Cass. civ, sez. III, Sent. n. 29894 - Pres. Filodoro

Assicurazione - Dichiarazioni false reticenti

19/12/2008

Il sig. X conveniva dinanzi al Tribunale la compagnia Assicuratrice Z e il suo agente Y per sentirli condannare in solido al pagamento di somma a titolo di indennizzo dell’infortunio verificatosi a X negato dalla compagnia di assicurazioni sul presupposto che l’assicurato aveva taciuto l’esistenza di precedenti infortuni, in occasione della sottoscrizione della polizza infortuni. La domanda era rigettata nel merito dal Tribunale, che condannava X a restituire l’indennizzo ricevuto dalla stessa compagnia di assicurazioni in conseguenza di un precedente incidente, previa dichiarazione di nullità, ex art.. 1892 c.c., del contratto di assicurazione. La Corte di Appello confermava la decisione del primo giudice. I giudici di appello concordavano con quanto già affermato dal Tribunale e cioè che con ogni probabilità X aveva falsificato il brogliaccio relativo ad un primo contratto di assicurazione indicando la esistenza di precedenti infortuni. Le annotazioni apposte sul brogliaccio non firmato erano rimaste allegate agli atti in possesso dell’assicurazione, ma non erano state riportate nelle polizze successive, nelle quali l’assicurato aveva barrato le caselle “no” negli spazi ove erano richieste informazioni circa la esistenza di precedenti infortuni dai quali fossero residuati postumi permanenti di natura invalidante. Avverso tale decisione x ha proposto ricorso per cassazione, sorretto da tre distinti motivi. Resistono con distinti controricorsi i resistenti, di cui uno ha proposto ricorso incidentale in ordine alla propria carenza di legittimazione passiva ed alla compensazione parziale delle spese disposta dai giudici di appello. La Corte, riuniti i ricorsi li ha entrambi respinti. Questi i motivi salienti della decisione: …” Deve innanzi tutto essere esaminato il primo motivo del ricorso incidentale con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 100 c.p.c. e 1903 c.c. nonché vizi della motivazione, censurando la decisione della Corte territoriale nella parte in cui la stessa non aveva esaminato l’eccezione di carenza di legittimazione passiva proposta con l’appello incidentale. L’eccezione è priva di fondamento, poiché le censure sono state proposte solo in via subordinata (e dunque per la sola ipotesi di accoglimento – anche parziale – dell’appello principale). L’eccezione è comunque infondata nel merito. Infatti l’agente y è stato evocato in giudizio, in proprio (e non quale agente), secondo la prospettazione datane da X, in quanto responsabile della mancata riproduzione – nella stesura definitiva della polizza di cui è causa – della dichiarazione di precedenti infortuni subiti. Dopo la morte di Y, la causa era stata riassunta nei confronti della erede che aveva fatto proprie tutte le difese ed eccezioni del proprio dante causa. Può ora procedersi all’esame del ricorso principale. Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione dell’art. 2719 c.c., 214 e 215 c.p.c. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Una volta disconosciuti i documenti relativi ai due contratti di assicurazione ed emessa la ordinanza di esibizione degli originali, il Tribunale, prima, e la Corte d’Appello, poi, non avrebbero dovuti fondare il loro giudizio sulle semplici fotocopie prodotte dai convenuti. La decisione adottata doveva, pertanto, essere annullata per violazione delle norme di diritto sopra specificate. Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce la violazione dell’articolo 1892 c.c. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio. Ad avviso della Corte, la mancanza di sottoscrizione del brogliaccio rendeva lo stesso irrilevante. Così decidendo, tuttavia, i giudici di appello erano incorsi nella violazione di norme di legge denunciate. Infatti, l’art. 1892 c.c. non prescrive affatto che la prova della conoscenza di precedenti infortuni risulti da atto scritto e sottoscritto dall’assicurato. All’interno dell’ufficio dell’agente che aveva stipulato la polizza, era stato rinvenuto un documento preesistente al contratto di assicurazione del quale si discute, nel quale si denunciava la esistenza di un pregresso sinistro. I documenti prodotti dimostravano che tra la prima polizza e la seconda non vi era soluzione di continuità. Del resto, una volta accertato che si trattava di un fatto e