Appalto – vizi dell’opera – appaltatore, progettista e d.l. responsabilità solidale – termini di decadenza ex art. 1669 c.c. – decorrenza – Assicurazione responsabilità professionale – limitazioni contrattuali – operatività – distinzioni e interpretazione

12.06.2023 Tribunale di Pesaro – Sent. 542/2023 –Est. Pietropaolo

03/07/2023

… “MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, X e Y hanno evocato in giudizio l’impresa edile P e la M s.r.l. in liquidazione, nonché l’ing. Z, in qualità, rispettivamente, di appaltatrici dei lavori di costruzione di un immobile unifamiliare (le due imprese si sono succedute nel corso dell’appalto, essendo la M s.r.l. subentrata all’impresa P) e di redattore del progetto architettonico e direttore dei lavori, spiegando domanda diretta ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti ai gravi difetti presenti nell’immobile, manifestatisi, essenzialmente, in fenomeni di infiltrazioni di acqua, sia al piano interrato che al piano terra. Si è costituito in giudizio il convenuto Z (mentre restavano contumaci la M s.r.l. in liquidazione e l’impresa edile P), il quale ha resistito alla domanda, incentrando le proprie difese sull’estinzione della responsabilità per prescrizione e decadenza del diritto e sull’insussistenza dei vizi lamentati dagli attori e, comunque, sull’assenza di ogni responsabilità per detti vizi, ritenendo corretto ed esaustivo l’elaborato del c.t.u. ing. W depositato in sede di ATP, da cui emergeva la corresponsabilità di parte attrice nell’insorgenza del preteso danno, da imputarsi ai sensi dell’art. 1227 c.c. al comportamento colposamente omissivo degli attori. Il convenuto ha chiesto, preliminarmente, l’autorizzazione alla chiamata in causa del terzo F per essere dalla stessa manlevata e tenuta indenne in forza della polizza assicurativa (omissis) e delle altre polizze stipulate. Si è costituita in giudizio F, associandosi alle eccezioni e difese svolte dal convenuto Z (in particolare, eccezione di nullità della citazione, eccezione di intervenuta decadenza e prescrizione dell’azione ex art. 1669 c.c., infondatezza della domanda e inutilità degli ulteriori accertamenti richiesti). Riguardo alla polizza assicurativa, la terza chiamata ha contestato l’operatività della polizza sotto vari profili, chiedendo il rigetto della domanda di manleva. Rigettata con ordinanza del 22.5.2019 l’eccezione di nullità della citazione formulata da parte convenuta, sono stati concessi i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c. Nel corso del procedimento, a seguito della dichiarazione di interruzione del procedimento per intervenuto fallimento della società M s.r.l. in liquidazione (v. verbale di udienza del 3.2.2020), gli attori hanno provveduto alla tempestiva riassunzione del giudizio. Ammesse ed espletate le prove orali dedotte dalle parti, a fronte delle contestazioni sollevate dalla difesa di parte attrice all’elaborato dell’ing. W (c.t.u. nominato nella fase di ATP) ed in ragione della ritenuta necessità di un ulteriore approfondimento di tipo tecnico stante la persistenza ed il sopravvenuto aggravamento dei disagi lamentati dagli attori, a dispetto di quanto affermato dal consulente d’ufficio in sede di ATP, con ordinanza del 28.6.2021, è stata ammessa ed espletata c.t.u. (a seguito di varie rinunce dei c.t.u. designati, è stato poi nominato l’ing. A con ordinanza del 27.9.2021). Depositata la relazione di consulenza, all'udienza del 6.2.2023 (sostituita dal deposito di note scritte) la causa è stata assunta in decisione, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. La domanda attorea è fondata e merita integrale accoglimento. Le difese del convenuto e della terza chiamata hanno, preliminarmente, eccepito l’intervenuta decadenza e prescrizione dell’azione ex art. 1669 c.c. per decorso del termine annuale, deducendo che gli attori, già a far data dal giugno del 2016 e, comunque, a seguito della consulenza del geom. B del 4.1.2017, avevano piena conoscenza delle problematiche lamentate e delle relative cause, e nonostante ciò, alla notifica del ricorso per consulenza tecnica preventiva avvenuto in data 17.2.2017, è seguita la notifica dell’atto di citazione solo in data 14.9.2018, con conseguente maturarsi della relativa prescrizione annuale. Dette eccezioni sono infondate e vanno rigettate. Va premesso che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, “sono gravi difetti dell'opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 