di tenere indenne Soc. X S.n.c., nei limiti del massimale della polizza assicurativa, di quanto la stessa è stata condannata a pagare ad ogni titolo per cui è causa; (omissis)  

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