7.10.2025 – Tribunale di Ancona – Sez. Spec. Impresa Sent. n. 1517/2025 Pres. Pompetti Est. Minervini.

Fallimento – Azione della curatela per responsabilità dell’Amministratore ex art. 2476 c. I e VI c.c. – Sussiste – Ragioni – Azione della curatela per responsabilità del socio ex art. 2476 c. VIII c.c. – Insussistenza – Ragioni – Azione di responsabilità dell’esperto stimatore ex art. 2343 c. II 2465 c.c. – Sussiste – Ragioni – Azione di responsabilità nei confronti del terzo ex art. 2043 – 2055 c.c. – Insussistenza – Ragioni.

24/11/2025

MOTIVI DELLA DECISIONE 1.   La società poi fallita aveva ad oggetto (cfr. visura storica allegata al doc. n. 2 allegato alla relazione ex art. 33 l.fall., depositata in allegato all’atto di citazione al doc. n. 11): -     la gestione di alberghi, ristoranti e bar; -  la compravendita e gestione di immobili; -  la consulenza aziendale; -  l’acquisto e vendita di imbarcazioni, -  l’intermediazione immobiliare e la progettazione di fabbricati. Il fallimento attore in punto di fatto ha allegato che con atto pubblico del omissis 2014 l’intero patrimonio immobiliare della X s.r.l. (del valore stimato di € omissis) è stato interamente conferito in favore della neocostituita A s.r.l. a fronte dell’attribuzione di un’irrisoria quota di partecipazione del omissis% (cfr. doc. n. 29 allegato all’atto di citazione). In particolare, punto focale della vicenda è la perizia di stima ex art. 2465 c.c. redatta dal dott. B con criteri ritenuti dal fallimento attore del tutto difformi da quelli riconosciuti dalla dottrina dominante, in forza della quale il capitale netto rettificato della conferitaria A s.r.l. partecipato dalla X s.r.l. è stato indicato in Euro omissis pari ad una quota di partecipazione del omissis%, laddove, utilizzando corretti criteri, la quota attribuibile alla X s.r.l. sarebbe stata del omissis% (cfr. doc. n. 17 allegato all’atto di citazione). La perizia di stima di conferimento sarebbe del tutto errata ai fini della corretta valutazione dell’assetconferito e, per l’effetto, avrebbe comportato un’importante riduzione del patrimonio della X s.r.l. in danno ai creditori (la Soc. X è stata poi dichiarata fallita N.d.R.). Più nello specifico, con l’atto pubblico citato è stata costituita la A s.r.l. Il capitale sociale di Euro omissis è stato sottoscritto: -  per Euro omissis dalla G s.r.l.; -  per Euro omissis dalla X s.r.l. mediante il conferimento del ramo di azienda di sua proprietà, avente per oggetto l’attività di consulenza aziendale per lo studio e la realizzazione di strategie di marketing e ricerche di mercato, l’organizzazione di rete per gli acquisti, progetti e piani operativi di distribuzione, la progettazione e l’impianto di catene di distribuzione, la compravendita di beni immobili e la loro gestione. Nel conferimento, sulla scorta della perizia redatta dal dott. B allegata all’atto costituivo - che aveva stimato il ramo conferito in Euro omissis - sono stati compresi anche i tre immobili di proprietà della X s.r.l. Le voci contabili conferite sono state le seguenti: (omissis) Gli immobili oggetto di conferimento sono stati valutati dal perito stimatore, sulla base della perizia elaborata dal geom. V (doc. n. 18 allegato all’atto di citazione), in complessivi Euro omissis determinati come segue: 1)   immobile omissis; 2)    immobile omissis; 3)   immobile omissis. All’atto costitutivo dell’A s.r.l. del omissis.2014 hanno partecipato il sig. S, quale amministratore della X s.r.l., e il sig. M, quale amministratore della G s.r.l., mentre è stato indicato quale amministratore della società neocostituita il sig. W. Alla data del omissis.2014 la compagine sociale della neocostituita A è dunque così sintetizzata: (omissis) Con tale operazione di conferimento la X s.r.l. avrebbe azzerato il proprio patrimonio immobiliare a favore dell’A s.r.l. inibendo, di fatto, azioni su beni potenzialmente aggredibili dai creditori. Infatti il conferimento è stato effettuato in favore di una società ove la X s.r.l. detiene solo una quota di minoranza (omissis%) del capitale sociale, pur continuando i coniugi S/H a mantenerne la gestione degli immobili conferiti con l’ausilio dei professionisti e di prestanome. Essenziale per la riuscita dell’illecita e dannosa operazione sarebbe stata la perizia di stima redatta dal dott. B, il quale, nel proprio elaborato, avrebbe utilizzato criteri del tutto difformi da quelli imposti dalla dottrina. In particolare per giungere al valore di conferimento di Euro omissis il dott. B ha precisato nella propria perizia di aver stimato gli immobili in misura pari “al minore tra il costo storico indicato in contabilità nella situazione patrimoniale al omissis/14 e il valore estimativo indicato nella perizia del geom. V ” (doc.n. 17), laddove, invece, la dottrina imporrebbe che la stima degli immobili venga effettuata a valori correnti o di mercato. In base al “singolare” criterio