c.c., anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo” (Cass. 18.1.2019, n. 1423; Cass. 4.10.2018, n. 24230). Pertanto, in tema di garanzia per i gravi difetti dell'opera ai sensi dell’art. 1669 c.c., il termine per la relativa denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle cause (Cass. ord. n. 27693/2019; Tribunale Milano VII, sentenza 23.1.2020), non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza o semplici sospetti (Cass. 27.11.20122, n. 21089; Cass. n. 81/2000); ne deriva che la conoscenza completa idonea a provocare la decorrenza del doppio termine (decadenziale e prescrizionale) deve ritenersi acquisita in assenza di anteriori esaustivi elementi solo all'atto di acquisizione delle relazioni peritali, non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo (Cass. n. 11740/2003). Ritiene questo giudice, in mancanza di elementi di segno contrario, che gli attori abbiano acquisito un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva dei difetti lamentati solo a seguito dello svolgimento dell'indagine peritale di cui al disposto accertamento tecnico preventivo, il quale, in ogni caso, comporta l'interruzione del termine di prescrizione, con conseguente sospensione del relativo decorso sino alla conclusione del procedimento di accertamento tecnico preventivo, segnato dalla comunicazione alla parte del deposito dell'elaborato peritale, a partire dal quale va computato il nuovo decorso al fine di stabilire la tempestività della successiva azione intrapresa: e ciò in conformità all’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la proposizione del ricorso per accertamento tecnico preventivo comporta l'interruzione del termine prescrizionale, ai sensi dell’art. 2943, comma 1, c.c., in relazione al diritto oggetto della richiesta istruttoria (Cass. 20.5.2009, n. 11743; Cass. n. 11087/2000; Cass. n. 3045/2000). Nel caso in esame, posto che la relazione in sede di ATP è stata depositata in data 23.1.2018 e l’atto di citazione notificato il 13.9.2018, le eccezioni di decadenza e prescrizione devono essere disattese. Passando al merito della pretesa risarcitoria, parte attrice ha fornito prova, come era suo onere, della sussistenza dei vizi lamentati, integralmente confermati dalla disposta c.t.u., le cui conclusioni vanno interamente accolte non essendo l'elaborato affetto da errori o incongruenze ed avendo il c.t.u. dato esaustiva risposta sia ai quesiti posti con l’ordinanza del 28.6.2021, sia alle osservazioni dei consulenti tecnici delle parti. Rispondendo ai quesiti di cui sopra, il CTU, ispezionati i luoghi, espletate le indagini necessarie ed esaminata la documentazione progettuale, ha accertato che l’opera realizzata presenta plurimi vizi, che possono essere accorpati in cinque categorie, di seguito elencate: 1) Problematiche di umidità ascendente da vespai e drenaggi (che comprendono umidità di risalita sulle pareti a piano interrato; umidità affiorante sul pavimento a piano interrato; umidità di risalita sulle pareti a piano terreno; presenza di acqua nel vespaio aerato), la cui causa è da ricondurre all’inefficienza dei vespai aerati, derivante dalla mancata protezione dell’edificio con adeguati drenaggi al contorno; per tale vizio è stata individuata una responsabilità essenzialmente progettuale, dal momento che non risulta adeguatamente presa in considerazione la particolare conformazione dell’edificio, sfalsato su due livelli ed inserito in un contesto collinare che rendeva assolutamente prevedibile – vista anche la natura del terreno – l’accumulo di acqua a ridosso dell’edificio, per cui, stante la mancata realizzazione di adeguate opere di drenaggio al contorno dell’edificio, quantomeno sui lati nord ed est, l’efficienza dei vespai aerati realizzati sotto i piani di calpestio a quota inferiore è stata totalmente vanificata, come hanno dimostrato inequivocabilmente le videoispezioni eseguite nel corso della consulenza tecnica d’ufficio. Il c.t.u. ha affermato che non si può parlare di opera mal eseguita dall’impresa, bensì di vera e propria lacuna nella progettazione/D.L. architettonica dell’edificio eseguita dall’ing. Z. L’importo delle opere rimediali (descritte nel cap. 8 della relazione) è pari ad € (omissis). 