Contributi EU in agricoltura – decadenza – presupposti e fattispecie – illegittimità

15.5.2019 – TAR MARCHE – Sent. 315/2019 Pres. F.F. Morri - Est. Capitanio

06/06/2019

… “1. La società ricorrente, esponendo di aver presentato domanda di adesione al Piano zonale pluriennale agroambientale per la stagione agraria 1996/1997 e successive (Misure A2 e D3, relative all’incentivazione dell’agricoltura c.d. biologica) e di essersi vista liquidare periodicamente i contributi che le spettavano, impugna i provvedimenti con i quali la Regione Marche – Servizio Decentrato Agricoltura e Alimentazione di X l’ha dichiarata decaduta dal finanziamento. A fondamento di tali provvedimenti la Regione ha posto le seguenti circostanze: - relativamente a ettari 28,97, ricadenti nel Comune di V, questi sarebbero stati soggetti all'impegno per soli cinque anni (1997-2001), anziché per sei (quattro più due) anni (in particolare, è risultata assente la campagna 2002); - relativamente a ulteriori ettari 2,83, ricadenti sempre nel Comune di V, questi sarebbero stati soggetti all'impegno di coltivazione di erba medica per quattro anni consecutivi (1998-2001), ma sarebbero assenti per i due anni successivi le coltivazioni non leguminose, da eseguire in rotazione; - relativamente a ulteriori ettari 6,53, ricadenti nel Comune di Z, si sarebbero mantenute per anni cinque consecutivi le colture di erba medica (anni 1998-2002), e ciò in violazione delle prescrizioni di cui alla Deliberazione Amministrativa del Consiglio Regionale n. 240/1998; - la particella 22 del foglio 10 del Comune di V, per una superficie di ettari 4,38, è presente in domanda solo nell'anno 2000. 2. Sulla base di tali presupposti la Regione Marche contestava alla soc. X le seguenti violazioni: a) irregolarità ai sensi del D.M. n. 159/1998, articolo 6 - commi I, II, III e IV - lettere a) e b), per le misure A - azione A2 e D - azione D3. Secondo la Regione l'inadempimento configurerebbe il mancato rispetto di un impegno essenziale disposto dal Programma Zonale Pluriennale della Regione Marche al quale l'azienda ricorrente aveva aderito, e la cui fonte normativa andrebbe individuata nella D.A.C.R. n. 240 del 22 dicembre 1998, recante “Modifica della deliberazione del Consiglio Regionale del 17 febbraio 1998, n.184 "regolamento CEE 2078/92. Modifica della deliberazione 5 novembre 1996, n.93 modificativa della precedente deliberazione 30 aprile 1996, n.62 alla luce della decisione della Commissione Europea C (96) del 30 dicembre 1996" per le rotazioni ammesse nell'Azione A2 - Agricoltura Biologica”. Con la citata D.A.C.R., pubblicata sul BURM solo nell'aprile 1999, la durata dell'impegno che i soggetti ammessi a contribuzione dovevano osservare veniva portata da cinque a sei anni, di cui due con rotazione a coltura non leguminose, per la misura A2 (per la quale X aveva impegnato complessivi ettari 28,97); b) irregolarità, ai sensi del D.M. n. 159/1998, articolo 6 - comma V, per il resto della superficie, posta in misura D3 (ettari complessivi 40,48), e contestualmente notificava l'avvio del procedimento di declaratoria di decadenza totale dai benefici, con conseguente richiesta di restituzione dei contributi già versati ad X, pari ad € 108.932,53, oltre interessi. 3. Già in data 3 dicembre 2002 la società ricorrente comunicava alla Regione Marche di essersi avveduta il giorno precedente che, relativamente ai terreni al fg. _ mapp. __ e ____ in Comune di V ed ai terreni al fg. _ mapp. _ e fg. __ mapp. ____ in Comune di Z, nelle domande di adesione alla misura D3 per gli anni 2000-2001 e 2002 era stato erroneamente indicato il codice coltura 33, corrispondente "all'erba medica", anziché il codice 38, corrispondente alla coltura "pascolo" effettivamente praticata sui terreni de quibus. In ragione di ciò la ricorrente chiedeva alla Regione di prendere atto del suddetto errore formale, ricalcolando se del caso il nuovo importo del contributo dovuto, previo eventuale sopralluogo sul posto (peraltro mai effettuato). Tali argomentazioni venivano poi ribadite con gli scritti difensivi che la ricorrente depositata in data 16 gennaio 2003, in cui X faceva rilevare che la Misura A2 cui la stessa aveva aderito nel novembre 1996 prevedeva una originaria decorrenza dall’11 novembre 1996 all’11 novembre 2001, pari