valutativo adottato, il dott. B ha assunto per l’immobile sito in omissis il valore di mercato e, per gli altri due immobili, il valore contabile. E, in applicazione di questo singolare metodo di valutazione, è stata indicata una “minusvalenza su cespiti immobiliari come da perizia V” di € omissis” che sarebbe stata funzionale al solo fine di ricondurre i valori contabili ai più bassi valori di perizia, finendo per attribuire agli immobili un valore di complessivi Euro omissis. Quindi, a parere della curatela, il valore di conferimento non potrebbe ritenersi congruo e l’operazione avrebbe determinato un correlato depauperamento del patrimonio sociale per Euro omissis, come sarebbe desumibile dalla corretta stima effettuata dal perito nominato dalla procura della Repubblica del tribunale di Pesaro (cfr. doc. n. 21, pagg. 62 e ss. allegato all’atto di citazione), come rappresentato dalla seguente tabella: (omissis) A fronte del valore conferito di Euro omissis la X s.r.l. avrebbe dovuto possedere la quasi totalità delle quote della neo-costituita A s.r.l., e non la quota del omissis% che le è stata attribuita. L’immotivata operazione di conferimento e i trasferimenti immobiliari ad essa sottesi, finalizzati alla loro sottrazione ai creditori in modo da consentirne la continuativa disponibilità in capo ai coniugi S/H, denoterebbero l’esistenza di un centro decisionale unico tra compagine sociale, amministrativa e le altre persone fisiche qui convenute. D’altra parte sarebbe indubbio che l’operazione, così come compiuta, apparisse exante come priva di qualsivoglia logica imprenditoriale. Infatti, anche volendo tralasciare ogni valutazione sull’incomprensibile valore di conferimento, è evidente che, se invece di procedere con l’operazione, la X s.r.l. avesse optato per la liquidazione del patrimonio oggetto di conferimento, la medesima avrebbe potuto acquisire un saldo attivo di Euro omissis circa (somma pari alla differenza tra il valore di stima dei beni immobili e i debiti conferiti). Inoltre avrebbe anche potuto fruire dei flussi di cassa derivanti dalla locazione degli immobili, che avrebbero anch’essi consentito di far fronte a parte dei debiti. In conclusione, per la curatela non potrebbe dubitarsi della dannosità dell’operazione, sia perché la quota di partecipazione liquidabile nell’ A s.r.l. è quella del omissis% in luogo di quella del omissis%, sia perché quand’anche si riconoscessero i veri valori di conferimento, il conferimento stesso ha sottratto ai creditori immobili per sostituirli con una partecipazione, per sua natura più difficilmente liquidabile. La curatela, agendo in giudizio, ha esercitato le seguenti azioni: 1)   ha esercitato congiuntamente, ex art. 147 l.fall., l’azione sociale di responsabilità ex art. 2476, primo comma, c.c. e l’azione di responsabilità dei creditori sociali, ex art. 2476, sesto comma, c.c. nei confronti dell’ex amministratore della società poi dichiarata fallita nel 2021, S chiedendo il risarcimento del danno quantificato nel corretto valore del ramo d’azienda indebitamente conferito, pari a € omissis; 2)    ha esercitato l’azione di responsabilità contro la socia H ex art. 2476, ottavo comma, c.c. deducendo che avrebbe “deliberato” l’atto ritenuto illecito e dannoso nei confronti dei creditori e della società; sempre nei suoi confronti ha esercitato in via alternativa azione di responsabilità quale amministratrice di fatto; 3)   ha esercitato azione di responsabilità ex artt. 2343, secondo comma, c.c. a cui rinvia l’art. 2465 c.c. in tea di s.r.l., nei confronti dell’esperto stimatore del conferimento di ramo d’azienda, B per inadempimento contrattuale e per aver con la sua condotta, consistita nell’erronea stima, concorso ex art. 2055 c.c. nell’illecito dell’amministratore; 4)    ha esercitato azione ex art. 2043 c.c. e 2055 c.c. nei confronti del terzo M, amministratore della G s.r.l. dal omissis.2003 al omissis.2017 , nonché socio al omissis% della stessa G s.r.l. alla data del omissis.2014, per avere anch’egli attuato, in tali qualifiche, l’operazione di conferimento per cui è causa anche attraverso la contestuale costituzione dell’ A s.r.l.: nello specifico per essersi reso diretto intestatario di quote sociali della citata G s.r.l., società coinvolta nell’operazione distrattiva, fungendo da vero e proprio prestanome, così coadiuvando i soci e amministratori della fallita X s.r.l. nella sottrazione delle garanzie patrimoniali alle pretese dei creditori. Invero risulta che la restante quota di A (non sottoscritta da X) è in realtà di S, che l’ha intestata fiduciariamente per 5 anni a W dietro pagamento di compenso pari a € omissis (cfr. doc. n. 43 allegato alla prima memoria istruttoria dell’attore), e che a sua volta l’ha intestata fiduciariamente a G per 4 mesi dietro pagamento di compenso pari a € omissis (cfr. doc. n. 42 allegato alla prima memoria istruttoria dell’attore). Inoltre, la quota di partecipazione di G in X è stata poco dopo venduta, il omissis 2014 alla K s.r.l., amministrata da B e partecipata al omissis% da B stesso, al prezzo di € omissis (doc. n. 29). 