Trib. Ancona, Sent. n. 1502 - Est. Marziali

Risarcimento danni

23/10/2007

Gli attori convenivano il Ministero della Salute, vantando il risarcimento dei danni subiti a seguito di emotrasfusioni di sangue infetto effettuate in strutture ospedaliere italiane pubbliche, contraendo il virus dell’epatite HCV, successivamente diagnosticato. L’epoca del contagio di ciascuno degli attori variava e il più recente risaliva all’anno 1989. Secondo gli attori la responsabilità del Ministero andava ascritta ex art. 2043 c.c. (ovvero, in subordine, ex artt. 2049 e 2050 c.c.), con riguardo all’omessa e colposa vigilanza sulla sicurezza del sangue (e degli emoderivati), laddove la colpa consisteva nella omissione di precisi obblighi comportamentali assegnati al convenuto ex lege, alla cui osservanza la P.A. non poteva sottrarsi. Si costituiva il Ministero della Salute eccependo: a) la risoluzione del contagio a periodo precedente alla scoperta del virus; b) l’insussistenza di un nesso eziologico giuridicamente rilevante c) la non cumulabilità dell’indennizzo riconosciuto agli attori ex lege 210/92 con la richiesta di risarcimento; d) la prescrizione del diritto azionato. Il Tribunale di Ancona accoglieva la domanda solo in confronto ad uno degli attori, contagiato nel 1989. Il Tribunale di Ancona ha risolto la questione inerente l’inizio della decorrenza della prescrizione del diritto azionato. Questione che ha visto il susseguirsi di diverse possibili interpretazioni e l’ipotesi di illecito c.d. lungolatente, in cui non vi è coincidenza cronologica tra il comportamento illecito, il verificarsi del danno e il suo manifestarsi all’esterno, individuando il dies a quo per la tutela del diritto, e dunque per la decorrenza del termine prescrizionale. Se si appoggia una interpretazione maggiormente favorevole al danneggiato, volta ad individuare quel momento nella completa percezione del danno da parte sua, si rischierebbe di lasciare il danneggiante esposto all’azione risarcitoria altrui sine die; per contro, se si considerasse come momento iniziale della decorrenza della prescrizione quello in cui è stata posta in essere la condotta antigiuridica, ossia la causazione del danno, nelle ipotesi di danni lungolatenti il danneggiato rischierebbe di restare sprovvisto di tutela giuridica. La giurisprudenza della Corte di Cassazione, dagli anni ’70 ad oggi, si è notevolmente evoluta sul punto, consolidando una interpretazione congiunta degli artt. 2935 e 2947 c.c., discostandosi dallo schema codicistico del ’42. Difatti, se le prime pronunce affermavano che il dies a quo iniziava dal momento del verificarsi della lesione, intendendosi con ciò non la sola condotta lesiva, bensì anche la modificazione in peius nella sfera giuridica del terzo, pronunce più recenti pongono l’accento sul momento della esteriorizzazione della lesione. Questo secondo orientamento è quello che si è consolidato e che ha dato luogo ad ulteriori sviluppi, rilevando la oggettiva percepibilità e riconoscibilità del fatto dannoso da parte del danneggiato (Cass. sez. III, n. 5913/00; Cass. sez. III, n. 9927/00). Seppur questo orientamento poteva dirsi consolidato, un ulteriore passo in avanti a tutela del danneggiato può dirsi da Cass. n. 2645/03. In questa pronuncia, oltre a rilevare la oggettiva percepibilità della malattia da parte del danneggiato è, altresì, necessario che il danno stesso sia riconducibile all’operato di un soggetto determinato, il quale, con il suo comportamento illecito, doloso o colposo, ha causato l’evento dannoso. Così anche Sent. App. Roma del 14/06/2001. Essa, infatti, fa decorrere il dies a quo “dalla data in cui i danneggiati hanno ricevuto le comunicazioni effettuate dal Ministero con le quali venivano informati circa il giudizio positivo della Commissione medica