alla durata dei contratti di affitto stipulati, e non contemplava rotazioni di sorta, e che la modifica della maggior durata della Misura, portata da anni 5 ad anni 6 con rotazione colturale per anni due, era stata adottata a fine dicembre 1998 (D.A.C.R. n. 240/1998, pubblicata sul BURM nell'aprile 1999, e dunque a programma già avviato da un triennio). La ricorrente aveva sempre indicato in cinque anni la durata del programma aziendale relativo a tale Misura, per cui la circostanza era nota ed accettata dalla Regione Marche, che nulla aveva eccepito in merito, liquidando anzi i contributi dovuti anche per gli anni 2000 e 2001. Quanto alle altre due contestazioni, afferenti ettari 6,53 in Comune di Z ed ettari 2,83 in Comune di V relativi alla Misura D3 (che abbraccia complessivamente oltre 40 ettari), X ribadiva invece di essere incorsa in un mero errore materiale in sede di indicazione del codice di coltura. 4. Nonostante tali deduzioni difensive, la Regione adottava i provvedimenti indicati in epigrafe, che X impugna deducendo i seguenti motivi: a) violazione degli artt. 3, 7 e 8 L. 7/8/1990 n. 241. Illegittimità derivata. Eccesso di potere per difetto di motivazione ed erroneità dei presupposti. Al riguardo la società ricorrente evidenzia che: - la deliberazione del C.R. n. 240/1998 aveva destinatari ben precisi e individuabili ex ante (ossia gli operatori agricoli che avevano già all'epoca presentato ed attivato programmi ai sensi del Regolamento CEE 2078/1992, relativamente alla coltivazione dell'erba medica), per cui agli stessi avrebbe dovuto essere comunicato l’avvio del procedimento di modifica delle precedenti deliberazioni che regolavano l’intervento per cui è causa; - né risultano le ragioni di urgenza che hanno impedito alla Regione Marche di osservare le disposizioni di cui agli artt. 7 e ss. della L. n. 241/1990; - nel caso di specie, tale omissione ha impedito alla ricorrente sia di illustrare le gravissime conseguenze che la modifica in corsa del bando è idonea a produrre per l’azienda, sia di evidenziare che essa, avendo preso in affitto terreni per cinque anni proprio per partecipare, dalla annata agraria 1996/1997, al programma pluriennale, si veniva a trovare nella giuridica impossibilità di prolungare la durata dei contratti di affitto; b) violazione del Regolamento CEE 30/6/1992, n. 2078, degli artt. 1 e ss. del D.M. 27/3/1998, n. 159, e dei principi generali in tema di azione amministrativa. Violazione art. 3 L. n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, istruttoria e presupposti, contraddittorietà, perplessità. Ingiustizia manifesta, disparità di trattamento. Illegittimità derivata. Con questo secondo gruppo di censure la società ricorrente evidenzia che: - i provvedimenti impugnati (ivi inclusa la D.A.C.R. n. 240/1998, laddove alla stessa si volesse riconoscere efficacia retroattiva) colpiscono immotivatamente la coltura di erba medica praticata da essa ricorrente, alla quale vengono imposte limitazioni così drastiche e retroattive, e tali da vanificare la misura pure concessa a seguito regolare istruttoria, espletata in conformità alle norme e secondo le procedure di cui agli artt. 1 e 2 D.M. n. 159/1998, all'epoca dell'istruttoria vigenti, norma peraltro anch'essa successiva all'inizio dell'impegno della ricorrente per la misura A2; - nessuna altra coltura biologica ha subito identico trattamento, sì che solo i coltivatori di erba medica sarebbero costretti a modificare, in itinere, un programma già approvato dalla P.A. ed ammesso a contributo, adottando forzosamente un aumento di un anno nella durata della misura, ed una rotazione agraria, che nel caso della ricorrente non era giuridicamente e materialmente possibile; - senza alcuna apprezzabile ragione vengono ad essere fortemente penalizzati i principi di libera iniziativa economica pur costituzionalmente garantiti, con una inammissibile efficacia retroattiva; - sotto altro profilo, l’operato della Regione si pone in contrasto con il Regolamento CEE 2078/1992, perché scopo primario di tale normativa non è favorire la rotazione agraria, ovvero imporre agli agricoltori ciò che garbi alla P.A., ma di indennizzare i produttori dei maggiori oneri che incontrano nella coltivazione biologica, senza discriminazioni in relazione alla varietà e alla natura