2.      I convenuti si sono costituiti, contestando nel merito la fondatezza delle azioni esercitate dalla curatela. 2.1.     Il convenuto B, costituitosi tardivamente, ha eccepito anche la prescrizione dell’azione, seppur poi non riportata nelle conclusioni; l’eccezione non è stata neppure riproposta nei successivi atti e pertanto deve ritenersi comunque rinunciata e sul punto non è necessario esprimersi. Nel merito ha allegato che non aveva alcun interesse né economico né di altro genere ad agevolare od occultare patrimoni a favore di S o di altri, e ha operato sempre e solo con spirito professionale. La mancanza di dolo sarebbe dimostrabile con il fatto che B ad oggi vanterebbe un credito di circa omissis euro nei confronti del “Gruppo S” per le attività professionali svolte e che, dunque, se fosse stato l’interesse economico a muovere il convenuto, lo stesso avrebbe dovuto –quanto meno –trarre un profitto dalla vicenda. L’operazione di conferimento dell’azienda nella A s.r.l. sarebbe stato il frutto della volontà di dare seguito ad un piano di riorganizzazione delle società facenti capo al S; piano che prevedeva un complesso di atti e di operazioni straordinarie volte a ridurre il numero delle società, effettuare compensazioni tra crediti e debiti infragruppo e soprattutto utilizzare alcuni crediti IVA di importo significativo (circa omissis euro) per compensare posizioni debitorie verso l’erario emergenti in alcune società, tra le quali la X s.r.l. Nel 2014 –all’atto della redazione della perizia di stima– le posizioni debitorie della X s.r.l. ammontavano a circa omissis euro, che non si trovava in stato di insolvenza, e non destavano preoccupazione in capo agli organi societari in quanto era allo studio di fattibilità un progetto di riorganizzazione delle società facenti capo al S (doc. 3 allegato alla comparsa). La somma dei provvedimenti dell’agenzia delle entrate notificati prima del omissis/10/14 mostrerebbe un carico tributario assolutamente marginale, risultando le notifiche dei provvedimenti, per ampia parte, successive al momento della redazione della perizia. Dunque la quantificazione corretta della situazione debitoria al momento della redazione della perizia sarebbe stata conosciuta, regolarmente gestita e tutt’altro che sottovalutata e ciò farebbe venir meno la tesi della curatela secondo la quale il convenuto avrebbe agito allo scopo di partecipare ad un atto distrattivo, tendente a far continuare a gestire ai sigg.ri S e H gli immobili conferiti e sottrarli alle aspettative dei creditori, dato che tale assunto, per essere fondato, deve essere corroborato dall’esistenza di debiti a fronte dei quali voler “schermare” gli immobili. Il progetto di ristrutturazione avrebbe previsto di utilizzare crediti tributari (complessivamente tra le varie società vi erano crediti IVA per oltre omissis euro) che potevano essere impiegati per ridurre sensibilmente anche i debiti tributari di X  (in particolare, la Y s.r.l. vantava un consistente credito IVA) e per alcune posizioni debitorie procedere con delle rateizzazioni pluriennali. Il progetto, inoltre, avrebbe mirato a chiudere numerose società (previa liquidazione), così da ridurre le perdite, gli adempimenti amministrativi, eliminare la disorganizzazione contabile ed amministrativa vigente e lasciare in piedi solo società con economicità sostenibile nell’arco di 12/18 mesi a partire da luglio 2014. Il primo passaggio che avrebbe previsto il piano di riorganizzazione era la creazione di una immobiliare di scopo in forma di s.r.l. con il conferimento di immobili e mutui ipotecari collegati, oltre che di debiti infragruppo derivanti dalla X. Si sarebbe ipotizzato anche il passaggio di alcuni contratti di leasing e relativi debiti presenti nella Z srl. La newco avrebbe dovuto avere come socio di maggioranza una nuova società denominata ZZ srl che, secondo i progetti, avrebbe sottoscritto un aumento di capitale cospicuo di circa omissis euro. Successivamente, si sarebbe proceduto alla fusione societaria tra X s.r.l., VV s.r.l. e Y s.r.l. In questo modo si sarebbero potute sistemare varie partite infragruppo, eliminare due società e soprattutto si sarebbe potuto (nei limiti temporali previsti dalle norme) utilizzare in compensazione orizzontale il predetto credito IVA di circa € omissis. Il progetto avrebbe previsto anche altre operazioni societarie tutte finalizzate alla riduzione di costi, alla eliminazione di società inutili ed alla riduzione dei debiti tributari tramite compensazioni; le relative operazioni avrebbero dovuto coordinarsi con il piano di ristrutturazione dei debiti ex art.182 bis L.F. presentato dalla SS s.r.l. ed omologato dal tribunale. S decise di iniziare a dare attuazione al progetto con una scissione