Energie rinnovabili – convenzione tra concessionario e comune ad oggetto misure compensative economiche - convenzione sottoscritta ante 3.10.2010 – art. 1 c. 953 L. 145/2018 – nullità - esclusione – obbligo di contribuzione - sussistenza

30.3.2022 – C.d.S. Sez. IV – Sent. 2346/2022 – Pres. Poli - Est. Loria

04/04/2022

… “FATTO e DIRITTO 1. L’oggetto del presente giudizio è costituito: a) dal decreto ingiuntivo n. 49 del 1 marzo 2019 - emanato dal Presidente del T.a.r. per le Marche in favore del Comune di A e contro la società X s.r.l. – per un importo di euro (omissis) oltre accessori di legge, a titolo di adempimento dell’obbligazione nascente dalla convenzione del 30 luglio 2008, rep. n. 355 (il ricorso monitorio del Comune di A è stato depositato il 18 febbraio 2019); b) dal ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo, presentato dalla X s.r.l. (recante a sua volta domanda riconvenzionale di ripetizione di indebito nei confronti del comune), affidato ai seguenti quattro motivi di gravame (da pag. 12 a pag. 30): I. - Violazione e falsa applicazione della normativa comunitaria in tema di liberalizzazione del mercato interno dell'energia elettrica (Direttiva 1996/92/CE recepita con d.lgs. n. 79/1999 e poi sostituita dalla Direttiva 2003/54/CE recepita con legge n. 62/2005) - Violazione e falsa applicazione dell'art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, attuativo della Direttiva 2001/77/CE - Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 4, lett. f) e comma 5 della L. 239/2004 – Violazione e falsa applicazione del d.m. del 10 settembre 2010 cd. Linee Guida - Violazione e falsa applicazione dell'art. 41 Cost. - Eccesso di potere - Sviamento. La pretesa creditoria avanzata dal Comune risulterebbe essere infondata in quanto volta a imporre il pagamento di misure compensative di natura meramente economica espressamente vietate dall’art. 12, comma 6 del d.lgs. n. 387 del 2003, dall’art. 1, commi 4 lett. f) e 5 della l. 239 del 2004 e altresì in contrasto con il principio di libera concorrenza di matrice comunitaria e di libera iniziativa economica ex art. 41 Cost. L’ordinamento comunitario e quello nazionale non ammetterebbero procedure pubblicistiche di natura concessoria a presidio dell'attività di “produzione” di energia elettrica da fonti tradizionali o rinnovabili, ritenendo di contro detta attività quale attività libera rimessa all’iniziativa del privato. L’impianto ricadrebbe sotto la regolamentazione dell’art. 12, comma 6, d.lgs. n. 387 del 2003, che vieta che l’autorizzazione unica sia condizionata a misure di compensazione a vantaggio degli enti locali e delle regioni. II. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 23 della Costituzione – Carenza di potere in astratto – Nullità della Convenzione per effetto del combinato disposto dell’art. 1418 c.c., comma 1, e dell’art. 12, comma 6, d.lgs. 387/2003. Sarebbe evidente la violazione del principio di riserva di legge in relazione all’art. 23 Cost., in quanto l’amministrazione non avrebbe potuto imporre alla ricorrente prestazioni patrimoniali non previste dalla legge, né stabilire unilateralmente l'ammontare del contributo una tantum e del canone annuo. Il Comune avrebbe costruito un composito meccanismo di prelievo (legato parzialmente alla quantità di energia prodotta) senza alcuna copertura legislativa in aperta violazione dell’art. 23 Cost. e del principio di tipicità delle entrate di diritto pubblico. III. - Istanza di ripetizione dell’indebito. Risulterebbe evidente la nullità della Convenzione per contrarietà a norme imperative di legge (art. 1418, 1 co. c.c.); da qui la necessità (ex art. 2033 ss. c.c.) di ripetizione delle prestazioni pecuniarie eseguite in esecuzione della stessa. IV. - In subordine: la qualificazione dell’art. 1, c. 953, della legge n. 145/2018 alla stregua di legge-provvedimento. L’incidentalità della questione di legittimità costituzionale del suddetto articolo. - Profili di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 