Dipendente pubblico – risarcimento del danno da mobbing – fattispecie – insussistenza – reiezione della domanda – proscioglimento del ricorrente in processo penale – formula dubitativa – rimborso spese di difesa a carico del datore di lavoro – non spettano.

22.2.2024 Trib. Ravenna Sez. Lavoro Sent. 91/2024 est. Bernardi

11/03/2024

…  “MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso X domandava: “- in via principale, accertare che il Dott. X ha diritto ex art. 18, co. 1, d.l. 25/3/1997, n. 67, convertito dalla l. n. 135/1997 al rimborso delle spese processuali sostenute nel procedimento penale sub RG 160/2021. Per l’effetto, condannare l’Ispettorato Nazionale del Lavoro a corrispondere al ricorrente l’importo di € 17.623,58 oltre rivalutazione ed interessi; - in via autonoma e principale, accertare che le condotte poste in essere nei confronti del Dott. X e descritte in narrativa costituiscono mobbing o comunque violazione dell’art. 2087 c.c.; per l’effetto, condannare il Dott. M e, in via solidale ex art. 2049 c.c., l’Ispettorato centrale, al risarcimento del danno non patrimoniale quantificato in € 100.000,00 o nella diversa somma che sarà ritenuta di giustizia; condannare altresì l’Ispettorato centrale al risarcimento del danno patrimoniale pari a € 3.495,36 consistente nella perdita delle retribuzioni durante la sospensione cautelare dall’esercizio delle funzioni”. L’ispettorato resisteva al ricorso. M (chiamato qui solo ed evidentemente, oltre che testualmente, sulla domanda di risarcimento da mobbing e per esso evidentemente legittimato passivo, trattandosi di questione di merito quella relativa al periodo nel quale lo stesso era dirigente del X) resisteva al ricorso facendo istanza di chiamata in causa della propria compagnia di assicurazione V per ottenerne la manleva. V si costituiva resistendo al ricorso. La causa era posta in decisione senza assumere mezzi di prova costituendi, non essendovene necessità alla luce degli elementi documentali in atti, nonché del percorso logico-giuridico seguito con la presente motivazione. Il ricorrente (in servizio quale ispettore del lavoro dal (omissis)) sostiene di essere oggetto di mobbing dal (omissis), allorquando “5 la Dott.ssa P, all’epoca Direttrice dell’Ispettorato A di O, ha escluso il ricorrente dal suddetto ruolo [responsabile della “U.O. Vigilanza Ordinaria 1”] a causa dei giorni di assenza che egli prendeva per assistere la moglie malata fino al (omissis), quando quest’ultima è deceduta”. Sempre secondo il ricorrente, agli inizi del (omissis) veniva incardinato il resistente M (che resterà sino al settembre del (omissis)) quale dirigente di Ispettorato A di W-O-S, che poco dopo l’insediamento nominava responsabile della “U.O. Vigilanza Ordinaria 1” il collega “meno anziano” del ricorrente, tal B (in servizio dal (omissis)). Lamenta il ricorrente da tale momento “azioni vessatorie poste in essere tanto dal Dott. M quanto da altri colleghi, in particolare il Dott. B stesso e il Dott. C, entrambi con il beneplacito del Direttore”. In particolare “11. Il Dott. M è più volte arrivato a dubitare del reale impegno del ricorrente, rivolgendogli in maniera insistente domande inquisitorie, quali “dove sei andato?”, “cosa hai fatto?”. Inoltre, “12. Con la compiacenza del Direttore si era venuto a creare un clima di diffidenza e sospetto nei confronti dell’operato del ricorrente: qualsiasi circostanza poteva servire da pretesto ad alcuni ispettori, come il Dott. B e il Dott. C, per innescare segnalazioni al Dott. M. 13. Quest’ultimo, a sua volta, non perdeva tempo per interrogare il ricorrente sulla sua attività, anche davanti agli altri colleghi, mettendo in dubbio che fossero stati effettivamente svolti gli accessi ispettivi e gli altri compiti di sua spettanza”. Su tali aspetti risulta evidente la totale genericità del capitolato appena riportato, riferito ad eventi completamente privi di collocazione temporale e di sostanza descrittiva. Con conseguente inammissibilità delle tali prove per testi connesse a tale capitolato. Peraltro, è pure evidente che per il lavoratore dipendente la richiesta di giustificazioni relative all’attività svolta non integra alcun abuso da parte del superiore. A questo punto il ricorrente fa alcuni riferimenti specifici (nell’intenzione a titolo di esempio) a documentazione che versa in atti ed in particolare ad e-mail scambiate con i colleghi e con il dirigente. Viene in rilievo una e-mail del 20.6.2017. Con essa il dirigente scriveva al ricorrente “Egr. Ispettore, perché dovremmo