della X s.r.l. in due società; l’una che doveva proseguire le attività commerciali e di servizio della X e l’altra che doveva essere una vera e propria immobiliare nella quale dovevano confluire immobili di proprietà della X s.r.l., ma anche debiti bancari ipotecari ed altri debiti esigibili a breve. Sia S che i professionisti incaricati –avvocati, commercialisti e tributaristi vari - non ravvisarono alcun rischio tributario, tanto che si optò per un’operazione “neutra” dal punto di vista tributario e soprattutto che non esonerava le beneficiarie dai carichi fiscali (articolo 173, comma 13, DPR 917/1986). Nel mese di omissis 2014 venne redatto il progetto di scissione della X s.r.l. ed iscritto al registro imprese e in data omissis 2014 si svolse l’assemblea dei soci, presso lo studio del notaio omissis. L’atto venne depositato al registro imprese in data omissis 2014, ma non ebbe efficacia, in quanto in data omissis 2014, era stata presentata opposizione al progetto di scissione da parte di un creditore della X s.r.l., la d s.r.l. Solo in quel contesto e in quelle settimane, B sarebbe venuto a conoscenza dell’esistenza di un contenzioso tra S e tal PP, ex socio d’affari del S, e del fatto che la X s.r.l. e S avevano rilasciato a favore del PP una fideiussione di omissis di euro a garanzia. Nel corso delle riunioni con i professionisti legali del gruppo emerse che S era coobbligato personalmente nei confronti del PP. Per tale ragione nella contabilità di X fu iscritto un fondo rischi e un corrispondente credito verso S come coobbligato, in quanto quest’ultimo dichiarò di essere obbligato a rifondere la X in caso di pagamento. A seguito dell’impossibilità di procedere alla scissione per attuare il piano, fu ripreso il progetto iniziale di creazione di una immobiliare di scopo, attraverso un’operazione di conferimento di ramo d’azienda. A B fu chiesto di redigere una perizia per il conferimento di un ramo d’azienda della X in una NewCo (A srl). B si occupò di redigere la perizia del ramo d’azienda, procedendo, poi, alla sua asseverazione dal notaio in occasione della costituzione della nuova società immobiliare. Nel merito del valore stimato, il convenuto B ha dedotto che in caso di trasferimento di azienda il valore che rileva sarebbe ben diverso dal valore di mercato, da qui a qui l’esigenza di assumere il valore contabile pari a complessivi € OMISSIS (assunto con criterio cautelativo come imposto da buona pratica contabile). Il criterio utilizzato per arrivare a tale stima sarebbe stato spiegato e compiutamente argomentato nella perizia, non nascendo da un “capriccio”, ma dalla preventiva disamina dei vari procedimenti utilizzabili (metodo patrimoniale, metodo basato sui flussi di risultato e metodo basato sulla creazione di valore), per poi spiegare le ragioni che hanno indotto il B a scegliere un metodo piuttosto che l’altro (pag. 11 e segg.perizia). Per la stima del capitale netto il dott. B avrebbe valutato le attività e le passività conferite, spiegando dettagliatamente ogni passaggio anche avvalendosi della perizia tecnica redatta dal Geom. V per giungere al valore corrente delle immobilizzazioni materiali ed indicando nella somma di € omissis il valore degli immobili. In particolare, per gli immobili di proprietà, ai fini prudenziali ed al solo scopo di indicare un valore di conferimento veritiero e ponderato si è scelto di utilizzare il valore inferiore tra il dato contabile ed il valore di stima rilevato dal geom. V (si veda pagina 13 della Perizia B, doc. n. 17 attore). Conseguentemente per gli immobili in via omissis si è assunto il valore contabile di € omissis in luogo degli € omissis trattandosi di maggior valore stimato, ma non realizzato; analogamente, per gli immobili di via omissis si è assunto il valore di € omissis in luogo degli € omissis. Dunque, in entrambi i casi si sarebbe assunto il valore che meglio garantiva il rispetto della prudenza, principio cardine di ogni serio stimatore. A valore pressoché identico si sarebbe giunti anche prendendo in considerazione l’ipotesi che gli immobili potessero essere oggetto di pignoramento da parte dell’agente della riscossione in favore dell’erario. Ed infatti, considerato l’andamento delle aste immobiliari, e una perdita di valore di circa il 30% rispetto alla stima, anche volendo accogliere come valore di partenza il valore OMI, calcolando la svalutazione conseguente alla vendita all’asta, si sarebbe ottenuta la somma di € omissis circa, somma pressoché corrispondente al valore contabile indicato da B. Da ultimo, il convenuto B ha contestato la quantificazione del danno e ha precisato che se il danno è dato dalla errata valutazione degli immobili conferiti in A srl, che sarebbero stati sottratti alla disponibilità della X s.r.l., ricordato che gli unici soci dell’A s.r.l. sono la X s.r.l. e la K s.r.l., per la curatela sarebbe facile rientrare nella disponibilità di tale