953, della L. n. 145/2018. Violazione e/o falsa applicazione dei principi di legalità, legittimo affidamento e certezza del diritto – Violazione degli artt. 3, 41 e 117 Cost. L’effetto lesivo dell’ingiunzione di pagamento discenderebbe direttamente dall’art. 1, comma 953, della legge di bilancio 2019 (n. 145 del 2018), la quale si configurerebbe come legge – provvedimento, che dispone nei confronti degli operatori che hanno sottoscritto degli accordi con gli enti locali prima del 3 ottobre 2010 (data di entrata in vigore del d.m. 10 settembre 2010), che i proventi economici ivi previsti “restano acquisiti nei bilanci degli enti locali”. La disposizione in questione presenterebbe profili di incostituzionalità tenuto conto della lesione dei principi del legittimo affidamento e di libertà dell’iniziativa economica di cui agli articoli 3 e 41 della Costituzione, oltre che per violazione del divieto di retroattività desumibile dall’art. 11 delle preleggi. La medesima, inoltre avrebbe il carattere di un intervento legislativo sostanzialmente retroattivo producendo una modifica autoritativa delle convenzioni nulle sottoscritte in data antecedente il 3 ottobre 2010 conferendole efficacia. La retroattività in questione non sarebbe ammissibile giacché la stessa trova un limite nella “tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico”“quale principio connaturato allo Stato di diritto” (ex multis, Corte Cost., sent. nn. 525 del 2000; 209 del 2010; 103 del 2013; 160 del 2013) e non deve porsi in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti (sent. nn. 222 e 416 del 1999). Sotto distinto profilo, la norma in esame sarebbe incostituzionale, inoltre, per violazione degli articoli 11 e 117 c. 1 della Costituzione in relazione all’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU (Protezione della proprietà). La corresponsione di somme non dovute come le royalties potrebbe essere considerata un “valore patrimoniale” tutelabile ai sensi dell’art. 1 del Protocollo. Si tratta, infatti, di somme che scaturiscono da una situazione giuridica pacificamente vietata sia dalla legge che dalla giurisprudenza. Pertanto la ricorrente doveva considerarsi titolare, fino alla entrata in vigore della norma contestata, di un interesse economico che costituiva quanto meno un “legittimo affidamento” a non dovere corrispondere le somme nella misura stabilita nella Convenzione, le quali, pertanto, assumerebbero il carattere di “bene” ai sensi del primo periodo dell'art. 1 del Protocollo n. 1. Si dovrebbe escludere che, nella specie, l’intervento di cui all’art. 1, comma 953, della l. n. 145 del 2018, costituisca una legittima ingerenza dello Stato ai sensi del medesimo art. 1 del I Protocollo addizionale. Infatti, la Corte EDU ha sottolineato in varie occasioni che il solo interesse economico non giustifica l’intervento di una legge retroattiva che limiti un diritto di proprietà sui “beni” ai sensi della Convenzione (cfr. sentenze Zielinki e Pradal e Gonzales e altri c. Francia, nn. 24846/94; 34165/96; 34173/96). Inoltre, detta ingerenza deve trovare, secondo la Corte, un giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale della Comunità e le esigenze individuali di tutela dei diritti fondamentali (cfr. sentenza Sporrong e Lonnroth c. Svezia, 23 settembre 1982), e che deve esistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito dalle misure restrittive della proprietà. La norma impugnata, sanando retroattivamente l’efficacia di convenzioni affette da insanabile nullità, eluderebbe gli obblighi assunti a livello di Unione europea, ed inerenti la garanzia di “certezza per gli investitori” e la “stabilità nel tempo degli investimenti” imposti dalla Direttiva e recepiti dal legislatore statale in sede di attuazione della medesima. 