essere già alla seconda volta che omette di indicare gli obiettivi specifici nella proposta di attività settimanale? Veda di completarli e di farmeli avere, attraverso l’Isp. B, entro venerdì prossimo 23 giugno”. A tale e-mail il ricorrente rispondeva ritenendo di non dovere compilare quanto richiesto, lamentando di essere sottoposto ai prodromi di mobbing da parte del B (“il comportamento del collega B è assolutamente pretestuoso e rancoroso nei confronti del sottoscritto tale da rasentare un atteggiamento che protratto nel tempo potrebbe configurarsi come “mobbing”). Tale e-mail (quella del direttore) non è evidentemente – sulla base della semplice lettura – classificabile entro nessuno schema di vessazione. Il secondo documento prodotto è una e-mail del B del (omissis) 2017 inviata al X e ad una terza collega (D) nella quale si imputava al ricorrente di non avere compilato e trasmesso ai colleghi amministrativi “i modelli relativi alla vigilanza fatta di recente in ordine agli eventi culturali … le chiedo cortesemente di intervenire, tenuto conto anche che X non effettua tutti gli accessi ispettivi che vengono programmati e la settimana successiva mi restituisce le pratiche dicendo che non l’ha evase”. A tale missiva seguiva la replica del X con il M, al quale lamentava essenzialmente quanto già fatto con la precedente e-mail (mobbing dal B) qui anche con coinvolgimento della collega D. Seguiva e-mail del M del (omissis) 2017 nella quale il ricorrente veniva invitato “a redigere e presentare circostanziato rapporto scritto sulle motivazioni giustificative, sui partecipanti e sui risultati ottenuti nel recente accesso in quel di Z, non oltre venerdì 25/8, al Resp.le Isp. B”. Altro fronte di criticità tra i due fu rappresentato dalla richiesta – motivatamente respinta dal dirigente – di 4,5 ore di straordinario da parte del X in relazione al tempo di viaggio per partecipare ad un incontro tenutosi presso altra sede territoriale di Ispettorato A. Ma il vero e proprio catalizzatore della presente controversia è rappresentato dalla segnalazione del (omissis) 2018 da parte del dirigente convenuto alla Procura della Repubblica di O di “presunti scorretti comportamenti in servizio” di due ispettori, tra cui il X. Esponeva il dirigente che il ricorrente “nel far ricorso all’uso del mezzo proprio per raggiungere le sedi delle ditte da controllare … abbia presentato a consuntivo, soprattutto in relazione ai mesi invernali di (omissis) 2017, le tabelle mensili di missione, dallo stesso sottoscritte, che paiono essere sovradimensionate, sia nel chilometraggio (sulla base delle suddette tabelle risultano essere stati percorsi oltre (omissis) km per ciascun mese utilizzando il mezzo proprio) che nel correlato numero di visite ispettive (oltre alle c.d. “rivisite”) effettuate presso la/e ditta/e oggetto d’ispezione. Nei suddetti prospetti di missione si è potuta notare pure la dicitura, estremamente generica: “zona di …” al posto del più ovvio indirizzo preciso”. A questo punto si avviava un procedimento penale (con sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio in data (omissis) 2019), poi sfociato in un processo, a carico del X, con le accuse di (omissis). Sull’esito del processo si tornerà in seguito. Al rientro dalla sospensione trimestrale, il ricorrente veniva reintegrato ma privato (da altro dirigente, nel frattempo insediatosi: E) di mansioni ispettive, riprese solo all’esito del lock down. Lamenta X che nel periodo del procedimento penale, i giornali locali avessero ripreso la notizia, descrivendo i capi di imputazione. Allega inoltre ulteriori condotte in due ulteriori segnalazioni disciplinari: il (omissis) 2018 dal M all’Ispettorato A (e sulla base della segnalazione del collega B), archiviato il (omissis) 2019) il (omissis) 2019 dal M all’Ispettorato A (archiviata il (omissis) 2019). Tanto premesso in ordine generale in fatto, il ricorso in punto a condotta di mobbing è infondato. Al di là di schermaglie come visto prive di reale spessore mobbizzante (mi ha chiesto dove ho lavorato, cosa ho fatto, non mi ha liquidate 4,5 ore di trasferta che non dimostro che mi spettavano, etc.), il cuore del presente giudizio è rappresentato – nell’alfa – dalla segnalazione alla Procura della Repubblica del (omissis) 2018 e – nell’omega – dall’assoluzione con sentenza divenuta definitiva il (omissis) 2022. Tale parentesi penalistica ha infatti importato i rilevanti costi (difensivi, investigativi) che ora il ricorrente richiede alla P.A. datrice di lavoro, ma ha anche