non di un contratto, non aveva alcuna rilevanza stabilire se la seconda polizza avesse o meno sostituti la prima ovvero se si trattasse semplicemente di una semplice appendice, come sostenuto dalla difesa del ricorrente principale. Con il terzo motivo il ricorrente principale denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., ed omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio. I giudici di appello non avevano spiegato in alcun modo come potesse essere x in possesso della fotocopia della proposta di polizza, in tutto conforme all’originale, poi allegata al ricorso per sequestro giudiziario dell’originale della stessa. Non vi era prova alcuna che fosse collega di lavoro di y. La teste D. aveva ammesso la possibilità che X avesse potuto consultare il proprio fascicolo, contenente la polizza assicurativa, sedendosi alla sua scrivania (ed in assenza di controllo continuo da parte del personale della agenzia). La stessa testimone, tuttavia, non aveva mai affermato che il ricorrente avesse avuto la possibilità di lasciare l’ufficio con la pratica al seguito, allo scopo di modificare il brogliaccio, portato fuori dall’agenzia e fotocopiarlo, per poi rimetterlo al proprio posto. Poiché Y aveva affermato che il X si era presentato una sola volta in agenzia, la fotocopia del documento avrebbe dovuto essere effettuata nello stesso giorno della presunta contraffazione. Osserva il collegio: i tre motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, non sono fondati. Nei contratto di assicurazione, di natura aleatoria, lo scopo attribuito dalla legge alle dichiarazioni dell’assicurando sugli elementi di fatto determinanti il consenso dell’assicuratore è quello di portare a conoscenza di quest’ultimo, prima della stipulazione della polizza, tutte le circostanze che possono influire sul rischio, in modo da rendere possibile la esatta individuazione del rischio medesimo. La disciplina sulle dichiarazioni inesatte o reticenti prevista dagli artt. 1892 e 1893 cod. civ., attendendo alle disposizioni generali sull’assicurazione, è applicabile all’assicurazione contro gli infortuni: è dunque irrilevante – a tal fine – stabilire se quest’ultima rientri all’assicurazione contro i danni ovvero costituisca una forma di assicurazione sulla vita. (Cass. 27 luglio 2001 n. 10292). Le dichiarazioni dell’assicurato hanno – indubbiamente – valore essenziale, sia perché la conclusione del contratto e la determinazione del premio sono in funzione della valutazione del rischio, sia perché la corrispondenza tra rischio reale e rischio rappresentato dal contraente privato è considerata un presupposto per la validità del contratto, stabilito a tutela e nell’interesse dell’assicuratore. In questa prospettiva, l’art. 1892 codice civile stabilisce al primi comma che “le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente, relative a circostanza tali che l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose, sono causa di annullamento del contratto quando il contraente ha agito con dolo o con colpa grave”. In tema di contratto di assicurazione, a fronte di dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato su circostanze relative alla valutazione del rischio, che siano ascrivibili a dolo o colpa grave di quest’ultimo, la norma dell’articolo 1892 cod. civ. conferisce all’assicuratore, nel concorso dell’ulteriore requisito della rilevanza delle dichiarazioni sulla formazione del consenso dell’assicuratore medesimo, sia il rimedio della impugnazione del contratto, previa manifestazione di una volontà in tal senso nel termine di decadenza di tre mesi dalla conoscenza di quel comportamento doloso o gravemente colposo, sia la facoltà – qualora l’evento si verifichi prima della scadenza di detto termine trimestrale ed a maggior ragione prima dell’inizio del suo decorso – di rifiutare il pagamento dell’indennizzo eccependo la causa di annullamento del contratto (Cass. 4 marzo 2006 n. 3165, 29 marzo 2006 n. 7245, 21 luglio 2006 n. 16769, 13 marzo 2007 n. 5849). L’assicuratore che sia venuto a conoscenza della inesattezza delle dichiarazioni rese solo dopo il verificarsi del sinistro, può sia rifiutare il pagamento della somma assicurata in via di eccezione inademplenti non est adimplendum, sia agire per l’accertamento di tale inadempimento, senza bisogno di impugnare il contratto di assicurazione (Cass. 24 marzo 1997 n. 2576). L’elemento