2) Problematiche di impermeabilizzazione del vano scale (comprendenti infiltrazioni sulle pareti del vano scale, infiltrazioni in ambienti vari del piano primo), le cui cause sono da ricondurre: a) alla inadeguata realizzazione del paramento murario in mattoni faccia a vista sulla facciata lato strada e sui due spigoli corrispondenti; b) alla mancata previsione e cura realizzativa dell’impermeabilizzazione e dei rivestimenti nella zona del timpano dell’edificio dietro il tettuccio del vano scale; c) alla mancata previsione di sistemi di raccolta dell’acqua dalla scossalina sulla parete in mattoni faccia a vista che delimita il soggiorno a piano terra ed il restante volume a piano primo, che sale con andamento obliquo sino alla copertura; si tratta di vizio che, per i primi due aspetti (sub a e b), è ascrivibile in prima istanza ad una lacunosa esecuzione da parte dell’impresa (M s.r.l.), in seconda istanza alla mancata adozione di efficaci provvedimenti da parte del D.L. (Ing. Z) dopo la constatazione in corso d’opera del manifestarsi dei vizi, mentre il terzo aspetto (sub c) deriva da lacune nella progettazione architettonica dell’edificio (Ing. Z); l’importo delle opere rimediali (descritte nel cap. 8 della relazione), è pari ad € (omissis) e può essere ripartito in € (omissis) per gli aspetti a) e b) ed in € (omissis) per l’aspetto c). 3) Problematiche di infiltrazioni dal lastrico del piano terreno (comprendenti infiltrazioni sul soffitto del piano interrato), causate da un’imperfezione nella posa dell’impermeabilizzazione da parte dell’impresa (M s.r.l.), cui va attribuita tutta la responsabilità; l’importo delle opere rimediali (descritte nel cap. 8 della relazione) è pari ad € (omissis). 4) Problematiche di impermeabilizzazione degli infissi (comprendenti infiltrazioni da infissi esterni, due porte finestra ed una finestra), causate da un’inadeguata impermeabilizzazione del terrazzo e delle soglie di detti infissi; si tratta di un vizio ascrivibile in prima istanza ad una lacunosa esecuzione da parte dell’impresa (M s.r.l.), in seconda istanza alla mancata adozione di efficaci provvedimenti da parte del D.L. architettonico (Ing. Z) dopo la constatazione in corso d’opera del manifestarsi dei vizi; l’importo delle opere rimediali (descritte nel cap. 8 della relazione) è pari ad € (omissis). 5) Problematiche dei muri esterni (comprendenti fessurazioni varie sui muri perimetrali vicini all’ingresso), causate dalla inadeguata realizzazione dei due tratti terminali del muro (con i box contatori), privi di fondazioni adeguate, e dalla inadeguata esecuzione degli intonaci in corrispondenza dei raccordi tra porzioni di muro eseguite con materiali diversi (cemento armato e laterizi); si tratta di vizi derivanti sia dall’operato dell’impresa esecutrice (M s.r.l.) sia da quello del D.L. architettonico (Ing. Z); l’importo delle opere rimediali (descritte nel cap.8 della relazione) è pari ad € (omissis). Il c.t.u. ha, quindi, concluso nel senso che l’insieme delle opere rimediali comporta, nel complesso, una spesa di € (omissis), cui vanno aggiunte anche le spese sostenute dagli attori per gli accertamenti necessari alla redazione della relazione di consulenza (in particolare, sondaggi, scavi, esami delle pareti con ponteggi, video ispezioni, misure dei livelli nei tubi piezometrici, sondaggio ad un marciapiede, prove varie), il cui costo ammonta ad € (omissis) (IVA compresa), come da fatture riportate negli allegati 8.1, 8.2 ed 8.3 alla relazione. I vizi accertati dal CTU, come sopra descritti, integrano i gravi difetti di costruzione previsti dall’art. 1669 c.c., che tutela tutte le alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura, tra le quali rientrano anche i vizi di realizzazione determinanti infiltrazioni d’acqua all’interno dell’edificio. Riguardo alla posizione del convenuto ing. Z, va osservato che il c.t.u. ha risposto in modo adeguato ed esauriente a tutte le osservazioni formulate dai consulenti di parte, anche con riferimento ai profili di responsabilità del progettista/D.L. architettonico. In particolare, il c.t.u., ing. A, dopo avere ribadito la natura e l’entità dei vizi riscontrati, che si manifestano essenzialmente nella ciclica presenza di acqua nei vespai – presenza di acqua che, a distanza di dieci anni, tuttora persiste, segno evidente della insufficiente e lacunosa indagine effettuata in sede di ATP (v. pagg. 81 e segg. della relazione di c.t.u.)