Giudizio di responsabilità – annullamento di atto di autotutela – fattispecie – opinabilità delle ragioni giuridiche poste a base dell’annullamento – colpa grave del funzionario – esclusione – ragioni

6.6.2023 Corte dei Conti Sez. Giur. Marche – Sent. 19/2023 Pres. Del Rosario - Est. Liberati

03/07/2023

Con atto di citazione depositato in segreteria in data 16 novembre 2022, ritualmente notificato, la Procura regionale ha convenuto in giudizio X, Y , W, Z e P a all’epoca dei fatti dipendenti pubblici in servizio presso l’Agenzia delle Entrate, rispettivamente, come Direttore della Direzione Provinciale di (omissis) X, Capo dell’Ufficio Legale della medesima Direzione Provinciale Y, Direttore dell’ufficio Territoriale (omissis) W, Capo Team dell’Ufficio Territoriale di (omissis) Z, impiegata dell’Ufficio Territoriale di (omissis) P, al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di (omissis), per il complessivo importo di € (omissis), da addebitarsi: (omissis); c) a titolo di colpa grave, a W, Z e A, sino alla concorrenza di € (omissis) importi da maggiorarsi di rivalutazione monetaria ed interessi legali. La Procura ha anche chiesto la condanna di tali soggetti alla rifusione, in favore dello Stato, delle spese processuali.             Riferisce la Procura che, con nota prot. n. RIS del 19 settembre 2019, la Direzione Regionale delle (omissis) dell’Agenzia delle Entrate aveva inviato una segnalazione con la quale denunciava il danno subito dall’Amministrazione in conseguenza degli illegittimi comportamenti tenuti dai dipendenti X, W, Z e P, in sede di annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione n. (omissis), che era stato emesso in data (omissis)/2016 dall’Ufficio Territoriale di (omissis) nei confronti del sig. A. (omissis)             La terza vicenda oggetto del presente giudizio riguarda la vendita, avvenuta nel luglio 2011, da parte del sig. A alla ditta "B" di un compendio immobiliare a destinazione agricola, per il corrispettivo di euro (omissis), "con riserva di proprietà fino al pagamento del saldo, ai sensi dell'art. 1523 del c.c.". La ditta acquirente richiedeva le agevolazioni per la piccola proprietà contadina, previste per le società qualificate "imprenditori agricoli professionali" dall'art. 2, comma 4-bis, del D.L. n. 194/2009, convertito in L. n. 25/2010, vale a dire l'applicazione delle imposte di registro ed ipotecaria in misura fissa e dell'imposta catastale con aliquota 1%, con sanzione di decadenza dai benefici fiscali fruiti in caso di alienazione del bene entro cinque anni. Successivamente, nel marzo 2013, il contratto di compravendita veniva risolto, con retrocessione della proprietà del complesso immobiliare al soggetto venditore, il quale, a sua volta, chiedeva, in seno all'atto di risoluzione, l'applicazione delle agevolazioni per la piccola proprietà contadina. A seguito di tale atto di risoluzione, la Direzione Provinciale di (omissis) dell’Agenzia dell’Entrate revocava le agevolazioni concesse alla società acquirente “B” in occasione dell'originario contratto di compravendita (avviso di liquidazione n. (omissis) del luglio 2013, divenuto definitivo per mancata impugnazione), poiché la stessa non aveva mantenuto la proprietà del complesso immobiliare a destinazione agricola per un periodo di almeno cinque anni. A, riottenuta la piena disponibilità di tale bene, in data aprile 2013 lo vendeva nuovamente ad altra società “C”, sempre con riserva di proprietà ai sensi dell’art. 1523 del c.c., incorrendo, però, nella decadenza dai benefici fiscali chiesti nel suddetto atto di risoluzione, avendo egli alienato il complesso immobiliare prima del decorso del quinquennio previsto. Gli veniva così notificato in data marzo 2016, l’avviso di liquidazione n. (omissis) per complessivi euro (omissis). A seguito della ricezione di detto avviso, A presentava, in data 26 aprile e 5 maggio 2016, istanze di annullamento in autotutela E l’11 maggio 2016 chiedeva al proprio notaio di redigere una nota di precisazione in ordine all'atto di risoluzione del marzo 2013, nella