patrimonio immobiliare. Ciò in quanto, in data omissis/2020 e omissis/2020 (e dunque prima dell’inizio del presente giudizio), l’amministratore della A s.r.l. ha intimato al socio K s.r.l. di eseguire il necessario versamento dei decimi del capitale sociale (doc. n. 6) Poiché la K s.r.l. ha omesso di ottemperare nonostante tali intimazioni, ai sensi dell’art. 2466 c.c., la X s.r.l. (unico altro socio) si trova nella posizione di poter acquistare le quote possedute dalla stessa K s.r.l.; in questo modo la curatela rientrerebbe nella piena disponibilità di tutto il compendio immobiliare, senza alcun pregiudizio. Per la curatela sarebbe dunque sufficiente ottenere l’esclusione di tale socio per divenire socio unico dell’Arca s.r.l. e dunque elidere ogni presunto danno, rientrando nel pieno possesso del compendio immobiliare. 2.2.    La convenuta H in punto di fatto ha preliminarmente dedotto che, pur essendo stata sposata con il convenuto S, avendo avuto dal matrimonio omissis figli, e da cui oggi è in via di separazione, “è stata vittima delle angherie” del coniuge, consistite in “vessazioni psicologiche e fisiche” sia nell’ambito familiare che nell’ambito lavorativo. S avrebbe utilizzato la moglie nelle varie sue società come “mero ed inconsapevole prestanome dei suoi intenti, dei quali aveva una gestione esclusiva, della quale mai mise a parte la H” che non ha mai assunto alcuna autonoma iniziativa, di cui infatti non vi è traccia nell’atto di citazione. La sig.ra H, proprio per la necessità di allevare omissis figli, ha cessato ogni attività lavorativa dal 1996 mentre il suo personale reddito è poco più che inesistente come dimostrerebbero le dichiarazioni dei redditi prodotte. Solo a seguito delle numerose vicende giudiziarie, l’odierna convenuta avrebbe scoperto che le disponibilità economiche che il marito vantava di possedere, provvedendo a tutto quanto necessario per mantenere la famiglia, compresi i percorsi di studio dei figli maggiorenni, erano frutto di attività economiche e finanziarie di cui la moglie era stata sempre tenuta all’oscuro. La convenuta quindi deduce di aver ricoperto solo di facciata la veste di amministratore e poi di consigliere di X. Ciò sarebbe stato confermato dalla sentenza penale della Corte di Appello de l’Aquila omissis/2022, che ha assolto la signora dal delitto di bancarotta fraudolenta e ha evidenziato che H sarebbe stata semplice appendice priva di volizione propria di S (doc. 12). La sig.ra H avrebbe semplicemente acconsentito, a ciò spinta dell’ex-marito, che sempre si atteggiava ad imprenditore abile e fortunato, esente da ogni censura, ad assumere, peraltro per brevissimi periodi, la veste di mera depositaria di talune quote societarie (che ora sono “carta straccia”) o titolare di cariche amministrative, sempre su richiesta del marito, unico proprietario e gestore delle società stesse, ed unico effettivo centro decisionale. Nel merito specifico dell’operazione di conferimento del ramo d’azienda effettuata il omissis 2014, la convenuta ha precisato di aver ricoperto la carica di amministratore dal omissis.2000 al omissis.2014. Fino a quel momento, S deteneva la carica di consigliere delegato con pieni poteri, come si desume a pag. 20 dalla visura storica della società aggiornata (doc. 13). Pertanto, alla data del omissis.2014 la convenuta non rivestiva più alcun incarico societario, mentre S dal omissis.2014 ne era divenuto l’amministratore unico, essendone lui l’effettivo gestore ed il solo ad aver presenziato alla firma dell’atto costitutivo del nuovo soggetto societario (A s.r.l.) cui sarebbero stati fraudolentemente ceduti i beni immobili della fallita X s.r.l. H non ha concorso a votare alcuna deliberazione assembleare. La Sig.ra H non avrebbe avuto alcuna conoscenza circa le questioni societarie e non avrebbe nemmeno potuto conoscere lo stato di decozione della X s.r.l. dal momento che come emerge a pag. 15 della relazione del curatore ex art. 33 l.fall.“dal libro verbali assemblea non risultano trascritti i verbali di approvazione dei bilanci chiusi al 31.12.2005, al 31.12.2006, al 31.12.2014, al 31.12.2015, al 31.12.2016, al 31.12.2017 e al 31.12.2018”. 2.3.        Il convenuto M ha preliminarmente eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, deducendo di non aver mai ricoperto alcun ruolo di amministratore, o socio o perito per la società fallita, come allegato dallo stesso attore. M è stato convenuto in proprio erroneamente. Egli è stato solo socio della G s.r.l. società terza che, a sua volta, deteneva quote nella A s.r.l., conferitaria degli immobili. La legittimazione passiva pertanto sarebbe potuta semmai essere proprio di G s.r.l. I meri rapporti di conoscenza tra la famiglia di S e H e M, dedotti dalla curatela (aver ricoperto la carica di sindaco in tre società e di consulente fiscale), non potrebbero rappresentare alcun “indice evidente di responsabilità”. La X s.r.l. non si