Art. 118 c. III d.leg.vo 163/2006 – appalto pubblico – fallimento dell’appaltatore – diritto del subappaltatore ad essere soddisfatto del suo credito dal fallimento in prededuzione – non sussiste – ragioni.

15.4.2024 – Corte di Cassazione sez. I civile – Ord. 10079/2024 – Pres. Ferro Rel. Fidanza

22/04/2024

… “Con decreto depositato il 4.10.2017 il Tribunale di Arezzo, in parziale accoglimento dell’opposizione ex art. 98 legge fall. proposta da X s.r.l. avverso il decreto con cui il G.D. della V s.p.a. in amministrazione straordinaria, ha riconosciuto al credito dell’istante di € (omissis) – già ammesso in chirografo – la prededuzione. Il giudice di primo grado ha osservato che, posto che l’art. 118 comma 3° d.lgs. n. 163/2006 impedisce che l’appaltatore possa ricevere il pagamento del corrispettivo dell’appalto sino a quando non sia soddisfatto il subappaltatore, il pagamento del subcommittente (imprenditore fallito, in luogo del quale sta la procedura concorsuale) al subappaltatore, essendo utile per la procedura concorsuale, giustifica la prededuzione. Inoltre, se è pur vero che con tale interpretazione il creditore subappaltatore viene preferito agli altri, ciò non avviene arbitrariamente, ma in applicazione dell’art. 111 legge fall. (spettando il beneficio solo se vi sia in concreto un’utilità per la procedura), e comunque consente di sbloccare in favore del fallimento il pagamento di un credito di norma superiore al corrispettivo del subappaltatore. Avverso il decreto ha proposto ricorso per Cassazione V s.p.a. in amministrazione straordinaria, affidandolo ad un unico articolato motivo. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. È stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 comma 2° legge fall. e 118 comma 3° d.lgs. n. 163/2006. Espone la procedura che l’art. 118 comma 3° legge cit. si applica solo se la società appaltatrice è in bonis, in quanto, in caso di fallimento, il contratto tra quest’ultima e la stazione appaltante si scioglie ipso iure. 2. Il motivo è fondato. Va osservato che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 5685/2020, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui “In caso di fallimento dell'appaltatore di opera pubblica, il meccanismo delineato dall'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 – che consente alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell'appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati da quest'ultimo al subappaltatore – deve ritenersi riferito all'ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un'impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie; ne consegue che al curatore è dovuto dalla stazione appaltante il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all'intervenuto scioglimento del contratto e che il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell'appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della "par condicio creditorum" e dell'ordine delle cause di prelazione, senza che rilevi a suo vantaggio l'istituto della prededuzione ex art. 111, comma 2, l. fall.”. Le Sezioni Unite si sono preliminarmente poste la questione se, a seguito del fallimento dell'appaltatore, la stazione appaltante, fino a quando non riceva le fatture quietanzate relative ai pagamenti corrisposti al subappaltatore, possa esercitare il potere di opporre la sospensione del pagamento all'appaltatore fallito, ovvero alla procedura. E’ stato quindi osservato che la sospensione del pagamento prevista dall’art. 118, terzo comma, codice degli appalti del 2006, si traduce in concreto in una eccezione di inadempimento che la stazione appaltante è, tuttavia, legittimata ad opporre all'appaltatore (inadempiente all'obbligo di dimostrare il pagamento al subappaltatore), sempre che il rapporto contrattuale sia ancora in corso, poiché è solo nella fase esecutiva del rapporto in essere che è consentito alle parti far valere reciprocamente adempimenti e inadempimenti contrattuali. A seguito del fallimento che rende il contratto di appalto, anche di opera pubblica, inefficace «ex nunc» e, dunque, non più eseguibile, al curatore spetta il corrispettivo dovuto per le prestazioni eseguite fino all'intervenuto scioglimento; la stazione appaltante può rifiutare il pagamento delle opere ineseguite o eseguite non a regola d'arte, ma non può invocare la disciplina prevista dall'art. 1460 c.c., in tema di eccezione di inadempimento, la quale, implicando la sospensione della prestazione della parte non inadempiente, presuppone un contratto non ancora sciolto e quindi eseguibile (cfr. Cass. n. 4616 del 2015; cfr. n. 23810 del 2015). Dunque, l’eccezione ex art. 1460 cod. civ., in presenza di inadempimento della controparte, configura uno strumento accordato alla parte che voglia salvaguardare i propri interessi, nella prospettiva della esecuzione (e dunque conservazione) del contratto, alla quale l'eccezione serve appunto di stimolo. Una volta che il contratto si sia sciolto, per qualsiasi causa e, quindi, anche per il fallimento, l'art. 1460 c.c. non può essere invocato e trovano, invece, applicazione le norme che disciplinano gli effetti dello scioglimento. Le Sezioni Unite hanno quindi concluso il proprio percorso argomentativo evidenziando che non è necessario soffermarsi sulla questione della configurazione della prededuzione di tipo funzionale, la quale, nella vicenda in esame, non potrebbe comunque operare, in mancanza del nesso strutturale con il meccanismo della sospensione dei pagamenti da parte della stazione appaltante (delineato nel terzo comma dell'art. 118 del codice appalti 2006), che è destinato ad operare unicamente in presenza di una persistente efficacia del contratto di appalto e, quindi, nel caso in cui l'appaltatore sia in bonis. Il decreto impugnato deve essere quindi cassato con rinvio al Tribunale di Arezzo, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità. (omissis)

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