quale veniva specificato l'intento meramente ricognitivo di tale atto e sostenuto l'assenza di effetti traslativi. L’Ufficio Territoriale di (omissis), con provvedimento prot. n. _ del maggio 2016, annullava, quindi, in autotutela l’avviso di liquidazione n. (omissis) del marzo 2016, in base alle motivazioni di cui si dirà infra. In data 27 settembre 2016, la ditta “B” presentava, a sua volta (omissis), istanza di revoca in autotutela in relazione all’avviso di liquidazione che le era stato notificato il 17 luglio 2013 (a suo tempo non impugnato), sostenendo che, a seguito dell’annullamento dell’avviso notificato ad A per l’agevolazione richiesta in sede di atto di risoluzione, analogo annullamento sarebbe spettato anche alla società B, faceva, inoltre, il rilevare l’assenza di effetti traslativi dell’atto di compravendita con riserva di proprietà, citando documenti e pressi dell’Agenzia delle Entrate, favorevoli alla tesi prospettata. In tale contesto, il direttore provinciale X, nel novembre 2016, riteneva opportuno chiedere alla Direzione Regionale una consulenza giuridica sulla possibilità di procedere o meno annullamento in autotutela dell'avviso di liquidazione n. (omissis), che era stato a suo tempo notificato alla ditta "B ". La suindicata Direzione si esprimeva negativamente sull’accoglimento di detta istanza, stigmatizzando anche l’avvenuto annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione n. (omissis), emesso nei confronti di A, affermando che tale annullamento non avrebbe dovuto essere effettuato e che, quindi, l’avviso in questione era legittimo, anche se “attualmente non può essere riemesso per intervenuta decadenza temporale". Seguiva il tentativo, da parte dell’Amministrazione, di recuperare a carico di A le imposte non introitate per effetto dell’annullamento in autotutela disposto nel maggio 2016; tale tentativo rimaneva infruttuoso, tant’è vero che in data 2/7/2019 veniva sottoscritto tra le parti un accordo stragiudiziale, che poneva fine al contenzioso innescato dall’impugnazione proposta da A. Ciò premesso, la Procura ha sostenuto che il mancato introito delle imposte richieste ad A con l’avviso di liquidazione n. (omissis) del marzo 2016, illegittimamente annullato con provvedimento in autotutela del maggio 2016, ha determinato un danno pari ad € (omissis), addebitabile ai convenuti X, W Z e P, che avevano preso parte, sia pure con ruoli diversi, alla procedura che aveva condotto all’annullamento. Anche per tale ipotesi dannosa, nella parte in diritto saranno esaminati dettagliatamente i profili di criticità prospettati dalla Procura e le argomentazioni difensive dei convenuti nonché esposte le conseguenti valutazioni del Collegio in ordine alla fondatezza o meno della domanda risarcitoria proposta dal P.M. (omissis) Con memoria depositata il 22 marzo 2023, si è costituita W la quale, in sintesi, ha eccepito la prescrizione quinquennale dell’azione di responsabilità amministrativa, relativamente alla vicenda “A” (in cui essa risulta coinvolta), nonché l’assenza dell’elemento psicologico della colpa grave nel suo comportamento, considerata la complessità della fattispecie esaminata. In data marzo 2023 si è costituita Z il quale, in estrema sintesi, ha dedotto l’insussistenza di proprie responsabilità, per carenza dell’elemento psicologico della colpa grave, nonché l’assenza di danno, considerato che annullamento in autotutela dell’avviso notificato ad A era da ritenersi atto del tutto legittimo, e ciò alla luce di una ricostruzione normativa e giurisprudenziale in tal senso. In data marzo 2023 si è costituita P che ha dedotto l’insussistenza di proprie responsabilità in relazione alla vicenda “A”, adducendo motivazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle di Z nonché l’assenza di colpa grave nella sua condotta (omissis). In data marzo 2023 si è costituito X che, con articolata memoria, ha contestato, sotto plurimi aspetti, tutti gli addebiti formulati a suo carico dalla Procura regionale, in relazione alle varie fattispecie di danno di cui all’atto