2. In punto di fatto è necessario precisare che: a) il contratto, stipulato tra il Comune e l’ATI C s.r.l. e N s.r.l. alla quale è subentrata la soc. X, è stato sottoscritto il 30 luglio 2008; b) la clausola n. 4 prevede che l’ATI corrisponda al Comune una serie di indennizzi per l’inserimento ambientale dell’impianto eolico ed anche come corrispettivo per gli adempimenti e le obbligazioni assunte dal Comune medesimo, nonché a copertura delle somme dovute a titolo di ICI e TOSAP; c) l’autorizzazione unica prot. n. 33 del 12 dicembre 2011 richiama sia le linee guida approvate con d.m. del 10 settembre 2010, entrato in vigore il 3 ottobre 2010, sia la convenzione sottoscritta nel luglio 2008 con ATI dante causa di X s.r.l. 3. La sentenza impugnata del T.a.r. per le Marche, sez. I, n. 178 del 3 marzo 2021: a) ha ritenuto la nullità della clausola della convenzione del 30 luglio 2008 stante il contrasto con le norme imperative di cui all’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003 e con l’art. 1, comma 5, della l. n. 239 del 2004; b) conseguentemente, non ha esaminato i restanti motivi del ricorso in opposizione; c) ha accolto l’opposizione; d) ha condannato il Comune a restituire l’importo di euro (omissis) versati in esecuzione della clausola dichiarata nulla; e) ha compensato le spese di lite fra le parti. 4. Il Comune di A ha presentato l’appello in esame con il quale ha articolato due motivi (da pag. 8 a pag. 22): I. Violazione di legge in relazione agli artt. 1-3-88 D.lgs. 2.7.2010 n. 104. Violazione di legge in relazione all’art. 1, comma 953 della legge 145/2018. Violazione di legge in relazione agli artt. 295 e 337 cpc e all’art. 74 cpa in tema di pregiudizialità, art. 134 costituzione. Violazione del principio di certezza del diritto. Eccesso di potere per travisamento, anche per difetto motivazione sul punto. Illegittimità derivata. II) Violazione di legge in relazione agli artt. 1-3-88 D.lgs. 2.7.2010 n. 104. Violazione di legge in relazione all’art. 1, comma 953 della legge 145/2018, rispetto alle clausole di cui alla convenzione 2008 e alla AU 2011, anche alla luce della recente sentenza Corte Costituzionale nr. 46/2021. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. e art. 23 Cost., rispetto agli artt. 1173 e 1322 c.c. in tema di autonomia negoziale e all’art. 41 Cost. quale libertà di impresa. Violazione del principio di affidamento. Eccesso di potere per difetto di motivazione ed istruttoria. Illegittimità derivata. 5. Il 22 aprile 2021 la X s.r.l. si è costituita in giudizio per resistere al gravame. (omissis) 6. In via preliminare il Collegio: a) dichiara la tardività, ex art. 73, comma 1, c.p.a., del deposito documentale effettuato dal comune in data 23 novembre 2021, in accoglimento della eccezione sollevata dalla difesa della ditta (a pag. 6 della memoria del 30 novembre 2021); b) prende atto che il thema decidendumex art. 104, comma 1, c.p.a., è solo quello perimetrato in primo grado dal ricorso monitorio del comune e dalla opposizione proposta dalla ditta (da valere come domanda riconvenzionale) in quanto unici atti ritualmente notificati in prime cure (sul principio ex plurimis, sent. Cons. Stato, sez. IV, n. 2176 del 2021, n. 2999 del 2018; arg. pure da Ad. plen. n. 5 del 2015, § 6.3.). 6.1. In considerazione della fondatezza nel merito del gravame del Comune, per motivi di economia processuale e di sinteticità ex art. 3 c.p.a., può non essere esaminato il primo motivo dell’appello incentrato sulla questione di rito relativa alla sospensione ex art. 337, secondo comma, c.p.c., del processo di primo grado in attesa che la Corte costituzionale si pronunciasse. 7. Nel merito, l’appello del Comune è fondato per le seguenti motivazioni ritraibili anche dalle sentenze della sez. V n. 692 del 1 febbraio 2022 e n. 837 del 7 febbraio 2022, alle quali si rinvia ex art. 88, comma 2, lett. d) c.p.a. 7.1. Il Collegio osserva che con la convenzione del 30 luglio 2008 le parti hanno previsto “misure di compensazione” a carattere meramente patrimoniale a carico della società privata e a beneficio dell’Amministrazione comunale. E’ assente, infatti, un rapporto di sinallagmaticità fra l’impegno a versare le somme assunto dalla società e le prestazioni promesse dal Comune, tale per cui il primo sia remunerativo delle seconde. La stessa società afferma (nella memoria difensiva del 18 novembre 2021, pag. 4), infatti, di essere già nella disponibilità dei terreni sui quali sarebbe stato realizzato il parco eolico (a titolo di proprietà o di diritto di superficie) per cui non vi è stata alcuna acquisizione di facoltà di utilizzo di beni pubblici da parte dell’amministrazione comunale dietro pagamento di un “canone” a titolo di corrispettivo. 