-, ha precisato che “i vespai aerati sono la classica opera di finitura attinente i requisiti di agibilità dell’edificio e non la salvaguardia delle strutture” e sono essenziali anche per il benessere interno degli ambienti, sicché, quando questo tipo di opere non è dettagliatamente specificato nei disegni strutturali, come avvenuto nel caso in esame, il progettista/D.L. architettonico, che deve comunque occuparsi della rete di smaltimento, deve, in ogni caso, verificare l’efficienza dei sistemi adottati, attuare il completamento degli stessi ed accertarne in via definitiva il corretto funzionamento. Allo stesso modo, sono di competenza del progettista/D.L. architettonico la realizzazione delle finiture cioè dei tamponamenti, dei raccordi, delle soglie, degli isolamenti ed impermeabilizzazioni, e, stante l’inesistenza del progetto strutturale, anche la supervisione e il controllo sulla realizzazione dei muri vicino alla rampa (v. pag. 86 della relazione). Il c.t.u. ha ritenuto di escludere la responsabilità del D.L. soltanto per la voce “Problematiche di infiltrazioni dal lastrico del piano terreno” (paragrafi 6.3, 7.3 ed 8.3), in quanto si tratta di un’imperfezione localizzata, di lieve entità (non certo eclatanti lacune o strappi alla membrana impermeabilizzante), che evidentemente non generava anomalie all’epoca della realizzazione né entro la fine lavori, visto che nella corrispondenza non se ne parla mai, per cui era materialmente impossibile per il D.L. scoprire questo vizio. Le conclusioni del c.t.u. possono essere integralmente recepite anche su tale specifico aspetto, in quanto conformi ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità del direttore dei lavori per i vizi e le difformità dell’opera appaltata (v. Cass. civile sez. II, 18/10/2022, n. 30658, secondo cui “il direttore dei lavori per conto del committente presta un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultati ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto"; rientrano pertanto nelle obbligazioni del direttore dei lavori l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi; pertanto, non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e di riferirne al committente; in particolare l'attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell'alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell'opera nelle sua varie fasi e pertanto l'obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (Sez. 2, n. 10728 del 24.4.2008; conf., da ultimo, Sez. 2, n. 2913 del 7.2.2020). La Corte, in particolare, ha richiamato il principio consolidato, secondo cui i compiti del direttore dei lavori non si configurano in termini di diuturna verifica di tutte le minute operazioni lavorative, ma di vigilanza, tuttavia, diligente sull'andamento e modalità dei lavori, escludendosene, dunque, la responsabilità con riferimento ai "profili marginali dell'esecuzione dell'opera" (Sez. 3, n. 20557, 30/09/2014; Sez. 3, n. 39448, 13/12/2021). Ora, posti tali principi, non pare possa negarsi che la corretta impermeabilizzazione ed esecuzione delle opere di drenaggio siano aspetti essenziali e non certo marginali dell’esecuzione dell’opera, sui quali il Z doveva sicuramente vigilare. Infine, con riferimento all’eccepito concorso di colpa degli attori nella verificazione dei danni lamentati, il c.t.u. ha escluso che la causa dei problemi riscontrati possa essere individuata nella errata scelta dei mattoncini operata dai committenti (mattoncini (omissis) ed intonaco esterno premiscelato, invece dei mattoni (omissis) “faccia vista a mano rosati” e dell'intonaco tradizionale al civile originariamente presenti in capitolato), in quanto se la mancata impermeabilità dei tamponamenti derivasse dai laterizi, si troverebbero infiltrazioni diffuse in tutta la casa, mentre invece ciò non si verifica, posto che le infiltrazioni compaiono solo in determinate zone ben localizzate, dove i fattori scatenanti sono le modalità con cui sono stati posti in opera questi paramenti faccia a vista (lavorazione dei ricorsi in malta), le fessurazioni comparse, l’esecuzione dei raccordi impermeabili, l’eccessiva bagnatura di alcuni tratti di parete a causa della conformazione architettonica. Esclusa, pertanto, ogni responsabilità degli attori, le cause dei vizi accertati vanno ricondotte, in parte, alla cattiva esecuzione delle opere da parte della impresa costruttrice M s.r.l. ed in parte ad errori od omissioni nella progettazione e nel controllo da parte della D.L. architettonica, in persona dell’ing. Z, con la precisazione che, a parte talune opere, per le quali il c.t.u. ha individuato una responsabilità in pari quota tra impresa (la M s.r.l., vista la data del subentro) e D.L. architettonica (Ing. Z), per