ospedaliera in ordine alla domanda di indennizzo da loro proposta […]”. Addirittura, avvallando un simile orientamento, diventerebbe irrilevante, ai fini della decorrenza del termine, la circostanza di una eventuale scoperta da parte del ricorrente della sua infezione. In ordine alla fattispecie in esame, il tribunale anconetano, come larga parte della giurisprudenza, non sembra aderire a queste soluzioni di estremo favor per il danneggiato, preferendo l’orientamento tradizionale sopra descritto. Per quanto riguarda l’accertamento del nesso causale, esso va ricondotto al principio generale che è onere del danneggiato fornire la prova del nesso di causalità. Vi è da dire, però, che in materia di responsabilità civile il giudizio di causalità opera intuitivamente, a differenza del ruolo che esso gioca nel settore penale. Pertanto, l’eccezione formulata da parte convenuta circa l’inesistenza di un rapporto causale certo entro il quale ascriverle responsabilità è del tutto infondata. Peraltro, vi sono casi, come quello di specie, in cui si discute di fattispecie omissive, in cui l’adempimento dell’onere probatorio del nesso causale risulterebbe particolarmente arduo. Per ciò che riguarda la responsabilità ex art. 2050 c.c., molteplici dati normativi consolidano la configurabilità in capo alla struttura sanitaria di detta responsabilità; la L. n. 107/90 contempla espressamente, tra le funzioni attribuite ai servizi di immuneomatologia e trasfusione, l’attuazione di “tutte le misure atte a valutare e prevenire la diffusione delle malattie post-trasfusionali, principalmente quelle infettive”. Vedi anche d.p.c.m. 01/09/2000, secondo il quale “l’implementazione di un sistema di qualità nelle strutture trasfusionali è un presupposto essenziale per minimizzare i rischi della trasfusione”. Se è fondata la responsabilità ex art. 2050 c.c. in capo al medico e alla struttura sanitaria, che non si siano adoperati al fine di limitare i rischi derivanti dalle loro attività, ciò non può dirsi in ordine alla responsabilità del Ministero della Salute, in quanto l’attività da esso esercitata attiene non tanto alla sfera gestionale, ma quanto a quella di controllo e di supervisione. Giurisprudenza di merito inquadra la responsabilità in capo alla Amministrazione non sulla base dell’art. 2050 c.c., bensì su quello previsto dall’art. 2043 c.c. Peraltro, è da escludere una responsabilità del Ministero ex art. 2049 c.c., in quanto l’assenza di un rapporto di preposizione tra esso e il soggetto responsabile dell’illecito è tale da comportare l’inapplicabilità della disposizione. La responsabilità del Ministero per i danni conseguenti alle infezioni da emotrasfusioni, a giudizio della Corte appare inquadrabile nella violazione della regola generale del neminem leadere. Difatti, la condotta omissiva-colposa relativa al dovere del Ministero di vigilare attentamente sulla utilizzazione del sangue e degli emoderivati, viene ricondotta da Cass. n. 11609/05 a vera e propria responsabilità ex art. 2043 c.c., in relazione ai casi nei quali l’insorgenza delle patologie per infezioni HBV, HIV e HCV si sia verificata rispettivamente in epoca successiva agli anni 1978, 1985 e 1988, identificati come quelli in cui per ciascuna di dette patologie vennero affrontati i relativi “test” diagnostici e, quindi, poteva accertarsi se il sangue immesso nel circuito delle emotrasfusioni fosse infetto. Sarà proprio l’interpretazione appena descritta che porterà il Tribunale anconetano a condannare il Ministero della Salute al risarcimento del danno in favore di un solo attore, in quanto il periodo del contagio, il 1989, era tale da obbligare l’Amministrazione ad un rigido controllo volto ad evitare l’espandersi dell’infezione contratta.

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