introduttivo del giudizio. Nella parte in diritto della presente sentenza, si riferirà analiticamente delle varie argomentazioni addotte dai convenuti a confutazione delle tesi della Procura, laddove le medesime siano ritenute utili ai fini del decidere. All’udienza odierna, dopo l’esposizione dei fatti da parte del Giudice relatore, il Pubblico Ministero si è riportato all’atto di citazione, replicando, altresì, alle eccezioni sollevate nelle memorie dei convenuti, mentre costoro, come rappresentati in udienza, hanno ampiamente argomentato ed illustrato quanto dedotto negli scritti difensivi, concludendo come da verbale. La causa, quindi, è passata in decisione, (omissis) DIRITTO Il presente giudizio di responsabilità amministrativa concerne alcune fattispecie asseritamente produttive di danno erariale a carico dell’Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di (omissis), che, per ragioni di chiarezza espositiva, verranno esaminate distintamente. (omissis) Passando alla disamina delle contestazioni relative alla vicenda “A” la Procura ha sostenuto che le condotte violative dei doveri d’ufficio, tenute dai convenuti a vario titolo coinvolti (X,W,Z e P), consisterebbero nell’avere costoro contributo all’adozione, in data 5/2016, dell’erroneo atto di annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione n. (omissis) del 3/2016, annullamento motivato in ragione del fatto che …” l'atto di risoluzione della vendita con riserva di proprietà del 3/2013 non presenta elementi giuridici riconducibili ad un trasferimento di proprietà ma soltanto ad una ricognizione tra le parti in ordine al mancato pagamento di alcune rate del prezzo e, quindi, al diritto del venditore alla restituzione del solo possesso del bene; considerato, pertanto, che la richiesta delle agevolazioni per la piccola proprietà contadina risulta immotivatamente fatta in un atto di sola ricognizione, privo di qualsiasi effetto traslativo della proprietà, il contribuente (A) non poteva chiedere l'agevolazione e, quindi, risulta non più motivata la revoca dell'agevolazione stessa”. La Procura ha contestato il danno derivato dall’annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione sia al direttore X (in quanto firmatario atto finale) sia ai soggetti che avevano contribuito a predisporre la "proposta di annullamento dell'avviso di liquidazione n. (omissis) del 3/2016, notificato in data 21/03/2016, agevolazione richiesta: piccola proprietà contadina", proposta assunta al protocollo n. 1203 del 17/5/2016 e firmata da: P, quale addetta al procedimento; Z, quale Capo Team Gestione e Controllo Atti; W quale Direttrice dell'Ufficio Territoriale di X, quale direttore della Direzione Provinciale di (omissis). Ad avviso della Procura, “… l’annullamento in autotutela è avvenuto adducendo motivazioni palesemente violative sia della vigente normativa regolante le imposte sui trasferimenti di beni con riserva di proprietà sia dei consolidati orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia”. In buona sostanza, richiamando talune pronunzie della Corte di Cassazione e considerato che “…le vendite con riserva di proprietà devono essere considerate, ai fini fiscali, come immediatamente traslative”, la Procura ha evidenziato che “…il contratto con il quale le parti sciolgono una vendita con patto di riservato dominio, a causa dell'inadempimento dell'acquirente, non costituisce un mero negozio ricognitivo di un effetto già verificatosi in conseguenza di detto inadempimento ma produce esso stesso il risultato di risolvere il precedente contratto, già fiscalmente concluso, ponendone nel nulla gli effetti, con correlativa retrocessione del bene all'originario proprietario e con conseguenziale verificarsi di un autonomo presupposto d’imposta”. Pertanto, come anche osservato dalla Direzione Centrale Audit, “…nel caso d’inadempimento della parte acquirente in una compravendita con riserva di proprietà, il contratto con il quale si prende atto dello stesso inadempimento ai fini della risoluzione, comportando la retrocessione del bene oggetto