soggettivo per l’annullamento del contratto di assicurazione nel caso di dichiarazione inesatte o di reticenze da parte dell’assicurato (art. 1892, cod. civ.) non richiede che questi ponga in essere artifici o altri mezzi fraudolenti (non essendo applicabile la disciplina generale dell’errore e del dolo. Cass. 26 luglio 1978 n. 3751, 13 novembre 1987 n. 8352). Pertanto, quanto al dolo, è sufficiente la coscienza è volontà di rendere una dichiarazione inesatta o reticente, e quanto alla colpa grave, che la dichiarazione inesatta o reticente sia frutto di una grave negligenza inerente al momento della coscienza dell’inesattezza o della dichiarazione della notizia, occorrendo che l’assicurato abbia consapevolezza della importanza dell’informazione, a quest’ultimo fine, ed allo scopo di delimitare l’obbligo dell’assicurato, l’assicuratore è perciò tenuto ad indicare le circostanze che egli intende conoscere. (Cass. 4 marzo 2003 n. 3165, 12 maggio 1999 n. 4862, 12 ottobre 1998 n. 10086). L’accertamento compiuto dal giudice di merito, in ordine alla sussistenza degli elementi previsti dall’art. 1892 c.c., sfugge a qualsiasi censura in sede di legittimità, se logicamente motivato (Cass. 19 novembre 2001 n. 784, 29 marzo 2006 n. 7245, 13 marzo 2007 n. 5849). Tanto premesso sotto un profilo generale, appare opportuno sottolineare che, nel caso di specie, il giudice di appello – come già il primo giudice – ha fondato il suo sillogismo argomentativo, per giungere all’accoglimento della domanda, partendo dalla costante giurisprudenza di questa Corte per la quale non qualunque reticenza di circostanze conosciute dall’assicurato è causa di annullamento del contratto di assicurazione, ma l’annullamento è irrevocabile solo allorquando la dichiarazione falsa o reticente sia di tale natura che l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non l’avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto l’esatta o completa verità (Cass. 17 dicembre 1975 n. 4148, Cass. 26 luglio 1978 n. 3751, 25 maggio 1994 n. 5115, 4 luglio 1997 n. 6039). Tutte e tre queste condizioni, hanno accertato i giudici di appello, erano ravvisabili nel caso di specie. Con motivazione del tutto adeguata, la Corte territoriale ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto che la polizza di assicurazione dovesse essere annullata. Ha osservato che X aveva tenuto nascoste informazioni rilevanti circa la preesistenza di infortuni con esiti invalidanti. Il brogliaccio sequestrato, allegato alla proposta della prima polizza di assicurazione, come hanno precisato i giudici di merito, era risultato chiaramente contraffatto. In particolare, la dicitura “appendice” apposta – peraltro solo a matita – nella copia della polizza prodotta da X, risultava posteriore alla redazione del documento ed apposta successivamente da persona del tutto estranea al rapporto in causa. In ogni caso, ha sottolineato la Corte territoriale, il contenuto di tale documento non poteva assumere alcuna rilevanza nel caso di specie, non solo perché si riferiva ad una proposta di polizza precedente, del tutto autonoma rispetto a quella per la quale si richiedeva l’indennizzo, ma soprattutto perché aveva risposto negativamente alla specifica domanda, inserita in tutte le successive proposte di assicurazione, circa la esistenza di precedenti sinistri invalidanti. Con accertamento di merito completo ed adeguato, e dunque insindacabile in questa sede, la Corte territoriale ha concluso che si era trattato di contratti di assicurazione, del tutto distinti e diversi, sicché anche la eventuale presenza del brogliaccio contenente tali informazioni, rinvenuto agli atti della prima polizza, non poteva spiegare agli atti della prima polizza, non poteva spiegare alcuna influenza sulle polizze e sui contratti successivi, del tutto autonomi rispetto al primo. Le osservazioni formulate dal ricorrente, il quale ha sottolineato che la esistenza di precedenti infortuni – con gli esisti di cui si è detto – sarebbe stata, comunque, a conoscenza dell’assicuratore (donde la irrilevanza che la stessa non risultasse da dichiarazione firmata o non fosse riprodotta nella polizza definitiva) perdono qualsiasi rilevanza di fronte al motivato accertamento di merito, compiuto dai giudici di primo e secondo grado, in ordine alla autonomia delle varie polizze assicurative” … .

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