sarebbe spogliata fraudolentemente dei beni immobili di sua proprietà, come sostenuto dalla curatela, ma li ha semplicemente conferiti in un’altra società, restando titolare delle relative azioni, il tutto sulla base di valori difformi rispetto a quelli indicati dalla curatela. A parere del convenuto la curatela avrebbe posto a fondamento della propria azione la perizia redatta dal geom. V, di parte, che non ha tenuto in conto i reali valori del mercato immobiliare. Il geom. V aveva attribuito ai beni un valore totale di € omissis. Al contrario, la Guardia di Finanza, correttamente tenuti in considerazione i valori O.M.I., ha invece attribuito ai beni un valore di € omissis. Di questa valutazione della Guardia di Finanza, che appare dirimente nell’escludere l’esistenza di un danno e premiante per la X s.r.l., parte attrice non fa menzione. Apparirebbe quindi sconosciuto il motivo per il quale la curatela abbia assunto a fondamento delle proprie tesi i valori della perizia tecnica del geom. V, e non invece quelli attribuiti dalla Guardia di Finanza e soprattutto apparirebbe incomprensibile il motivo per il quale – anche a voler mettere in discussione la valutazione del perito stimatore B – sarebbe stata ritenuta dalla curatela maggiormente veritiera la perizia tecnica del geom. V rispetto alla quantificazione operata dalla Guardia di Finanza. Inoltre la curatela non sembra mai aver svolto un’analisi critica della perizia tecnica non giurata del rag. V, tale da far prevalere nel suo convincimento che quei valori fossero più affidabili di quelli indicati dalla Guardia di Finanza individuati sulla base di parametri oggettivi quali i valori O.M.I. Se parte attrice avesse acquisito il valore rilevato dalla Guardia di Finanza, infatti, avrebbe dovuto riconoscere che il danno non c’è stato, in quanto sulla base di tali diversi valori, la quota del omissis% del capitale sociale attribuita alla X s.r.l. in cambio del complesso conferito sarebbe addirittura superiore al controvalore dello stesso, in tal modo che il valore della partecipazione non sarebbe solo inferiore a quella attribuita ma addirittura negativa. Il convenuto ha inoltre contestato che all’atto del conferimento vi fossero debiti tributari per € omissis, ma ad € omissis. La società, all’epoca del conferimento, avrebbe avuto pertanto i numeri e ogni ragionevole prospettiva di far fronte agli impegni esistenti, principalmente con i flussi della liquidità del ramo non conferito, quello relativo all’attività di consulenza. Inoltre, il conferimento ha preceduto di quasi sette anni il fallimento e quindi all’epoca non vi era una condizione economico patrimoniale che lasciasse presagire il fallimento. Il conferimento sarebbe stato realizzato in un’ottica di riorganizzazione di X con progetti risultati coerenti stante il fatto che la X s.r.l. aveva prodotto nei primi 8 mesi del 2014, come risultante dal bilancio alla data del omissis 2014, un utile di € omissis, derivante dalle attività di servizi che svolgeva e che in gran parte le sarebbero rimaste “in pancia” anche dopo il conferimento del ramo di azienda. Quindi, i flussi della continuità, insieme con l’incasso dei crediti non conferiti, avrebbero consentito sia di far fronte ai debiti non conferiti sia di sviluppare le attività di X s.r.l. Stante lo stato dei fatti, dunque, non vi sarebbe alcuna ragione di poter sospettare che il progetto di conferimento potesse concretizzare, come si ipotizza, un’azione posta in essere con la finalità di distrarre beni ai creditori. M non era all’epoca commercialista della X s.r.l. e non poteva avere conoscenza dell’azione di risarcimento danni avanzata a fine 2014 (dunque successivamente alla data dell’atto di conferimento) dalla d s.r.l. e dal suo amministratore PP. Non vi sarebbe stata alcuna opportunità nel liquidare gli immobili, anziché conferirli, perché se la società avesse, per fantasiosa ipotesi, realizzato dalla vendita degli immobili l’importo di € omissis, a fronte di un valore fiscale dei beni della società pari a € omissis avrebbe realizzato una plusvalenza non inferiore a € omissis e avrebbe di conseguenza sostenuto imposte non inferiori a € omissis. Inoltre, sempre a parere del convenuto, in caso di insolvenza, la liquidazione di una partecipazione in una newco sarebbe più facilmente liquidabile, rispetto agli immobili. In aggiunta, non risponderebbe al vero che se la X s.r.l. non avesse posto in essere il conferimento “avrebbe potuto fruire dei flussi di cassa derivanti dalla locazione degli immobili”,poiché questi flussi attivi sarebbero stati completamente assorbiti da quelli passivi necessari al pagamento dei mutui ipotecari e degli oneri gravanti sugli immobili. In conclusione, anche con una valutazione ex ante, l’operazione di conferimento continuerebbe a trovare ragione imprenditoriale, non solo nella complessiva ristrutturazione degli assetti che stava interessando tutte le società del gruppo S, ma anche più specificamente nella collocazione al di fuori del perimetro della X s.r.l. di un ramo aziendale: secondo la stessa stima della Guardia di Finanza le passività superavano le attività, i debiti erano certi, liquidi e ad esigibilità quasi immediata, mentre le componenti dell’attivo erano costituite da beni immobili che, per essere trasformati in denaro, andavano venduti. 