del contratto risolto, dev’essere assoggettato all'imposta proporzionale di registro, da applicarsi con le aliquote previste per i trasferimenti immobiliari”. Alla luce di tali argomentazioni, la Procura ha contestato il danno scaturente dall’annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione n. (omissis) del 15/3/2016 a: P “addetta al procedimento” (che poi aveva anche materialmente notificato l’atto in questione ad A ), in quanto la stessa aveva sottoscritto la suddetta proposta di annullamento in maniera estremamente superficiale, senza la necessaria verifica del suo contenuto; W e Z, rispettivamente, Direttrice dell’Ufficio Territoriale di (omissis) e Capo Team Gestione e Controllo Atti; la prima, per avere, come da lei stessa dichiarato nelle sommarie informazioni testimoniali rese in data 21/5/2019, “… apposto la firma su tale proposta, fidandomi di Z, senza approfondire di persona…” , e per aver trattato in maniera diversa il merito giuridico della questione, pur avendo in precedenza sostenuto, dinanzi al X, la correttezza dell’operato dell’Ufficio nell’emettere l’avviso di liquidazione, poi annullato, il secondo, in quanto redattore materiale della proposta di annullamento, pur essendo stato anch’egli sostenitore, dinanzi al X della correttezza dell’operato dell’Ufficio nell’emettere l’avviso di liquidazione, poi annullato, e considerato altresì, che successivamente egli stesso aveva convinto il direttore X a chiedere una consulenza giuridica alla Direzione Regionale, una volta pervenuta altra istanza di annullamento in autotutela, inoltra dalla ditta “B” ; - a X , “…vero gestore della situazione e colui che aveva <imposto>, in virtù del ruolo ricoperto (Direttore Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di (omissis)), la decisione di procedere all’annullamento dell’avviso di liquidazione…”, in contrasto con la normativa fiscale vigente e con l’orientamento giurisprudenziale formatosi in materia. Preliminarmente, il Collegio ritiene che debba essere respinta l’eccezione di prescrizione sollevata dalla W. Al riguardo, è sufficiente sottolineare che, nella vicenda in esame, il danno è divenuto certo ed attuale soltanto allorquando è venuta meno, in via definitiva, la possibilità per l’Amministrazione di revocare il provvedimento n. (omissis), datato 5/2016, di annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione (omissis) del 15/3/2016. Come correttamente rilevato dalla C.T.P. di Pesaro nella sentenza n. 134/2019, l’art. 21-nonies, comma 1, della L. n. 241/1990, dispone che “Il provvedimento illegittimo (…) può essere annullato, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione del provvedimento di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici (…”. Nel caso di specie, viso di liquidazione è stato effettuato il 5/2016; da tale data, pertanto, decorrevano i diciotto mesi, entro cui sarebbe stato possibile esercitare legittimamente il potere di revoca, con scadenza, dunque, al 17/11/2017, costituisce il momento in cui il danno si è concretizzato, avendo l’Agenzia delle Entrate perso la facoltà di revocare il provvedimento di annullamento in autotutela. Così individuato il termine iniziale della prescrizione, il relativo quinquennio andava a scadere il 17/11/2022; considerato che gli inviti a dedurre sono stati notificati nel marzo 2022, l’azione di responsabilità amministrativa esercitata dalla Procura deve ritenersi tempestiva. Venendo al merito della questione, il Collegio ritiene che debba ravvisarsi l’illegittimità dell’annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione n. (omissis) del 3/2016; ciò si evince dai riferimenti giurisprudenziali operati dalla Procura così come dalle argomentazioni esposte nella consulenza giuridica n. 910-9/2016, datata 7/12/2016, della Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, a sua volta monitorata positivamente dalla Direzione Centrale Normativa in data 2/3/2017. Peraltro, a conforto di tale conclusione, va sottolineata la circostanza che la stessa Direzione Provinciale di (omissis), preso atto, a