altre opere il c.t.u. ha distinto le responsabilità, quantificando i relativi costi (distinzione che rileva ai fini della eventuale limitazione della domanda di manleva). In conclusiva sintesi, richiamate le conclusioni del c.t.u. in punto quantificazione dei danni e accertamento delle responsabilità, con ripartizione tra i corresponsabili delle quote di responsabilità, va osservato che per le varie problematiche in cui concorrono la responsabilità dell’ing. Z e della M s.r.l. in liquidazione la quota da attribuire a ciascuno non può che essere individuata, in mancanza di più specifici indici di valutazione, nella misura del 50% ciascuno (escluse le problematiche di cui al paragrafo 7.1 della relazione, riferite all’umidità ascendente da vespai e drenaggi, che vanno imputate esclusivamente all’ing. Z, e quelle di cui al paragrafo 7.3, la cui responsabilità va attribuita per intero alla Ms.r.l. in liquidazione). La domanda attorea va, dunque, accolta, con conseguente condanna dei convenuti al pagamento delle somme specificamente quantificate dal c.t.u., distinguendo gli importi posti a carico dei singoli convenuti in via esclusiva e quelli posti a carico di entrambi, attesa la responsabilità solidale che grava su appaltatore e progettista/direttore dei lavori (è noto che in materia di appalto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, quando l'opera presenta gravi difetti dipendenti da errata progettazione, il progettista è responsabile, con l'appaltatore, verso il committente, ai sensi dell’art. 1669 c.c., a nulla rilevando in contrario la natura e la diversità dei contratti cui si ricollega la responsabilità, rendendosi sia l'appaltatore che il progettista, con le rispettive azioni od omissioni, costituenti autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse, concorrenti in modo efficiente a produrre uno degli eventi dannosi tipici indicati nella medesima disposizione. Tale vincolo di responsabilità solidale trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale; cfr. Cass. n. 8996/2022 e n. 29218/2017). Nello specifico, per le problematiche di umidità ascendente da vespai e drenaggi, l’importo delle opere rimediali è pari ad € (omissis) e va imputato interamente all’ing. Z e così pure va imputata solo all’ing. Z una parte dei costi per le problematiche di impermeabilizzazione del vano scale, per un importo di € (omissis) (l’ing. Z va, quindi, condannato al pagamento, in via esclusiva, della somma di € (omissis)). Per le problematiche di infiltrazioni dal lastrico del piano terra, la sola M s.r.l. in liquidazione è responsabile di tali vizi ed è, quindi, tenuta al pagamento della somma di € (omissis). Per le restanti problematiche, l’ing. Z e la M s.r.l. in liquidazione sono tenute, in solido, al pagamento della somma complessiva di € (omissis). Riguardo ai costi sostenuti da parte attrice per gli accertamenti necessari per la redazione della perizia, per € (omissis) (IVA compresa), gli stessi vanno posti a carico, in via solidale, dei corresponsabili, ing. Z e M s.r.l. in liquidazione, con ripartizione interna nella misura della metà. Va, peraltro, osservato che l’intervenuto fallimento della M s.r.l. determina l’impossibilità di adottare una pronuncia di condanna nei suoi confronti, stante l’obbligatorietà ed esclusività del procedimento di verifica del passivo, quale strumento di cognizione attribuito ad un giudice che deve osservare inderogabilmente un rito funzionale alla realizzazione del concorso dei creditori. La Suprema Corte, intervenendo sul punto ha statuito che "L'accertamento di un credito nei confronti del fallimento è devoluta alla competenza esclusiva del giudice delegato ex artt. 52 e 93 l. fall., con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d'ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, l'inammissibilità o l'improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione "litis ingressus impedientes" (Cass. n. 24156/2018)). Di conseguenza la domanda di condanna nei confronti della curatela fallimentare della M s.r.l. in liquidazione va dichiarata improcedibile. Domanda di manleva La compagnia F, in riferimento alla polizza stipulata dall’ing. Z, ha sollevato plurime eccezioni. In primo luogo, ha eccepito l’inoperatività della polizza, deducendo che non possono trovare applicazione, nel caso in esame, le fattispecie per le quali è previsto il diritto all’indennizzo: in particolare, parte attrice non rivendica danni alle opere subiti “nell’espletamento” delle attività dell’ing. Z e, comunque, i danni così come accertati dal CTU non sono quelli previsti in polizza alle voci Rovina totale (in quanto non c’è stata “disintegrazione delle strutture essenziali”) o parziale (in quanto non c’è stato “distacco di singoli elementi costruttivi stabilmente incorporati nell’opera”). In secondo luogo, ha evidenziato, con riferimento alla responsabilità solidale, che le condizioni generali prevedono a pag. 14 ["Responsabilità in solido"] che "L'assicurazione è limitata alla sola quota di responsabilità diretta dell'Assicurato con esclusione di qualsiasi responsabilità solidale”. Infine, per quanto concerne la gestione delle vertenze di danno e le spese legali, ha dedotto che le condizioni generali prevedono, a pag. 18, che "La Compagnia non riconosce spese incontrate dall'Assicurato per i legali o tecnici che non siano da essa designati". Riguardo al primo profilo, la difesa dell’ing. Z ha fatto rilevare che nella scheda di Polizza sono espressamente richiamate le “Garanzie aggiuntive” (la relativa casella nel documento contrattuale risulta, in effetti, barrata), nelle quali sono ricomprese “le perdite patrimoniali conseguenti a mancata rispondenza dell’opera all’uso cui è destinata” e i “costi sostenuti dal committente per la demolizione e/o rimozione dell’opera e/o della parte di essa su cui incide il grave difetto…” (v. pag. 16, punto 1.1), eccependo, nel contempo, la nullità e l’inefficacia delle disposizioni contrattuali in esame, per violazione degli artt. 1341 e 1342 c.c., 1325, 1343 e ss. c.c., nonché per violazione della causa concreta del contratto di assicurazione, nella parte in cui viene fissato il limite temporale di un anno per la validità della copertura assicurativa e anche nella parte relativa alla sua decorrenza, poiché il riscontro dei “gravi difetti” deve intervenire entro un anno decorrente dalla data di “Ultimazione dei lavori” (intesa come il verificarsi di una delle seguenti circostanze: rilascio di certificato di collaudo provvisorio; consegna anche provvisoria delle opere al committente o sottoscrizione del certificato di ultimazione dei lavori; uso, anche parziale o temporaneo, delle opere secondo destinazione). Deve premettersi, sul punto, che secondo il prevalente orientamento della S.C., che il giudicante condivide e fa proprio, “nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, agli effetti dell’art. 1341 c.c. (con conseguente necessità di specifica approvazione preventiva per iscritto), quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell'inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all'oggetto del contratto e non sono, perciò, assoggettate al regime previsto dalla suddetta norma le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito” (tra le tante, Cass. civ. n. 15598/2019). Quando, perciò, la clausola negoziale non ha l'effetto di escludere una responsabilità che sarebbe altrimenti sorta, ma il diverso scopo di stabilire quali siano gli obblighi concretamente assunti dalle parti, e quindi di fissare i limiti della garanzia assicurativa specificando il rischio garantito, si è in presenza di una delimitazione dell'oggetto del contratto. Viceversa, quando la clausola negoziale ha l'effetto di escludere che il predisponente possa essere chiamato a rispondere di fatti o atti che secondo i principi generali potrebbero fare sorgere una sua responsabilità per inadempimento, si è in presenza di una limitazione di responsabilità, ai sensi 1229 c.c. L'ipotesi esemplificativa nel caso del contratto di assicurazione è quella di un rischio effettivamente assicurato, perché previsto nell'oggetto del contratto, che, dopo la sua verificazione, sia contrattualmente sottoposto a limitazioni di responsabilità dell'assicuratore mediante restrizioni di termini di denuncia, formalismi decadenziali, limitazioni del novero di soggetti aventi diritto all'indennizzo, ecc. Non pare possa negarsi che la previsione di un limite temporale di un anno dalla ultimazione dei lavori per l’indennizzabilità delle perdite patrimoniali e dei costi di ripristino implichi una limitazione di responsabilità, espressa sotto forma di decadenza, che, nella misura in cui ancora la decorrenza del termine alla ultimazione dei lavori e non alla manifestazione del vizio, è da ritenersi vessatoria e quindi nulla, determinando a carico dell’assicurato un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. In materia di assicurazione della