del prodotto coltivato; - sotto ulteriore profilo, si appalesa evidente il difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati, nonché l’erroneità dei presupposti di fatto e di diritto sui quali essi si fondano. Infatti, una volta inoltrato ed approvato dalle competenti autorità amministrative il programma quinquennale di ciascuna azienda, l’amministrazione non può, del tutto unilateralmente, modificare il programma, dopo che l’azienda interessata ha effettuato investimenti e mobilitato risorse finanziarie cospicue; - la Regione non ha nemmeno dato conto del pubblico interesse che giustifica la revoca della misura A2, con riguardo alla duplice circostanza che la modifica dei presupposti era stata adottata successivamente all'inizio della misura, che era stata peraltro sempre dichiarata, negli anni, con scadenza a fine 2001, e dunque con durata quinquennale, passando senza alcuna osservazione i vagli istruttori previsti ed esercitati ex art. 1 e 2 del D.M. 27/3/1998 n. 159, e che la possibilità di articolare la misura su sei anni era resa oggettivamente impraticabile dalla durata quinquennale dei contratti di affitto stipulati dalla ricorrente proprio sulla scorta della disciplina in vigore nel 1996, all'epoca della ammissione alla misura A2; - analoghe argomentazioni valgono per la misura D3; c) violazione artt. 2 e 3 L. n.241/1990 e artt. 1, 2, 3 e 5 D.M. n. 159/1998. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, motivazione e presupposti, contraddittorietà, perplessità, ingiustizia manifesta. Illegittimità derivata. In via subordinata la ricorrente deduce che: - l'art. 5 del D.M. n. 159/1998 prevede, al primo comma, una particolare istruttoria per la pronunzia di decadenza totale nel caso di perdita sopravvenuta dei requisiti di concessione degli aiuti. In particolare, non si procede al recupero delle annualità di premio già corrisposte qualora le modifiche della situazione iniziale non siano riconducibili alla volontà del beneficiario; - nella specie, dunque, era obbligo della Regione valutare che una modifica ai requisiti di partecipazione alla misura sopravvenuta a circa tre anni dalla prima istanza di partecipazione alla misura A2 e alla misura D3, mai comunicata né preventivamente né successivamente alla ricorrente, non poteva non rientrare nella previsione del citato art. 5, il quale esprime il generale principio della irripetibilità delle somme percepite in buona fede, le quante volte, come nel caso di specie, restino ignote le ragioni di pubblico interesse che militano a favore della revoca del beneficio; - l'applicazione dell'art. 5 del D.M. n. 159/1998 avrebbe comportato, in ogni caso, la illegittimità del recupero integrale delle somme liquidate; - del pari illegittima, anche per violazione dell'art. 3 del D.M. n. 159/1998, è la contestazione della violazione relativamente alla misura D3. Infatti la società ricorrente aveva comunicato l’errore commesso nella digitazione del codice relativo alla coltura in atto nei terreni indicati per la misura in parola, invitando la Regione a verificare mediante sopralluogo la veridicità di quanto dichiarato da AGRA. Ma la Regione, incorrendo in un palese difetto di istruttoria, ha omesso di effettuare tale sopralluogo; - la modesta consistenza quantitativa delle contestazioni afferenti la misura D3 rispetto alla totalità dei terreni vincolati (oltre ettari 60), non poteva comunque comportare la decadenza totale della percepita contribuzione, anche in relazione a quanto previsto all'art. 5, comma 2, del D.M. n. 159/1998. 5. Si è costituita in giudizio la Regione Marche, chiedendo il rigetto del ricorso. Con ordinanza n. 415/2003 è stata accolta in parte la domanda cautelare. “… (OMISSIS) …” 6. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, sollevata dalla difesa regionale con la memoria depositata in data 13 marzo 2019. L’eccezione è infondata, atteso che: - data per assodata la regola di riparto della giurisdizione applicabile alla materia dei contributi pubblici (da ultimo si veda la sentenza del TAR Marche n. 129/2019 e le decisioni delle Sezioni Unite e dell’Adunanza Plenaria ivi richiamate), nel caso di specie, seppure il provvedimento impugnato parli di “decadenza” dal finanziamento, si è in realtà di fronte ad una controversia inerente l’asserito mancato possesso ab origine di uno dei requisiti di ammissibilità del progetto o, comunque, della sopravvenuta carenza di tali requisiti determinata da una modifica in corso d’opera del bando; - in effetti, non c’è dubbio che la violazione degli obblighi di mantenere l’impegno per sei anni e di procedere alla rotazione periodica delle colture che viene addebitata ad X discende una prescrizione che è stata introdotta con la D.G.R. n. 240/1998, la quale è dichiaratamente volta a modificare la precedente D.G.R. n. 184/1998; - parte ricorrente contesta in primo luogo proprio tale modifica “in corsa” del bando, per cui la controversia rientra nella giurisdizione generale di legittimità del G.A. 7. Nel merito il ricorso è fondato e va quindi accolto. 7.1. Con riguardo alle annate 1997, 1998 e 1999 (rispetto alle quali il Tribunale già in sede cautelare ha condiviso le doglianze di parte ricorrente) non vi è alcun dubbio circa il fatto che la modifica apportata al bando dalla Regione ha oggettivamente impedito alla società ricorrente di rispettare le prescrizioni di cui alla D.G.R. n. 240/1998. In effetti, se X avesse saputo sin dall’inizio che l’impegno temporale minimo da osservare era non già di cinque, ma di sei anni, si sarebbe premurata di stipulare i contratti di affitto dei terreni per un periodo maggiore. Del resto, laddove la ricorrente non fosse riuscita in tale intento, la sua domanda sarebbe stata ritenuta non ammissibile ab initio o, comunque, il problema sarebbe emerso in occasione delle verifiche periodiche finalizzate alla liquidazione del contributo relativo alla singola stagione agraria. 7.2. La Regione, al riguardo, richiama però la decisione della Commissione Europea con cui è stato approvato a suo tempo il Programma agroambientale della Regione Marche e sottolinea il fatto che l’azienda ricorrente si era impegnata ad accettare future modifiche della lex specialis che fossero state eventualmente introdotte con regolamenti comunitari o nazionali. La Regione eccepisce altresì la tardività dell’impugnazione della D.A.C.R. n. 240/1998. Tali eccezioni non sono condivisibili. Quanto all’eccezione di tardività del ricorso nella parte in cui è impugnata la D.A.C.R. n. 240/1998, la stessa va disattesa in quanto la deliberazione consiliare è un atto generale, produttivo di effetti solo in sede applicativa. Quanto invece all’impegno assunto da X ad accettare modifiche future del bando, lo stesso riguardava solo le modifiche che fossero state apportate da norme regolamentari, comunitarie o nazionali, e non anche quelle disposte con provvedimenti amministrativi. In ogni caso, la clausola di rinuncia preventiva a far valere l’illegittimità di tali atti sopravvenuti sarebbe nulla (in tal senso si veda la sentenza del Consiglio di Stato n. 1337/2016, paragrafo 2. della motivazione in diritto). Quanto alla decisione della Commissione CEE, dalla lettura della nota prot. n. 13206 del 24 marzo 1997 della Direzione Generale dell’Agricoltura (documento allegato n. 18 del deposito eseguito dalla difesa regionale il 7 marzo 2009) si evince che, pur avendo la Commissione accennato alla questione della rotazione colturale (prescrizione tecnica che comunque non è rigidamente disciplinata né dal Regolamento CEE n. 2078/1992 né dal Regolamento n. 2092/1991 – quest’ultimo, allegato I, punto 2.1., parla solo di “…adeguato programma di rotazione pluriennale….”), l’arco temporale minimo per il quale i soggetti ammessi a contribuzione avrebbero dovuto rispettare gli impegni era sempre indicato in cinque anni, per cui lo scenario è mutato solo a seguito dell’adozione della D.A.C.R. n. 240/1998. Non rileva invece la questione relativa alla percentuale massima di SAU che le imprese aderenti potevano destinare alla coltivazione dell’erba medica (60%), perché questo profilo non è stato contestato nei provvedimenti impugnati e, comunque, anche a questo riguardo va osservato che se il progetto aziendale di X non soddisfaceva tale requisito, la sua domanda avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile ab initio. 