causato la mancata percezione dello stipendio nel trimestre di sospensione, con conseguente corresponsione del solo assegno alimentare. Ha inoltre rappresentato una dolorosa parentesi non patrimoniale per l’indagato e imputato X. Su tale sentenza essenzialmente il ricorrente pone buona parte delle sue fortune. La stessa, tuttavia, al di là del dispositivo, che è effettivamente assolutorio, si regge sull’insufficienza di prove ai sensi del 2° comma dell’art. 530 c.p.p., che se giustamente lascia il ricorrente privo di ogni conseguenza giuridica di alcun tipo, non importa evidentemente ed automaticamente il dolo mobbizzante nell’artefice della segnalazione che ha dato l’avvio all’indagine sottostante quel processo penale e per cui vi è stata l’assoluzione. Occorre ripercorrere la vicenda delle indagini (così come riportata in sentenza) al fine di comprendere esattamente la dinamica processuale che ha condotto all’assoluzione. (omissis) … “Riassumendo: vi è assoluzione dubitativa, in relazione ad un procedimento penale all’esito del quale la Procura della Repubblica riteneva di formulare l’imputazione e andare a giudizio, il GIP riteneva di emettere ordinanza cautelare interdittiva e il GUP riteneva non vi fossero gli estremi per disporre l’archiviazione. Sulla base di tali elementi risulta più che ostico ritenere che vi fosse un intento mobbizzante nella segnalazione del M, (omissis) che si limitò ad osservare una criticità che venne avallata dai due dispositivi elettronici e condivisa – in fasi interlocutorie – dalla P.G. e da vari e diversi magistrati, per essere respinta solo con la sentenza dibattimentale, all’esito di una significativa istruttoria, nonché con formula dubitativa. Fatta piazza pulita di questo tema, ciò che ne resta è veramente poco. Due segnalazioni all’Ispettorato centrale da parte del dirigente, del tutto giustificate (la prima dalla segnalazione del (omissis) 2018 proveniente dal B e relativa sempre a presunte irregolarità – utilizzo della stessa vettura da parte di più ispettori, questioni conseguenti in tema di rendicontazione, oltre a questione di minori ore lavorate rispetto a quelle indicate – nell’utilizzo del mezzo proprio da parte del X) o perlomeno non pretestuose (la seconda da una sorta di “scavalco” compiuto dal X nei confronti del dirigente, al quale il primo aveva segnalato una condotta ritenuta non conforme di un collega [che è sempre il B ed è sempre in riferimento a quella stessa giornata per la quale il B aveva segnalato il X al M], indicando il dirigente quale “reo” di non avere prontamente dato seguito a tale segnalazione e “scavalcato” dal X mediante informativa diretta ad Ispettorato centrale). Circa la prima questione, nella segnalazione ad Ispettorato centrale il M chiariva che, nonostante il X non avesse, a differenza del preventivato, utilizzato la propria autovettura per l’attività ispettiva del (omissis) 2018, lo stesso poi aveva consegnato il consuntivo settimanale (lasciando invariato l’orario, nonostante l’attività fosse iniziata 50 minuti dopo rispetto al programmato) unitamente alla lettera di autorizzazione della settimana, ma poi escludendo tale giornata dalla tabella di missione del mese di novembre, fornendo il M quindi tutti gli elementi – anche favorevoli al X – in suo possesso ad Ispettorato centrale (il procedimento verrà archiviato in seguito all’audizione del X che chiarirà come quel giorno fosse comunque uscito all’orario previsto delle 7.30 salvo rimanere in panne ed essere quindi passato a prendere per strada dal collega B). Nemmeno la seconda questione appare integrare qualsivoglia elemento di dolosa preordinazione, essendosi il dirigente limitato a reagire istituzionalmente allo “scavalco” subito (il X verrà sulla circostanza archiviato; nulla si sa di quanto occorse al B, ossia se Ispettorato centrale prese o meno in considerazione la segnalazione del X, né che sorte essa in ipotesi ne ebbe). Al di sotto di qualunque soglia di rilevanza si pongono, poi, le questioni sollevate con riferimento alle e-mails di cui si è dato sopra conto, trattandosi di ordinaria dialettica e dinamica di ufficio, alla quale – peraltro – il X era solito rispondere prontamente e a tono, anche polemizzando con i colleghi e anche (come visto) scavalcando il dirigente per effettuare segnalazioni di presunte irregolarità di un collega (B) direttamente all’Ispettorato centrale, lamentando nel contempo l’inerzia sul punto del dirigente al quale il X aveva (senza esito) segnalato tali irregolarità (ciò che, come visto, darà