2.4.    Il convenuto S, che si è costituito per ultimo in conseguenza di un difetto di notificazione dell’atto di citazione, ha preliminarmente chiesto dichiararsi la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. in attesa della definizione del procedimento penale a suo carico per il reato di bancarotta e per quello di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Ha inoltre eccepito la prescrizione dell’azione ex art. 2393 e 2944 c.c. Il convenuto ha quindi contestato nel merito la fondatezza delle azioni sostenendo la correttezza della stima del ramo d’azienda ritenendo che il ragionamento della curatela sarebbe viziato dall’errore di non aver considerato, oltre agli elementi dell’attivo, anche una serie di passività, descritte nella perizia. Inoltre, per la stima dell’attivo, considerata l’oggettività, l’accuratezza, l’aggiornamento e la conseguente attendibilità delle valutazioni OMI è probabilmente questo il valore a cui riferirsi per l’attribuzione del valore agli immobili. A tale valore si è riferita la Guardia di Finanza nel procedimento penale a carico dei convenuti (il convenuto ha citato la nota prot. n. 0166899/2020 del 16.09.2020, pag. 15, nella quale viene precisato che “gli immobili della X s.r.l. all’epoca dei fatti avevano un valore OMI pari a complessivi Euro omissis). Assumendo la stima OMI l’operazione non solo non avrebbe avuto alcun effetto distrattivo, ma avrebbe addirittura comportato il trasferimento all’ A s.r.l. di passività superiori al valore dell’attivo, con un vantaggio netto per la X s.r.l. quantificabile in Euro omissis, oltre al valore di Euro omissis della partecipazione acquisita e così per complessivi Euro omissis. A parere del convenuto, poiché non si tratta di valori oggettivi, ma di valori stimati, la variabilità dei risultati risentirebbe inevitabilmente di una forte componente soggettiva, legata ad un approccio più o meno prudenziale e condizionata dalle informazioni assunte, che potrebbero essere più o meno accurate e pertinenti, per cui non esiste un unico valore da ritenersi corretto, ma un intorno di valori più o meno attendibili. Alla luce di ciò, considerata l’oggettività, l’accuratezza, l’aggiornamento e la conseguente attendibilità delle valutazioni OMI è probabilmente questo il valore a cui riferirsi per l’attribuzione del valore agli immobili. Il maggior valore recepito da B, che ha tenuto in considerazione anche la stima del geom. V, si porrebbe in una zona intermedia tra i valori OMI e quelli espressi dal geom. V, mentre questi ultimi apparirebbero troppo distanti dagli effettivi valori di mercato come fotografati dall’OMI. Il convenuto ha poi precisato che all’atto del conferimento non vi sarebbe stata consapevolezza che il debito tributario ammontava ad € omissis, in quanto la maggior parte delle cartelle sarebbe stata notificata successivamente, mentre l’importo di quelle notificate antecedentemente sarebbe stato limitato ad € omissis. Comunque, secondo il convenuto, proprio le modalità di trasferimento dei beni dimostrerebbe la mancanza di qualunque volontà dei medesimi di arrecare eventuali danni alle ragioni erariali. Invero, l’articolo 14 del decreto legislativo del 18 dicembre 1997 n. 472, rubricato “Cessione di azienda”, in vigore dal 1 aprile 1998 e quindi già all’epoca dei fatti, al comma 1, prevede quanto segue “Ilcessionarioèresponsabileinsolido,fattosalvoilbeneficiodellapreventivaescussionedelcedente ed entro i limiti del valore dell'azienda o del ramo d'azienda, per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché' per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore”. Nel caso di cessione / conferimento d’azienda i beni facenti parte del compendio aziendale conferito continuano, cioè, a permanere a garanzia delle obbligazioni tributarie del conferente per il vincolo di solidarietà che la norma citata ha istituto. Per contro, gli odierni convenuti avrebbero effettivamente potuto sottrarre i predetti beni ad ogni garanzia di carattere tributario semplicemente qualificando il trasferimento come cessione di beni (anziché d’azienda). Infine, il convenuto deduce che la X s.r.l. si troverebbe nella possibilità di rientrare nella piena disponibilità di tutto il compendio immobiliare senza alcun pregiudizio. In merito alle allegazioni dell’altra convenuta H, S ha contestato di aver sottoposto la moglie ad “angherie” ed a “vessazioni psicologiche e fisiche” e allegato che risulta difficile credere che la moglie, la quale ha beneficiato per anni dei frutti del lavoro del marito, si sia accorta di essere stata vessata e circuita solo dopo vent’anni e proprio in coincidenza con la crisi economica che ha travolto le imprese familiari. 