seguito della suddetta consulenza, dell’errore commesso, ha tentato di porvi rimedio, percorrendo, vanamente, la strada della revoca del provvedimento di annullamento in autotutela, ammettendo, quindi, implicitamente l’illegittimità del proprio operato. Tentativo, questo, che non ha sortito alcun positivo risultato, alla luce del susseguente contenzioso insorto, che è stato definito, in maniera sfavorevole per l’Ufficio, con la sentenza n. 134/2019 della Commissione Tributaria Provinciale di Pesaro, di cui si dirà più ampiamente infra. Il Collegio reputa, comunque, necessario effettuare alcune precisazioni in ordine ai profili d’illegittimità dell’atto di annullamento in autotutela, così replicando all’eccezione sollevata dalla difesa del X e, con argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili, anche dalla difesa del Z e della P, che, in tal modo, hanno inteso prospettare l’insussistenza del danno. Dopo aver ripercorso in punto di fatto il susseguirsi degli atti relativi alla vicenda riguardante A, tali convenuti hanno sostenuto che, “… a seguito dell’atto, datato 12/3/2013, di risoluzione del contratto di compravendita con riserva di proprietà l’Agenzia delle Entrate, in data 14/7/2013, emette l’avviso di liquidazione n. (omissis), che viene notificato alla sola parte acquirente(“B”). Detto avviso ha giustamente ad oggetto la revoca dei benefici per la piccola proprietà contadina, concessi in sede di liquidazione dell’imposta dovuta sul 1° atto e cioè sull’atto di vendita stipulato il 15/7/2011. Erroneamente l’Agenzia non ha notificato tale avviso nell’obbligato in solido A”. Camillo società Il primo atto è, dunque, quello della vendita in favore della ditta “B”, relativamente al quale erano state applicate le agevolazioni previste dall’art. 2, comma 4-bis, del D.L. 30/12/2009, n. 194, convertito con modificazioni in L. 26/2/2010, n. 25. Inoltre, è del tutto evidente che con l’avviso di liquidazione n. (omissis) del 3/2016, seppur notificato unicamente a “B”, si disponeva la revoca delle agevolazioni concesse in occasione della suddetta vendita. In relazione al secondo atto, datato 3/2013, sul presupposto che si trattasse della risoluzione di un contratto di vendita contenente una clausola risolutiva espressa, i suddetti convenuti hanno sostenuto che le imposte di registro, ipotecaria e catastale andavano liquidate in misura fissa. Ciò perché l'articolo 28, comma 1, del DPR 131/1986 (Testo unico dell’Imposta di Registro) prevede che: “La risoluzione del contratto è soggetta all'imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa, contenuta nel contratto stesso ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto. Se è previsto un corrispettivo per la risoluzione, sul relativo ammontare si applica l'imposta proporzionale prevista dall'art. 6 o quella prevista dall'art. 9 della parte prima della tariffa” . Pertanto, considerato che nel caso di specie non era stato pattuito alcun corrispettivo per la risoluzione dell'originario atto di vendita e che l'atto oggetto di risoluzione (tra l'altro, formulato con riserva di proprietà) conteneva una clausola o condizione risolutiva espressa, secondo i convenuti, doveva applicarsi il comma 1 dell'articolo 28, ragion per cui l'atto di risoluzione andava tassato in misura fissa. In definitiva, l'agevolazione fiscale per il secondo atto non era conseguente all'applicazione dei benefici per la piccola proprietà contadina in favore A ma soltanto alla previsione di cui all'articolo 28, comma 1. D’altronde, poiché su quell’atto era stata applicata catastale non in misura fissa ma in quella proporzionale all’1%, A aveva avanzato istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate e, dopo che tale rimborso gli era stato negato, aveva adito la Commissione Tributaria di Pesaro, la quale, con sentenza n. 134/2019, accoglieva il ricorso. Tale sentenza è passata in giudicato, per effetto di acquiescenza dell'Agenzia delle entrate, che ha poi provveduto a restituire il maggior importo dell'imposta catastale ad A. Alla luce di tali considerazioni, la