luogo ad una controsegnalazione disciplinare dal dirigente ad Ispettorato centrale relativamente a tale attività del X). Che vi fosse una conflittualità tra alcuni dipendenti (tra cui il X) e che ciascuno di essi (compreso il X), in alcune occasioni, avesse segnalato le presunte irregolarità del collega-avversario, fa parte di un clima reciprocamente conflittuale e che non è riconducibile di per sé al mobbing. Peraltro, l’ambiente lavorativo dell’Ispettorato A di O, come ricorda la difesa del M, era già stato pesantemente segnato dall’arresto pochi anni prima del responsabile dell’attività ispettiva e di un suo collaboratore, poi processati e condannati (pare non ancora in via definitiva), con ovvie ripercussioni (umane e non certamente imputabili al datore di lavoro o a suoi dirigenti) sui rapporti di fiducia reciproca tra colleghi nell’ambiente di lavoro. Non risulta allegata e dimostrata alcuna violazione o abuso nei procedimenti che hanno assegnato ad altri le funzioni di “pianificazione e coordinamento degli ispettori” (peraltro l’ordine di servizio del (omissis) 2016 non individua tanto funzioni di direzione di U.O. quanto piuttosto un ruolo di pianificazione e coordinamento, mentre il responsabile di tutta l’area di vigilanza era un certo F, nei confronti del quale il ricorrente nulla ha mai esposto o lamentato nulla) in precedenza rivestite dal X (la cosa, in realtà, è fisiologica). Anche la questione delle 4,5 ore di straordinario non corrisposte (e che ha dato un gran daffare al ricorrente ed al suo precedente legale, per poi essere abbandonata), appare collocarsi al di fuori di ogni tema di mobbing, trattandosi di questione meramente economica, interpretativa del dato contrattuale collettivo e soprattutto, in relazione alla quale nemmeno in questa sede né è stata dimostrata la fondatezza (ma la controvertibilità ne esclude già di per sé l’intento vessatorio). La questione relativa alla pubblicazione a mezzo stampa delle notizie relative al procedimento contro il X, pur dedotta insieme alle altre dalla difesa di quest’ultimo, non appare sinceramente riferibile all’operato né di Ispettorato centrale, né del M. Anche l’avere adibito il ricorrente – dopo il ritorno in servizio a seguito della cessazione degli effetti della interdittiva cautelare, ma a procedimento penale ancora in piedi – per alcuni mesi ad attività diverse da quelle ispettive, non risulta violare alcuna regola o principio, essendo stato rispettato il CCNL (e non è mai stato sostenuto il contrario). Infine, completamente priva di rilevanza (dimostrando anzi la complessiva cifra delle lamentele in tema di mobbing) è la doglianza (“42. Il Dott. M non ha perso tempo: con nota (omissis) del (omissis) 2019, il Direttore dell’Ispettorato A ha immediatamente trasmesso l’ordinanza che ha disposto la misura cautelare all’UPD presso l’Ispettorato centrale, che con nota prot. (omissis) del (omissis) 2019 ha formalizzato in relazione ai menzionati capi d’imputazione una contestazione disciplinare relativa al procedimento disciplinare n. (omissis)”) relativa all’avere immediatamente segnalato il M ad Ispettorato centrale l’ordinanza cautelare interdittiva, ai fini dell’esercizio del potere disciplinare (il dirigente vi è ovviamente tenuto ex lege e non si comprende davvero perché avrebbe dovuto “perdere” tempo non segnalando – o segnalando “non immediatamente” – quanto era invece in suo dovere di segnalare prontamente). Quanto qui ritenuto (l’irrilevanza) relativamente ad ogni singola doglianza mossa dal X nei confronti del datore di lavoro e di uno dei dirigenti (M) del periodo in esame, va anche ed evidentemente confermato anche in una lettura complessiva e dinamica degli accadimenti, non apparendo mai emergere alcun intento persecutorio (che è elemento costituivo della fattispecie del mobbing: per tutte Cass. n. 3692/2023) nell’attività del datore di lavoro o del singolo dirigente convenuto. Conclusivamente, non può ritenersi, pertanto, sussistente alcuna forma di mobbing e tale domanda va respinta. Altra domanda è quella relativa al rimborso delle spese processuali ex art. 18, co. 1, d.l. 25/3/1997, n. 67. Anche tale domanda è infondata. Infatti, “In materia di pubblico impiego privatizzato, l'amministrazione è tenuta al rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente assolto in esito ad un processo penale solo quando i fatti oggetto dell'imputazione siano connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento degli obblighi istituzionali, non quando il rapporto di lavoro abbia