7.2. Le misure di compensazione comprendono tutti gli interventi rivolti a ridurre gli effetti deteriori dell’impatto di un’opera da realizzare sul contesto ambientale in cui è collocata e di esse la Corte costituzionale, con la sentenza n. 119 del 26 marzo 2010, ha fornito una chiara definizione, laddove ha affermato che “per misure di compensazione s’intende, in genere, una monetizzazione degli effetti deteriori che l’impatto ambientale determina, per cui chi propone l’installazione di un determinato impianto s’impegna ad assicurare all’ente locale cui compete l’autorizzazione determinati servizi o prestazioni. La legge statale vieta tassativamente l’imposizione di corrispettivo (le cosiddette misure di compensazione patrimoniale) quale condizione per il rilascio di titoli abilitativi per l’installazione e l’esercizio di impianti da energie rinnovabili, tenuto anche conto che, secondo l’ordinamento comunitario e quello nazionale, la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sono libere attività d’impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione (art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, in attuazione dell’art. 6 della direttiva 2001/77/CE). Devono, invece, ritenersi ammessi gli accordi che contemplino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, nel senso che il pregiudizio subito dall’ambiente per l’impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, viene “compensato” dall’impegno ad una riduzione delle emissioni inquinanti da parte dell’operatore economico proponente.” (par. 2.2.). Pertanto, le “misure di compensazione” si distinguono dalle “misure di mitigazione ambientale” o di “riequilibrio ambientale”, poiché non strettamente collegate all’opera da realizzare, la quale resta immutata nella sua composizione e negli effetti che produce (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 luglio 2014, n. 4041). E’ corretto, pertanto, affermare che con le misure compensative si intende sostituire una risorsa ambientale che si assume essere deteriorata con una risorsa equivalente (in ciò consisterebbe la compensazione). Ne consegue che la risorsa acquisita dalla cittadinanza in sostituzione può essere anche una risorsa meramente patrimoniale, per la natura illimitatamente scambiabile del denaro. Per quanto testé affermato le clausole della convenzione in esame hanno previsto misure di compensazione a carattere meramente patrimoniale. 8. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 46 del 2021 ha fornito precise indicazioni per la soluzione della odierna controversia. La Corte ha precisato: a) che nel quadro normativo vigente alla data di stipulazione della convenzione in esame non era esclusa la possibilità per i Comuni di stipulare convenzioni con gli operatori economici del settore delle fonti energetiche rinnovabili contemplanti misure di compensazione, poiché: a1) l’art. 12, comma 6, d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 riferiva il divieto alle sole Regioni, titolari del potere autorizzatorio e alle Province, in quanto delegate dalle Regioni a provvedere al rilascio dell’autorizzazioni unica: era infatti disposto che l’autorizzazione non potesse essere subordinata a “misure di compensazione” e che la stessa non poteva prevederle a favore dell’ente che rilasciava l’autorizzazione, la Regione o la Provincia, appunto; a2) l’art. 1, comma 5, l. 