difesa di X ha sostenuto che il secondo atto fosse da tassare con tre imposte fisse (di registro, catastale e ipotecaria). In particolare, ad avviso della difesa, “I giudici della C.T.P. di (omissis) hanno correttamente valutato l'avveramento della condizione prevista dalla clausola risolutiva espressa, rappresentata dal mancato pagamento in misura tale da superare complessivamente la quota di un ottavo del prezzo, ed hanno correttamente sancito che il secondo atto andava tassato con tre imposte fisse (di registro, catastale e ipotecaria), condannando l'Agenzia delle Entrate al rimborso dell'imposta in eccedenza riscossa”. In definitiva, nessun danno erariale si sarebbe determinato, in quanto l’annullamento in autotutela, operato il 5/2016, dell’avviso di liquidazione n. (omissis) del 3/2016 era corretto, posto che lo stesso era andato “…ad annullare un avviso che liquidava un’ imposta di registro proporzionale su un atto … che, in verità, andava sottoposto ad imposta di registro, catastale e ipotecaria in misura fissa, in base all’art. 28, comma 1, del TUR” , e ciò tenuto conto, altresì, che “La sentenza n. 134/2019 …è passata in giudicato e fa stato per la corretta qualificazione del presupposto tributario dedotto in giudizio; fa stato, quindi, sulla corretta disciplina inerente la liquidazione delle imposte sul 2° atto; ne deriva pertanto la legittima dell’annullamento dell’avviso di liquidazione n. (omissis). Tale articolata prospettazione dei convenuti, seppur astrattamente corretta, non può, tuttavia, essere ritenuta concretamente applicabile nella fattispecie per cui è giudizio. Come osservato dalla Procura, la norma di cui al comma 1 dell’art. 28 del T.U.R. richiede, ai fini della tassazione in misura fissa, che la risoluzione del contratto dipenda effettivamente dall’operatività della clausola risolutiva espressa, non essendo sufficiente la mera presenza di tale clausola all’interno del contratto. Orbene, nella vicenda in esame, da un’accurata analisi delle fasi che hanno portato alla risoluzione del contratto stipulato da A con la società “B” si evince che la clausola risolutiva espressa, presente nell’originario contratto di vendita, sarebbe divenuta operativa (con conseguente risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1525 c.c.) soltanto allorquando fossero trascorsi 90 giorni dal momento in cui si fosse verificata la causa risolutiva, ovvero il mancato pagamento del prezzo del bene venduto in misura tale da superare complessivamente la quota di un ottavo di quanto pattuito. Tuttavia, esaminando l’atto di risoluzione del 12/3/2013, si può constatare come l’acquirente avesse provveduto ad effettuare l’ultimo pagamento il 10/1/2013, ragion per cui, all’epoca della stipula dell’atto di risoluzione, non era ancora scaduto il termine di 90 giorni previsto per operatività della clausola risolutiva. Pertanto, l’atto di risoluzione stipulato il 12/3/2013 non ha concretamente tratto origine dall’operatività della clausola risolutiva espressa bensì da un autonomo accordo negoziale (mutuo consenso) intervenuto tra le parti, che hanno deciso di risolvere il contratto di vendita e di retrocedere il bene ad A. Appare, dunque, evidente come, nel caso di specie, si sia al di fuori della portata applicativa dell’art. 28, comma 1, del T.U.R., circostanza da cui discende la conclusione che tale atto di retrocessione andava tassato nella misura proporzionale. Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi che il danno erariale si sia effettivamente verificato nei termini indicati dalla Procura, a nulla rilevando, peraltro, la circostanza, invocata dai convenuti, del passaggio in giudicato della sentenza n. 134/2019 della C.T.P. di (omissis). Infatti, tale sentenza aveva ad oggetto la legittimità della revoca, disposta il 21/6/2018, del provvedimento, emesso il 17/5/2016, di annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione di cui si discute. La C.T.P. di (omissis) ha osservato che la decisione della fattispecie sottoposta alla sua cognizione non s’incentrava sull’applicabilità