responsabilità civile, deve quindi ritenersi nulla la clausola contrattuale che prevede che l'assicurato debba denunciare il sinistro entro un termine decadenziale, la cui decorrenza non dipende dalla sua volontà, posto che tale clausola viola non solo l’art. 1341 c.c. (la decadenza in questione avrebbe dovuto essere espressamente menzionata tra le clausole da sottoporre ad approvazione specifica ai fini degli artt. 1341 e 1342 c.c., mentre nel caso in esame è riportata solo la generica dizione “garanzie aggiuntive”, senza alcun riferimento al termine annuale di validità della garanzia), ma anche l’art. 2965 c.c., che commina la nullità delle clausole con cui si prevedono decadenze che rendono eccessivamente oneroso l'esercizio del diritto ad una delle parti, quale quella in esame. Riguardo alla questione dell'estensione dell'obbligo indennitario dell'assicuratore nei confronti dell'assicurato, quando questi sia obbligato in solido con altro soggetto non assicurato e, quindi, sulla base della solidarietà passiva, sia tenuto, a richiesta del danneggiato, a pagare l'intero, salvo il successivo regresso nei confronti del coobbligato, la difesa del convenuto Z ha richiamato la giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui "In tema di assicurazione della responsabilità civile, nel caso in cui l'assicurato sia responsabile in solido con altro soggetto, l'obbligo indennitario dell'assicuratore nei confronti dell'assicurato non è riferibile alla sola quota di responsabilità dell'assicurato operante ai fini della ripartizione della responsabilità tra i condebitori solidali, ma si estende potenzialmente a tutto quanto l'assicurato deve pagare a terzo danneggiato nei limiti del massimale, atteso che una diversa interpretazione contrasterebbe con il tenore letterale dell’art. 1917 cod. civ. e priverebbe di concreta tutela l'assicurato rispetto alla quota di responsabilità posta a carico del condebitore solidale, nel caso in cui quest'ultimo sia insolvibile o di difficile solvibilità" (Cass. 31 maggio 2012, n. 8686, richiamata da Cass. 20322/2012). L’orientamento espresso dalla Corte di legittimità in tema di estensione dell'obbligo indennitario dell'assicuratore all'intero importo dell'obbligazione solidale dell'assicurato tiene conto della funzione del contratto di assicurazione, come oggettivata nella lettera dell’art. 1917 c.c., secondo cui nell'assicurazione della responsabilità civile "l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi (...) deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto". La limitazione della garanzia assicurativa alla quota di responsabilità priverebbe di concreta tutela l'assicurato rispetto alla quota di responsabilità posta a carico del condebitore solidale, nel caso in cui quest'ultimo sia insolvibile o di difficile solvibilità. La clausola invocata dalla convenuta si pone, dunque, in contrasto con la ratio dell’art. 1917 c.c. Peraltro, l'istituto della surrogazione dell'assicuratore, di cui all’art. 1916 c.c., consente alla società assicuratrice di rivalersi sul corresponsabile non assicurato, esercitando il diritto di regresso dell'assicurato ex art. 1299 o art. 2055 c.c. Il contratto di assicurazione della responsabilità civile, nell'ambito delle assicurazioni contro il danno al patrimonio, svolge la funzione di liberare il patrimonio dell'assicurato dall'obbligazione di risarcimento; con la conseguenza che l'assicuratore risponde delle somme che l'assicurato è tenuto a corrispondere, quale responsabile ai sensi di legge, al terzo per i danni arrecati. Per assolvere a tale funzione la prestazione di garanzia dell'assicuratore dedotta nel contratto non può non essere conformata dall'obbligazione stessa dell'assicurato che, nel caso di risarcimento da illecito imputabile a più persone, è solidale (art. 2055 c.c., comma 1). La copertura assicurativa non può che riferirsi alla obbligazione assicurata, venendo meno, altrimenti, la stessa causa del contratto di assicurazione, restando l'assicurato privo di tutela per la quota di responsabilità a carico del condebitore solidale, cui è tenuto per legge, sia per l'anticipo sia per il caso in cui il condebitore sia insolvibile o di difficile solvibilità. Infatti, la sola prestazione dell'assicuratore in grado di realizzare la funzione del contratto di assicurazione di responsabilità civile è proprio quella di liberare il patrimonio dell'assicurato dall'obbligazione di risarcimento. Secondo la suprema Corte, non si