costituito una mera occasione per la commissione dei fatti a lui imputati. (Nella specie, è stata respinta la domanda di un funzionario addetto all'ufficio passaporti di una questura, imputato e poi assolto dai reati di peculato e ricettazione di valori bollati)” (Cass. n. 28597/2018; conforme Cass. n. 20561/2018 che, ancora più chiaramente, evidenzia come “In materia di pubblico impiego, il contributo da parte della P.A. alle spese per la difesa del proprio dipendente, imputato in un procedimento penale, presuppone l'esistenza di uno specifico interesse, ravvisabile ove l'attività sia imputabile alla P.A. - e, dunque, si ponga in diretta connessione con il fine pubblico - e sussista un nesso di strumentalità tra l'adempimento del dovere ed il compimento dell'atto, atteso che il diritto al rimborso costituisce manifestazione di un principio generale di difesa volto, da un lato, a tutelare l'interesse personale del dipendente coinvolto nel giudizio nonché l'immagine della P.A. per cui lo stesso abbia agito, e, dall'altro, a riferire al titolare dell'interesse sostanziale le conseguenze dell'operato di chi agisce per suo conto. (Nella specie, è stata esclusa la sussistenza delle condizioni per il rimborso in relazione ad un procedimento penale per timbratura del cartellino marcatempo di altro dipendente, a nulla rilevando l'intervenuta assoluzione)”). Nel caso di specie non vi è diretta connessione, con il fine pubblico, della contestata (perché è all’ipotesi contestata che si deva fare riferimento) sovrarendicontazione dei chilometri percorsi, né vi è strumentalità tra l’adempimento del dovere e tale attività. Residua la questione della differenza (pari ad € (omissis)) tra retribuzione e assegno alimentare nel periodo di sospensione cautelare disposta dal GIP. Sul punto deve farsi riferimento all’8° comma dell’art. 67 del CCNL, comparto Funzioni Centrali 2016-2018 del 12.02.2018, ai sensi del quale “8. Nel caso di sentenza penale definitiva di assoluzione o di proscioglimento, pronunciata con la formula “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso” oppure “non costituisce illecito penale” o altra formulazione analoga, quanto corrisposto, durante il periodo di sospensione cautelare, a titolo di indennità, verrà conguagliato con quanto dovuto al dipendente se fosse rimasto in servizio, escluse le indennità o i compensi connessi alla presenza in servizio o a prestazioni di carattere straordinario. Ove il procedimento disciplinare riprenda, ai sensi dell’art. 65, comma 2, secondo periodo (Rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale), il conguaglio dovrà tener conto delle sanzioni eventualmente applicate”. Dunque, spettano le somme relative alla differenza tra retribuzione spettante ed indennità alimentare. Oltre accessori di legge dalla sentenza di assoluzione al saldo. Le spese di lite vengono regolate come segue. Il ricorrente aveva aderito alla proposta giudiziale (“formula alle parti la seguente proposta conciliativa: pagamento al ricorrente dall’’Ispettorato centrale della differenza tra lo stipendio e l’indennità alimentare percepita nel periodo di sospensione, oltre ad un concorso spese legali di € (omissis) per compensi oltre accessori di legge; spese compensate tra ricorrente e M”) in base alla quale la causa sarebbe stata abbandonata dietro il pagamento da parte della P.A. datrice di lavoro della somma relativa alla differenza tra retribuzione spettante ed indennità alimentare, somme che effettivamente questa sentenza attribuisce al lavoratore in base al CCNL applicabile al rapporto di specie (francamente incomprensibile – atteso il chiarissimo tenore del CCNL sul punto – il rigetto di tale proposta da parte dell’Avvocatura dello Stato). In base al principio di causalità, quindi, tra lavoratore e datore le spese antecedenti a questa proposta devono compensarsi attesa la reciproca soccombenza, mentre le spese successive (della fase di discussione) vanno riconosciute al ricorrente, sulla base del ridotto petitum comunque ottenuto. Tra lavoratore e dirigente, le spese possono compensarsi attesa non solo l’adesione (poi non perfezionatasi alla luce del rifiuto di Ispettorato centrale) di entrambe le parti alla proposta giudiziale, ma anche attesa la particolarità e la complessità del caso di specie. Le spese tra il M e la chiamata in causa V S.A. vanno compensate atteso l’assorbimento di tale domanda a cagione del rigetto della domanda formulata dal ricorrente nei confronti del M. (omissis)

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