CORTE DI APPELLO DI ANCONA – SENTENZA 420/10 PRES. EST. DE ROBERTIS

CAPO DI IMPUTAZIONE – PRINCIPIO DI CORRELAZIONE CON LA CONDANNA – VIOLAZIONE - NULLITA’ DEL GIUDIZIO

16/03/2010

La vicenda prende le mosse da un esposto denuncia dei liquidatori della X s.c.a.r.l. nominati a seguito della sottoposizione di tale cooperativa a procedura di liquidazione coatta amministrativa avendone il Tribunale di Pesaro dichiarato lo stato di insolvenza (nell’anno 1997). Con tale atto di deduceva sotto vari profili la cattiva gestione dimostrata dagli amministratori. Il Tribunale Penale di Pesaro, a seguito dibattimento, per quel che rileva ai fini della presente decisione, affermava la penale responsabilità degli appellanti Consiglieri di Amministrazione in ordine al reato di cui all’ art 223 c II n. 1 L. F. Contro tale sentenza proponevano appello gli imputati condannati. La Corte ha accolto l’appello degli imputati dichiarando la nullità della sentenza di primo grado. “Osserva la Corte che deve trovare accoglimento”… “l’appello proposto da alcuni degli imputati in relazione alla eccepita nullità della sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 522 c.p.p.” … . …” Il Tribunale ha correttamente enunciato i principi in ordine alla successione di leggi intervenuta con il D. D., Lgs. n. 61/2002 aderendo a giurisprudenza di legittimità consolidata affermando che il reato di cui all’art. 223, secondo comma n. 1, L.F. risultava modificato a seguito del D. Lgs. n. 61 menzionato, in quanto in precedenza per la sussistenza del reato di bancarotta impropria per false comunicazioni sociali non era richiesto alcun nesso eziologico tra la condotta degli amministratori ed il successivo stato di insolvenza, mentre nella nuova formulazione tale nesso era previsto, dovendosi ritenere che con le modifiche introdotte si fosse determinata una successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo in relazione a quei fatti in cui non sussisteva il rapporto di causalità (v. Cass. Sez. U. n. 25887/2003 e successivamente, Cass. n. 4899/2004). Con la conseguenza che il nuovo reato si qualifica per un carattere speciale per aggiunzione che implica che tale elemento nuovo della fattispecie criminosa sia stato effettivamente formulato nella richiesta di rinvio a giudizio. Peraltro il Tribunale erra nel ritenere che la sola enunciazione del nesso di causalità sia sufficiente ad integrare tutte le specificazioni che la nuova formulazione della norma con il riferimento all’art. 2621 c.c., anch’esso modificato, siano state aggiunte. Invero l’art. 2621 c.c., la cui violazione costituisce, specificandola ulteriormente, la condotta e l’elemento psicologico del reato previsto dall’art. 223 n. 1 L.F. dopo le modificazioni apportate, richiede altresì nella sua formulazione attuale ulteriori elementi che incidono sua sull’elemento materiale che su quello psicologico: sotto il profilo dell’elemento materiale: A) La esposizione di “fatti materiali non rispondenti al vero, ancorchè oggetto di valutazioni”; b) la omissione di informazioni la cui comunicazione sia imposta dalla legge; c) che il mendacio riguardi sub specie di semplice omissione “la situazione economica patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo cui essa appartiene “; d) la idoneità ad indurre in errore i destinatari della comunicazione non vera. E, sotto il profilo soggettivo “la intenzione di ingannare i soci o il pubblico al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto”. Inoltre per la punibilità occorre altresì che le falsità o le omissioni alterino in modo sensibile la situazione economica della società, occorrendo anche da un punto di vista economico una particolare incidenza delle false rappresentazioni fissate nei comma terzo e quarto dell’art. 2621 c.c.. In proposito, del resto, la Corte di legittimità, nella sentenza a Sezioni Unite citata, rilevava che “in caso di abolizione parziale, in tanto può pronunciarsi una condanna per un fatto precedentemente commesso, che presenti tutti gli elementi previsti dalla nuova fattispecie, in quanto questi elementi siano stati contestati e abbiano formato oggetto di un accertamento rispetto al quale la parte abbia avuto modo di difendersi” Peraltro con il decreto che ha disposto il rinvio a giudizio emesso quando la novella legislativa era intervenuta, come emerge dai verbali di udienza, non soltanto il P.M. si rifiutò di integrare le imputazioni, soprattutto in ordine all’art. 223, secondo comma, n. 1, contestato nella vecchia formulazione, ma invitava il Tribunale, se lo riteneva, a pronunciare sentenza assolutoria ex art. 129 c.p.p.. Proprio in tale momento per rispettare la situazione di parità tra accusa e difesa voluta dal codice di procedura penale vigente, il Tribunale doveva esprimersi, senza procedere oltre, dal momento che era obbligo dell’organo giudicante, nella inerzia del P.M. che l’azione penale esercitava, di pronunciarsi sui reati così come contestati dal procedente, senza attendere nuovi sviluppi da un’istruttoria dibattimentale che non poteva che fondarsi sulla contestazione originaria, in presenza di fenomeno successorio di norme penali incriminatrici e parzialmente abrogatrici di vecchia fattispecie, e senza pretendere, in contrasto con la contestazione stessa, di ricercare in sede dibattimentale elementi riempitivi che la nuova fattispecie criminosa non contestata imponeva. Per cui è risultato in concreto leso lo stesso diritto di difesa degli imputati, anche perché, a parte la contestazione del nesso di causalità, non risultano contestati gli ulteriori elementi specificanti del nuovo art. 2621 c.c. …, come già detto. Quindi ritiene la Corte che debba considerarsi violato il principio di correlazione tra imputazione contestata e decisione assunta dal Tribunale con conseguente nullità della sentenza appellata ex art. 522 c.p.p.. Rilevata la nullità, la Corte di Appello deve trasmettere gli atti al P.M. competente (Cass. n. 9431/1996 e 2417/1993); non potendo neppure pretendere in considerazione ulteriori profili di grande problematicità attinenti agli ulteriori motivi di appello vertenti sulla sussistenza sia dell’elemento materiale del reato ritenuto, sia di quello psicologico, sia della stessa esistenza del nesso causale in considerazione del fatto che lo stato di dissesto sarebbe intervenuto in epoca ben antecedente l’approvazione dei bilanci del 1992 – 93 e ’94, con ulteriori conseguenze anche in ordine alla decorrenza della prescrizione per il reato de quo” … . …” Visto l’art. 604 c.p.p., dichiara la nullità della sentenza appellata dagli imputati e rimette gli atti al P.M”.

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