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), nella formulazione vigente (poi modificata dal d.l. 12 settembre 2014, n. 133 conv. in l. con mod. 11 novembre 2014, n. 164 che ha esteso il diritto alla stipulazione degli accordi anche agli “enti pubblici territoriali”) prevedeva che: “Le regioni e gli enti locali territorialmente interessati dalla localizzazione di nuove infrastrutture energetiche ovvero dal potenziamento o trasformazione di infrastrutture esistenti hanno diritto di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387”; a3) la sentenza della Corte costituzionale 14 ottobre 2005, n. 383, pronunciando sull’art. 1, comma 4, lett. f) l. n. 239 del 2004, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili dalla previsione di misure di compensazione e di riequilibrio ambientale; a4) l’art. 1, comma 5, l. n. 239 del 2004 consentiva allo Stato e alle Regioni di prevedere – allo scopo di garantire l’adeguato equilibrio territoriale nella localizzazione delle infrastrutture energetiche, nei limiti consentiti dalle caratteristiche fisiche e geografiche delle singole Regioni – eventuali misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale qualora esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale; a5) la sentenza della Corte costituzionale 26 marzo 2010, n. 119 (già precedentemente citata) ha espressamente riconosciuto l’ammissibilità di accordi che contemplino misure di compensazione e di riequilibrio ambientale, sul presupposto che il legislatore abbia vietato solamente che il rilascio di titoli abilitativi per l’installazione e l’esercizio di impianti da energie rinnovabili sia condizionato a misure di compensazione patrimoniale (come, peraltro, ribadito dalla sentenza della Corte costituzionale 1° aprile 2010, n. 124); b) che il cambio del quadro regolatorio si è avuto solamente con il d.m. 10 settembre 2010 del Ministero dello sviluppo economico il cui allegato 2 conteneva le “Linee guida per il procedimento di cui all’art. 12 decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché linee guida tecniche per gli impianti stessi”, per aver queste: b1) (sul piano procedurale) stabilito che le eventuali misure di compensazione devono essere definite nell’ambito della conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati, cui era precluso, pertanto, concordarle autonomamente con gli operatori economici, essendo tenuti ad accordarsi nel contesto procedimentale finalizzato all’emanazione del provvedimento di autorizzazione unica; b2) (sul piano oggettivo) ridotto notevolmente il novero delle misure compensative ammesse, escludendo espressamente la possibilità di imporre misure compensative di carattere “meramente patrimoniale”, essendo, invece, possibile prevedere solo misure compensative “di carattere ambientale e territoriale”, le quali, comunque, “non possono…essere superiore al 3 per cento dei proventi, comprensivi degli incentivi vigenti derivanti dalla valorizzazione dell’energia elettrica prodotta annualmente dall’impianto”; b3) (sul piano soggettivo) specificato che è possibile imporre misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale solo in caso di “concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale”; b4) sostanzialmente previsto una disciplina più restrittiva per le autorizzazioni rilasciate successivamente alla data di entrata in vigore (fissata al 3 ottobre 2010, sul punto, in senso conforme, Cons. Stato, sez. IV, n. 558 del 2021 che ha riconosciuto de plano la nullità della clausola monetaria pura contenuta in contratto successivo al 3 ottobre 2010); c) che l’art. 1, comma 953, l. 30 dicembre 2018, n. 145, ha risolto la situazione di squilibrio venutasi a determinare a seguito dell’adozione delle predette Linee guida tale per cui gli stessi operatori economici, nel medesimo settore delle energie rinnovabili, comprensive dell’energia eolica, erano soggetti a regole diverse quanto alle misure compensative e di riequilibrio ambientale in ragione della collocazione temporale (del provvedimento di) rilascio dell’autorizzazione unica, mediante: c1) l’imposizione di un obbligo di revisione degli accordi bilaterali di cui all’art. 1, comma 