dell’art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 131/86, bensì sulle modalità di esercizio del potere di revoca. Infatti, l’accoglimento del ricorso di A è basato unicamente sulla rilevata carenza di presupposti per l’adozione del provvedimento di revoca del 21 giugno 2018 e, in particolare, sulla tardività di tale provvedimento, in quanto emesso oltre due anni dopo l’annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione n. (omissis) del 15/3/2016. È evidente, pertanto, che la C.T.P. di (omissis) non s’è pronunziata, nella sentenza n. 134/2019, sulla questione relativa all’effettivo avveramento della clausola risolutiva espressa (da cui sarebbe derivata l’applicabilità della tassazione in misura fissa), ragion per cui tale sentenza, contrariamente a quanto sostenuto dai convenuti, non viene ad assumere concreta rilevanza nel presente giudizio di responsabilità. 3.3 Accertata l’oggettiva esistenza del danno erariale in misura pari al mancato introito della somma di € (omissis), dovuta da A a titolo di maggiori imposte ed accessori, il Collegio ritiene di dover verificare la sussistenza o meno nei comportamenti tenuti dai convenuti dell’elemento psicologico normativamente prescritto. Innanzitutto, occorre evidenziare l’assoluta mancanza di prova, di cui era onerata la Procura regionale, che la condotta tenuta dal X, nella specifica vicenda in esame, sia stata caratterizzata da dolo. Nell’atto di citazione, infatti, non vengono specificate né tantomeno provate le circostanze da cui si dovrebbe desumere la cosciente volontà di X di procurare un danno ingiusto all’Agenzia delle Entrate o, comunque, di trasgredire gli obblighi di servizio inerenti alle sue funzioni. Peraltro, nel procedimento penale avviato per i medesimi fatti X ha visto la sua posizione archiviata, ragion per cui tale esito costituisce un ulteriore elemento a conforto di quanto osservato da questa Corte. Ciò premesso, il Collegio ritiene che dalla complessiva analisi degli atti acquisiti nel presente giudizio non emergano elementi tali da far presumere che le condotte tenute dai convenuti X, W, Z e P siano state connotate da colpa grave. Sono, infatti, ben noti gli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte, che tendono a ravvisare la colpa grave nella macroscopica violazione di norme chiare, nell’assoluta inosservanza delle più elementari regole di buon senso e di prudenza, nell’agevole prevedibilità dell'evento dannoso, nella sprezzante trascuratezza dei propri doveri, circostanze che implicano un giudizio di disvalore, da verificare in rapporto alle concrete fattispecie dannose, che scaturisce dal raffronto tra la condotta ragionevolmente esigibile e quella effettivamente tenuta dal soggetto agente (ex multis, Sez. II^ d’Appello sent. 1391/2016). Deve poi sottolinearsi che la valutazione della sussistenza della colpa grave va effettuata mediante un giudizio prognostico ex ante, alla luce delle norme primarie e secondarie vigenti all'epoca dei fatti, dei risultati dell’interpretazione giurisprudenziale e degli altri strumenti di conoscenza e di esperienza, di cui gli agenti pubblici possano disporre, quali circolari ministeriali, note delle autorità indipendenti competenti in un determinato settore e qualsiasi altro documento utile ai fini del migliore espletamento delle funzioni istituzionali. Applicando tali coordinate ermeneutiche alla fattispecie in esame, ad avviso del Collegio, le condotte dei convenuti non possono ritenersi gravemente colpose, tenuto conto della notevole complessità della problematica affrontata dai medesimi. Invero, non può revocarsi in dubbio che l’esame della vicenda riguardante A presentava oggettive difficoltà, rivenienti innanzitutto da indirizzi giurisprudenziali all’epoca non univoci in ordine all’efficacia traslativa dell’atto di vendita con riserva di proprietà e all’esatta individuazione della natura giuridica del contratto di risoluzione di tale tipo di vendita, a seguito d’inadempimento dell’acquirente, vale a dire se si trattasse di mero negozio ricognitivo di effetti già