tratta, quindi, di ampliamento della copertura assicurativa a favore della parte creditrice (assicurato) e a svantaggio della parte debitrice (assicuratore), ma di consentire la realizzazione della ragione propria per cui un contratto di assicurazione della responsabilità civile viene stipulato tra le parti. In definitiva, l'estensione, nei limiti del massimale, dell'obbligo indennitario dell'assicuratore nei confronti dell'assicurato a tutto quanto l'assicurato obbligato in solido debba pagare al terzo danneggiato, si inserisce coerentemente nel sistema codicistico, senza possibilità che si crei arricchimento ingiustificato a vantaggio dell'assicurato. Infine, riguardo alle spese, va richiamato il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. da ultimo Cassazione civile sez. III, 05/07/2022, n.21220), secondo cui è nulla la clausola che subordina la rifusione delle spese di resistenza sostenute dall'assicurato al placet dell'assicuratore. Ed invero, l’art. 1917, comma 3, c.c. stabilisce che "le spese sostenute per resistere all'azione del danneggiato contro l'assicurato sono a carico dell'assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata". Il successivo art. 1932, comma 1, c.c. stabilisce che "le disposizioni degli artt. (...) 1917 commi 3 e 4 (...) non possono essere derogate se non in senso più favorevole all'assicurato". Pertanto, una clausola contrattuale la quale subordini la rifusione delle spese di resistenza sostenute dall'assicurato al placet dell'assicuratore è una deroga in pejus all’art. 1917 c.c., comma 3, ed è affetta da nullità. La legge, infatti, non pone condizioni al diritto dell'assicurato di ottenere il rimborso delle suddette spese. Peraltro, le spese di resistenza sostenute dall'assicurato sono affrontate nell'interesse comune di questi e dell'assicuratore. Esse costituiscono perciò spese di salvataggio ai sensi dell’art. 1914 c.c., e sono soggette alla regola che ne subordina la rimborsabilità al fatto che non siano state sostenute avventatamente (art. 1914, comma 2, c.c., il quale non è che una applicazione particolare del generale principio di cui all’art. 1227, comma 2, c.c.). Le eccezioni sollevate dalla terza chiamata vanno, dunque, tutte rigettate, con la conseguenza che la compagnia assicuratrice è tenuta a manlevare e tenere indenne l’assicurato ing. Z per quanto lo stesso è tenuto a pagare a titolo risarcitorio e a titolo di spese di giudizio in favore degli attori, i quali hanno avanzato, nei confronti dei condebitori convenuti, domanda di adempimento dell’intera obbligazione solidale. L’assicurato ing. Z ha, peraltro, richiesto, ai sensi dell’art. 1917, comma 2, c.c., che l’assicurazione paghi l’indennizzo direttamente ai danneggiati, per cui F è tenuta a corrispondere agli attori la somma di € (omissis) (dall’importo complessivo quantificato dal c.t.u. è stato detratto il solo importo che è imputabile in via esclusiva alla M s.r.l. in liquidazione, pari ad € (omissis)), oltre alle spese sostenute dagli attori per gli accertamenti necessari per la redazione della perizia, in quanto costi funzionali alla difesa in giudizio, liquidate in € (omissis). La F con il pagamento di cui sopra è surrogata di diritto, ex art. 1203 c.c. nell'azione di regresso (art. 1299 c.c., art. 2055 c.c.) dell'assicurato, debitore in solido, nei confronti del condebitore per la quota individuale: in questo caso, F potrà surrogarsi nell’azione di regresso dell’ing. Z verso la M s.r.l. in liquidazione, ora fallita, per le seguenti somme: € (omissis). Le spese di lite seguono la soccombenza (omissis) P.Q.M. il Tribunale di Pesaro, definitivamente pronunciando nella causa n. (omissis), ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1-accertata la sussistenza di vizi nell’immobile di proprietà degli attori e la responsabilità della M s.r.l. in liquidazione (dichiarata fallita in corso di causa) e dell’Ing. Z, dichiara gli stessi tenuti, in solido, al risarcimento dei danni, così come quantificati nella relazione del c.t.u., ing. A; 2-per l’effetto, dichiarata l’improcedibilità della domanda di condanna nei confronti del Fall.to M s.r.l. in liquidazione, e preso atto della domanda formulata ai sensi dell’art. 1917, comma 2, c.c., dal convenuto Z, dichiara tenuta e condanna la terza chiamata F al pagamento in favore degli attori della somma di € (omissis), oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo; (omissis)

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