5, l. n. 239 del 2004 stipulati prima del 3 ottobre 2010 (data di entrata in vigore delle Linee guida) per renderli conformi ai criteri posti con le Linee guida stesse (vero e proprio “obbligo a contrarre” lo definisce la Corte costituzionale e non “mera esortazione”); c2) la previsione della piena validità di detti accordi – pur oggetto dell’obbligo di revisione pro futuro – per i quali è detto che “manten[gono] piena efficacia” con il conseguente effetto per cui “i proventi economici liberamente pattuiti dagli operatori del settore con gli enti locali (…) restando acquisiti nei bilanci degli enti locali”; c3) la precisazione che gli importi già erogati e da erogare in favore degli enti locali concorrono alla formazione del reddito d’impresa del titolare dell’impianto alimentato da fonti rinnovabili, con conseguente deducibilità a fini fiscali (anche quando derivanti dall’adempimento di misure di compensazione e riequilibrio ambientale di contenuto meramente patrimoniale). In ragione del ragionamento finora descritto la Corte costituzionale ha concluso nel senso della ragionevolezza complessiva dell’art. 1, comma 953, l. n. 145 del 2018: nel loro insieme le misure previste dal legislatore hanno l’obiettivo “a un tempo di garantire la concorrenza, riallineando le condizioni degli operatori del settore, quanto all’onere delle misure compensative e di riequilibrio ambientale, e altresì di promuovere la tutela dell’ambiente e del paesaggio con misure compensative specifiche e non già (solo) per equivalente” (par. 14 della sentenza n. 46 del 2021). 9. Per quanto esposto, la sentenza di primo grado va riformata: la convenzione del 30 luglio 2008 non aveva causa di scambio, ma era finalizzata ad imporre misure di compensazione a carattere meramente patrimoniale in capo all’impresa che avrebbe realizzato l’impianto di energia da fonte rinnovabile, alla luce del quadro normativo vigente al tempo della loro conclusione, per cui l’accordo concluso dal Comune di A con l’ATI era certamente consentito; più esattamente, il legislatore vietava di condizionare il rilascio dell’autorizzazione unica alle misure compensative (art. 12, comma 6, d.lgs. n. 387 del 2003) – quel che non s’è verificato nella vicenda in esame – ma ammetteva accordi tra operatori ed enti pubblici territoriali che tali misure prevedessero (art. 1, comma 5, l. n. 239 del 2004). 9.1. Le differenti regole poste dalle Linee guida del 2010 – per le quali non sono più possibili accordi bilaterali direttamente tra Comune e operatore economico, né sono ammesse misure compensative esclusivamente monetarie – non trovano applicazione alle convenzioni stipulate prima del 2010 (data di entrata in vigore delle stesse) perché non ne è stata prevista l’applicazione retroattiva agli accordi già stipulati ed ogni dubbio sulla loro validità è superato dalla norma confermativa adottata con l’art. 1, comma 953, l. n. 145 del 2018 (legge di bilancio per il 2018). Costituisce fulcro della citata disposizione la necessità e quindi l’obbligo per le amministrazioni locali, di rinegoziare gli accordi medesimi alla luce del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010, e segnatamente delle Linee guida approvate con d.m. del 10 settembre 2010 ed entrate in vigore il successivo 3 ottobre, al fine di renderli conformi ad esse. Per completezza si evidenzia che tale domanda non è stata proposta dalla società appellata nel presente giudizio. 