prodottisi ovvero di nuovo atto traslativo della proprietà del bene. Si tenga conto, a dimostrazione delle difficoltà interpretative ora tratteggiate, che la Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, nel parere reso nel dicembre 2016 (dopo l’annullamento in autotutela, avvenuto il 5/2016, dell’avviso di notificazione notificato ad A nel marzo 2016), è pervenuta alla conclusione dell’efficacia immediatamente traslativa del contratto di risoluzione per effetto di applicazione di clausola risolutiva espressa (con conseguente tassazione in misura proporzionale, ai sensi dell’art. 28, comma 2, del T.U.R.), operando un richiamo a due arresti della Corte di Cassazione civile (sentenze n. 5075 del 21.5.1998 e n. 13315 del 29.5.2013), che, a ben vedere, avevano affrontato la tematica della risoluzione di un precedente contratto per mutuo consenso e non già in applicazione di una clausola risolutiva espressa. Come correttamente osservato dalla difesa della W, “la specificità del caso de quo non pare essere stata trattata dalla giurisprudenza citata e la relativa applicazione analogica risulta tutt’altro che intuitiva, trattandosi di fattispecie appunto in parte divergente e inedita”.Si tenga, peraltro, presente che l’Agenzia delle Entrate, nella Risoluzione n. 28/E del 30 gennaio 2009, aveva ritenuto che, in caso di vendita con riserva di proprietà, contratto regolato dall'art. 1523 del c.c., il c.d. “effetto traslativo , anche ai fini fiscali, non si potesse verificare prima del pagamento dell'ultima rata, e ciò contrariamente a quanto successivamente sostenuto nella consulenza della Direzione Regionale per le Marche del dicembre 2016.Ma v’è di più.La complessità della fattispecie è confermata anche dall’opinabilità in ordine all’applicabilità del disposto di cui all’art. 28, comma 1, del T.U.R., che, come prima osservato, avrebbe comportato la tassazione del secondo atto in misura fissa.D’altro canto, la conclusione cui, tenuto conto delle argomentazioni prospettate dalla Procura, questa Corte è pervenuta in ordine all’illegittimità del provvedimento del 17/5/2016, di annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione del 15/3/2016, è basata essenzialmente sul riscontro, nel caso di specie, della concreta inoperatività, in occasione della stipula del contratto di risoluzione per inadempimento dell’originaria vendita, della clausola risolutiva espressa, dovendo, invece, attribuirsi specifica rilevanza all’avvenuta risoluzione per effetto di mutuo consenso tra le parti, ragion per cui è stata esclusa l’applicabilità dell’art. 28, comma 1, del T.U.R., con conseguente assoggettabilità dell’atto a tassazione in misura proporzionale, anziché fissa.Ed allora, se questi erano i profili (di fatto e di diritto) caratterizzanti la problematica che i convenuti hanno dovuto affrontare, non può disconoscersi la notevole complessità della medesima, resa ancor più palese dalla novità della questione sottoposta al loro esame e dalla carenza di univoci orientamenti giurisprudenziali ed applicativi.In tale peculiare contesto, non appare, dunque, ravvisabile alcuno di quei profili tipici (inescusabile e marchiana superficialità, macroscopica violazione di norme chiare, sprezzante trascuratezza nell’adempimento dei propri doveri, assoluta inosservanza delle più elementari regole di buon senso e di prudenza, palese disinteresse per la tutela dell’Erario ecc.), in cui si sostanzia, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la colpa grave.Conclusivamente, il Collegio Giudicante reputa che debba essere respinta la domanda risarcitoria che la Procura ha proposto nei confronti dei convenuti X, W, Z e P in relazione alla posta di danno riguardante la vicenda A (omissis)6. Alla luce di tutto quanto sin qui argomentato, il Collegio così provvede:(omissis)

  • Vicenda di “X”:
  • Rigetta l’eccezione di prescrizione, sollevata dalla W;
  • Rigetta la domanda proposta dalla Procura nei confronti di X, W, Z e P, per carenza di dolo e di colpa grave.(omissis)  

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