7.3. Il ricorso va accolto anche con riguardo alle successive annate agricole. Questo per due ordini di ragioni. In primo luogo, perché il vizio genetico derivante dalla modifica in corsa del bando si ripercuote anche su queste annate (non avendo la ricorrente il diritto potestativo di pretendere dalle controparti la proroga dei contratti di affitto, proroga che per alcuni contratti è stata peraltro ottenuta, il che comprova la buona fede di X). In secondo luogo, perché, una volta eliminate le inadempienze imputate alla ricorrente per le predette annate 1997, 1998 e 1999, inevitabilmente anche quelle relative alle annate successive vengono ridimensionate, per cui il giudizio finale espresso dalla Regione circa la gravità dell’inadempimento va annullato per erroneità dei presupposti. Del resto, in parte qua il D.M. n. 159/1998 reca ben precise disposizioni, che in parte reiterano i principi generali di cui alla L. n. 241/1990 (e quindi esprimono un favor per il privato, al quale, ad esempio, deve essere consentito di sanare le mere irregolarità - art. 1, comma 2), anche in termini di necessaria completezza dell’istruttoria, e in parte introducono temperamenti all’obbligo di recupero integrale dei contributi erogati in caso di accertati inadempimenti del beneficiario rispetto agli impegni assunti (art. 5, comma 1, norma che è perfettamente attagliabile al caso della società ricorrente). Quanto alla completezza dell’istruttoria va altresì rilevato che, laddove la Regione avesse dubitato della genuinità del “ravvedimento” di cui alla citata comunicazione di X datata 3 dicembre 2002, sarebbe stato suo preciso dovere effettuare un sopralluogo in situ, onde verificare quale fosse la coltura effettivamente praticata sui terreni di cui alla medesima comunicazione (art. 3 del D.M. n. 159/1998). Del resto, costituisce affermazione comune e condivisa quella per cui il diritto comunitario si muove in un’ottica sostanziale, e pertanto l’imprenditore agricolo deve avere sempre la possibilità di provare che lo stato di fatto non corrisponde alle risultanze cartacee. A tal proposito va poi rilevato che i funzionari tecnici addetti alle ispezioni presso le imprese agricole posseggono le competenze necessarie per accertare se quanto asserito dall’azienda corrisponda al vero (sul punto si possono richiamare le sentenze di questo Tribunale nn. 803 e 804 del 2017, relative a vicende in cui gli ispettori regionali avevano accertato che le colture indicate dalle aziende interessate non erano state effettivamente praticate secondo la tempistica di cui ai progetti ammessi a contribuzione). In questa sede, peraltro, la ricorrente ha corroborato le suddette rettifiche con l’ausilio di perizia tecnica redatta dal dott. agronomo M. 7.4. Le doglianze di X sono da condividere anche con riguardo alla misura D3, visto che, una volta superate le problematiche inerenti la misura A2 (la quale, come detto, interessava la parte maggioritaria dei terreni nella disponibilità della ricorrente), l’incidenza percentuale dell’inadempimento sarebbe comunque minimale e da rivalutare ai sensi del citato art. 5 del D.M. n. 159/1998. 8. Non sono invece fondate – o comunque sono assorbite – le censure relative all’asserita violazione delle garanzie partecipative di cui agli artt. 7 e ss. della L. n. 241/1990, visto che la D.A.C.R. n. 240/1998 è un atto di programmazione generale e dunque ricade nell’alveo applicativo dell’art. 13 della L. n. 241/1990. Il problema risiede invece nel fatto che la Regione, nel modificare la lex specialis, avrebbe dovuto, eventualmente chiedendo un nulla osta in tal senso alla Commissione CEE, prevedere disposizioni specifiche per quelle che imprese che, confidando nel bando vigente ratione temporis, avevano avuto la disponibilità di terreni solo per cinque anni e potevano dimostrare l’impossibilità oggettiva di prolungare la durata dei relativi contratti di affitto. 9. Da ultimo va condiviso l’argomento di cui alle memorie conclusionali depositate da X il 1° e il 21 marzo 2019, laddove la ricorrente eccepisce che alcune delle ragioni esposte dalla difesa regionale nei propri scritti difensivi per giustificare l’adozione degli atti impugnati non emergono dagli atti medesimi e dunque non sono da tenere in considerazione ai fini della presente decisione. 10. Il ricorso va dunque accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Le spese del giudizio si possono però compensare, anche in ragione della complessità della vicenda sottostante. (OMISSIS)    

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