10. Alla luce di tali premesse, è fondato il secondo motivo d’appello, con il quale il Comune sostiene l’applicabilità al caso di specie della sopravvenuta disposizione dell’art. 1, comma 953 della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio per il 2018), in quanto, contrariamente rispetto a quanto sostenuto dall’appellata (pag. 21 ss. memoria 6 settembre 2021), non ha rilievo la data in cui si è concluso l’iter autorizzativo ed è stata rilasciata l’autorizzazione unica, che richiamava le Linee guida: la sentenza della Corte costituzionale n. 46 del 2021 ha infatti chiarito ogni dubbio circa la portata della disposizione in questione laddove ha affermato che la stessa, nel prevedere che gli accordi bilaterali sottoscritti prima del 3 ottobre 2010 mantengono piena efficacia, è solo confermativa della non applicazione retroattiva delle prescrizioni delle Linee guida del 2010, quanto a tali misure, a tutti gli accordi stipulati prima del 3 ottobre 2010, data di entrata in vigore di queste ultime. Al § 23 la Corte soggiunge che <<il “regime” delle convenzioni in esame, frutto di un libero accordo tra le parti, non può incidere negativamente sulla massima diffusione delle energie da fonti rinnovabili, in quanto è “esterno” al procedimento di autorizzazione>>. 10.1. Inoltre, la Corte costituzionale ha posto in evidenza che “Nella fattispecie però l’intento del legislatore – come sopra esposto – è stato quello di tutelare il mercato e l’ambiente con un intervento bilanciato di razionalizzazione nel cui contesto è inserita anche la conferma del carattere diacronicamente differenziato della più restrittiva disciplina delle «misure compensative e di riequilibrio ambientale» dettata dalle Linee guida del 2010. Il mantenimento dell’efficacia dei “vecchi accordi” tra operatori e Comuni (quelli ante 3 ottobre 2010) non ha alcuna portata sanante di una asserita invalidità sopravvenuta e, nei limiti in cui ciò ha anche una ricaduta sull’interpretazione della normativa previgente, è comunque giustificato dalla già rilevata complessiva ragionevolezza della norma.” In altri termini, la disposizione in questione si giustifica anche con l’intento di razionalizzare una situazione che, dopo l’entrata in vigore delle Linee guida del 2010, si era fatta diacronicamente confusa (ed infatti la disposizione sancisce l’obbligo di rivedere le pattuizioni prevedendo anche misure di compensazione ambientale), per cui la stessa ha valore di interpretazione autentica. In proposito la Corte, ha precisato che “il legislatore, nel rispetto del limite posto per la materia penale dall’art. 25 Cost., «può emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale”, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» (sentenza n. 78 del 2012). Sotto questo aspetto, la norma censurata trova congrua giustificazione, come si è già sottolineato, nella finalità di tutelare il mercato e l’ambiente, preservando anche la tenuta dei bilanci dei Comuni; obiettivi questi che ben possono qualificarsi come «motivi imperativi d’interesse generale».” L’art. 1, comma 953, l. n. 145 del 2008, pertanto, non innova all’ordinamento giuridico – ponendo una nuova regola per una fattispecie astratta in precedenza non prevista con le medesime caratteristiche – ma conferma, ove se ne dubitasse, l’efficacia degli accordi aventi ad oggetto misure di compensazione meramente patrimoniali se stipulati prima dell’entrata in vigore delle Linee guida del 2010, come è avvenuto nel caso in esame. 10.2. Con l’opposizione al decreto ingiuntivo, da valere quale domanda riconvenzionale, l’appellata ha sollevato, a pag. 25, taluni profili di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 953, della l. n. 145/2018 in relazione agli artt. 3, 41 e 117 della Costituzione. La questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata alla luce delle motivazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 46 del 23 marzo 2021. 10.3. Alla stregua di tutte le riportate considerazioni devono essere respinti i quattro motivi posti a sostegno dell’opposizione proposta in primo grado dalla società X s.r.l.. 11. In conclusione, l’appello proposto dal Comune di A va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo proposto dalla società X s.r.l. 12. La peculiarità della vicenda – risolta con l’intervento della Corte costituzionale in corso di causa – giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello r.g.n. 2890/2021, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge l’opposizione al decreto ingiuntivo del T.a.r. per le Marche n. 49 del 1 marzo 2019. (omissis)  

© Artistiko Web Agency