Studio legale Valentini
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Ordinanza ex artt. 186 quater – 186 ter c.p.c. differenze – CTU resa in A.T.P. – prova scritta del credito – inidoneità
22/10/2014
…” Il Giudice, letti ed esaminati gli atti, a scioglimento della riserva, osserva che Preliminarmente, dev’essere affrontata la questione della natura del provvedimenti contestato, dal momento che soltanto ove di ritenesse lo stesso rientrare nel novero delle pronunce ex art. 186 ter c.p.c. si potrebbe discorrere di una sua modifica o revoca, non essendo ciò, invece, possibile nell’ipotesi di ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione. Infatti, il mancato richiamo operato dalla norma di cui all’art. 186 quater c.p.c. agli artt. 177 e 178 c.p.c. impedisce – secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario – l’applicabilità delle suddette disposizioni con la conseguenza che la decisione resa secondo le forme dell’ordinanza all’esito dell’istruttoria può essere superata soltanto con la sentenza (eventuale) che definisce il giudizio. Premesso che non è certo necessario una formale dichiarazione di chiusura dell’istruttoria, è richiesto tuttavia dalla Corte di Cassazione che il giudice istruttore abbia ritenuto esaurita (o superflua) la fase istruttoria rinviando per la precisazione delle conclusioni. Nel caso di specie, ciò risulterebbe avvenuto solamente contestualmente all’emanazione della stessa ordinanza – e quindi secondo una modalità atipica – il che induce a considerare la natura del provvedimento contestato in questa sede diversa da quella ex art. 186 quater c.p.c. A ciò si aggiunga che l’ordinanza de qua viene espressamente classificata come di tipo ingiunzionale, come si evince dalle lettura della parte inziale del provvedimento, ove è scritto che – con lo scioglimento della riserva – il giudice intendesse disporre in ordine alle richieste proprio di ordinanza ingiunzionale avanzate da parte attrice e convenuta in data 22.05.2014. Occorre quindi, concludere che l’ordinanza in parola rientri fra quelle di cui all’art. 186 ter c.p.c. Come noto, la norma prevede la possibilità che, nel corso dell’ordinario giudizio di primo grado, il creditore o l’avente diritto alla consegna di una cosa mobile, ottenga un provvedimento, in forma di ordinanza, omologa per contenuto ed efficacia ad un decreto ingiuntivo, a condizione che fornisca prova scritta del diritto vantato in giudizio. Nel caso di specie, non pare che tale presupposto sussista. In primo luogo non può considerarsi – in generale – prova scritta del credito un documento contrattuale atteso che esso non dà – laddove si tratti, come nel caso in esame, di contratto e prestazioni corrispettive e quindi sinallagmaticamente collegate – sufficiente contessa dell’adempimento corretto delle incrociate prestazioni. In una logica di preservazione dell’equilibrio negoziale inizialmente impostato dai paciscenti, infatti, ad una parte negoziale non è tanto il contratto in sé a conferire ilo diritto alla prestazione altrui, quanto piuttosto il corretto adempimento della propria obbligazione. Prova ne sia che l’ordinamento stesso non impone ugualmente l’esecuzione della prestazione in capo alla parte rimasta vittima dell’altrui inadempimento (vd. L’art. 1460 c.c.). D’altronde, lo stesso art. 633 c.p.c. richiede, qualora il diritto di credito dipenda da una controprestazione “elementi atti a far presumere l’adempimento della controprestazione”. Quindi, per quello che qui interessa, non possono assurgere a prova scritta ex art. 186 ter c.p.c. né il contratto d’appalto, né quello vari si subappalto. Lo stesso valga per la transazione (peraltro incontestabilmente non onorata per intero e di cui nemmeno l’attore, all’udienza del 22.05.2014, aveva chiesto il pagamento). Resta pertanto da chiedersi se tale requisito possa essere integrato dall’elaborato peritale. Se, infatti, diversamente da quanto accade nell’ambito del procedimento monitorio la prova scritta ex art. 186 ter c.p.c. può anche formarsi nel corso del giudizio e non essere, quindi, necessariamente precostituita (si pensi al verbale di assunzione di una prova costituenda dal tenore confessori), non pare tuttavia che l’A.T.P. possa risultare adeguata a questo scopo. Essa, infatti, non è un mezzo di prova, avendo più semplicemente la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Non essendo una prova, nemmeno ha senso interrogarsi se sia scritta o meno. A tacer del fatto che, in ogni caso, non tutti i soggetti tenuti al pagamento in base al provvedimento contestato appaiono effettivamente obbligati direttamente (certamente non lo sono le compagnie di assicurazione) nei confronti degli asseriti creditori e che paiono presenti incongruenze nelle modalità di individuazione delle responsabilità in capo ai vari soggetti (sembrerebbe, ad esempio, che l’appaltatrice secondo l’impostazione offerta nell’ordinanza finisca, con l’arricchirsi indebitamente) il difetto del basilare presupposto della prova scritta cui la norma subordina la concessione del provvedimento, impone la revoca dell’ordinanza in esame con riferimento ai punti 1), 2) e 3) assorbendo ogni altra questione di merito. A ciò si aggiunga che, nell’elaborato peritale, non venendo operate dal C.T.U. precise distinzioni che consentano di riferirsi a profili di responsabilità specificatamente quantificabili in capo ai terzio chiamati, rispetto a costoro, allo stato, non è possibile ritenere liquido l’importo che essi dovrebbero ipoteticamente versare a titolo di risarcimento, ove non si volessero fissare percentuali arbitrarie. Ciò esige, quindi, un chiarimenti da parte del C.T.U. ed impedisce, allo stato, l’adozione dell’ordinanza anticipatoria sia ai sensi dell’art. 186 ter che 186 quater c.p.c., stante - per l’appunto l’illiquidità della quota parte di responsabilità tra i terzi chiamati. Tale dato appare imprescindibile tanto ove si ritenesse che questi terzi siano diretti obbligati verso gli attori, quanto nell’ipotesi di obbligo verso la appaltatrice (convenuta e terza chiamata in causa n.d.r.). Né può soccorrere la natura di responsabilità solidale, atteso che dovendosi, in mancanza di indicazioni, ritenere paritarie le quote di responsabilità, nel caso di specie di rischierebbe di generare soluzioni fortemente inique considerato che i terzi coinvolti hanno offerto contributi di varia tipologia ed importanza, sia qualitativa che quantitativa. Va poi meglio chiarita la presunta definizione transattiva (il cui testo contrattuale – se depositato – non è stato rinvenuto) della vertenza tra gli attori e la convenuta in quanto, proprio in caso di responsabilità solidale, tutti o alcuni condebitori potrebbero dichiarare a loro volta e in ogni momento di approfittare della transazione intervenuta tra il creditore ed uno solo dei debitori, con il rischio di mutare nuovamente il quantum da risarcire (la clausola contenuta nel contratto di transazione – e di cui è riferito – volta ad escludere la profittabilità da parte dei terzi, appare infatti, di dubbia liceità alla luce della sent. Cass. S.U. n. 30174/11). Allo stato attuale, quindi, l’unica certezza parrebbe essere il contratto di transazione non adempiuto per l’intero e quindi la possibilità di condanna della parte inadempiente per la quota rimasta ineseguita. Tuttavia, gli attori espressamente manifestavano a verbale il proprio disinteresse qualora la condanna fosse stata rivolta contro la convenuta. In ogni caso, la rilevanza indubbia del contratto di transazione nell’ambito dei rapporti tra le numerose parti suggerisce a maggior ragione e previdenti ragioni di opportunità, la revoca del provvedimento impugnato onde evitare l’avvio di azioni esecutive non completamente giustificate anche in relazione all’estensibilità della domanda originaria ai terzi chiamati. Rilevato, inoltre, che i soggetti terzi chiamati cui non è riferibile l’A.T.P. e per i quali era stata disposta una perizia “integrativa” si trovano nella medesima posizione sostanziale (chiamati in causa dalla convenuta in quanto asseritamente responsabili, ciascuno, di specifici errori) di coloro ai quali l’A.T.P. sia opponibile e che – essendo astrattamente possibile, secondo alcune interpretazioni, anche per loro (come per gli altri chiamati in causa dal convenuto) una responsabilità solidale ex art. 1669 c.c. non pare opportuno (ogni giudizio in merito alla diretta responsabilità verso i terzi deve essere comunque rinviato alla sentenza) – prima che si sia valutato l’intero quadro e quindi i singoli apporti di responsabilità – operare separazioni di cause col rischio di decisioni confliggenti. La necessità pertanto, di un quadro chiaro, completo e non contraddittorio – anche tenuto conto della richiesta di danni non patrimoniali avanzata dalla convenuta nei confronti di tutti – esige, per ora, il mantenimento dell’unicità del processo con la conseguenza che va revocata anche la parte relativa alla separazione dei giudizi. Ne discende, pertanto, che l’udienza già fissata non sarà – in relazione alle cause per le quali era previsto – di precisazione delle conclusioni. p.q.m. Revoca integralmente l’ordinanza depositata in data 28.07.2014 con l’eccezione del punto 4) non in contestazione;”…