3.     Tanto precisato in punto di fatto, preliminarmente il collegio richiama e conferma l’ordinanza dell’8 maggio 2025 del giudice istruttore di rigetto dell’istanza depositata l’11 aprile 2025 dal convenuto M di ricusazione del CTU ex art. 192 c.p.c., e condivide la ritenuta non sussistenza neppure dei presupposti per l’esercizio del potere discrezionale ex art. 196 c.p.c. E’ quindi opportuno richiamare i principi di diritto consolidati in merito alla responsabilità dell’amministratore. 3.1.    L’art. 2476, primo comma, c.c. dispone che “gli amministratori sono responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società. […]”. In punto di riparto dell’onere della prova, in applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale, parte attrice deve allegare, in relazione a specifici fatti concreti di cui deve essere data prova previa conferente indicazione, l’inadempimento - da parte dell’amministratore - degli obblighi a lui imposti dalla legge e/o dall’atto costitutivo e/o dal generale obbligo di vigilanza e di intervento preventivo o successivo, al fine di evitare il determinarsi di eventi dannosi: per gli amministratori di s.r.l., al pari di quelli delle s.p.a., è richiesta la diligenza desumibile in relazione alla natura dell’incarico ed alle specifiche competenze, cioè quella speciale diligenza prevista dall’art. 1176, secondo comma, c.c. per il professionista. Ai fini della risarcibilità del preteso danno, l’attore deve poi anche allegare e provare, sia pure ricorrendo a presunzioni, l’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale di cui chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente; in difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto (cfr. Cass. 5960 del 2005). Incombe viceversa sugli amministratori l’onere di dimostrare l’inesistenza del danno ovvero la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. 22911 del 2010). 3.2.    L’art. 2476, sesto comma, c.c. (inserito dal d.lgs. n. 14 del 2019, art. 378, comma 1) dispone che: “gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerentialla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. […]”. La responsabilità nei confronti dei creditori sociali sussiste invece nel caso in cui il comportamento degli amministratori sia stato tale da determinare una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo, per difetto, ad assolvere alla sua funzione di garanzia generica (art. 2740 c.c.) al soddisfacimento dei debiti assunti nei confronti dei creditori sociali, con conseguente responsabilità degli amministratori, tenuti a risarcire il relativo danno. In particolare, gli “obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”, la cui violazione genera responsabilità degli amministratori verso i creditori, vanno considerati e interpretati in relazione alla funzione di garanzia che il patrimonio sociale svolge verso i creditori stessi, specie proprio quando il patrimonio “risulta insufficiente per il soddisfacimento dei loro crediti”. Già prima della novella apportata dal d. lgs. n. 14 del 2019, non si dubitava che, benché l’art. 2476, sesto comma, c.c. prevedeva espressamente la responsabilità dell’amministratore solo per i danni sofferti direttamente dal singolo socio o dal terzo, detta tutela spettasse appunto anche ai creditori sociali, con conseguente responsabilità in capo agli amministratori. La norma è stata poi introdotta all’attuale sesto comma. L’azione di responsabilità dei creditori sociali è priva di carattere surrogatorio ed è di natura extracontrattuale (come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità maggioritaria; cfr. da ultimo Cass. n. 22002 del 2025, nonostante non manchino orientamenti contrapposti nella giurisprudenza di legittimità risalente Cass. n. 8458 del 2014, Cass. n. 6870 del 2010, e nella giurisprudenza di merito, cfr. tribunale di Milano 25 novembre 2021), in quanto presuppone l’assenza di un preesistente vincolo obbligatorio fra le parti. Si tratta, perciò, di un’ipotesi prevista dal legislatore di responsabilità aquiliana ricostruibile anche come lesione esterna dell’aspettativa di prestazione (come osservato in dottrina), giacché l’amministratore della società debitrice, quale terzo rispetto al rapporto obbligatorio intercorrente fra il creditore e la società stessa, ha pregiudicato l’aspettativa della prestazione in quanto, violando le norme poste a tutela dell’integrità del patrimonio sociale e determinando l’insufficienza delle necessarie risorse patrimoniali, ha impedito l’adempimento volontario da parte della compagine debitrice e la realizzazione della pretesa in via esecutiva. Questa lesione esterna dell’aspettativa di prestazione viene ad esistenza solo quando il patrimonio sociale sia insufficiente al soddisfacimento dei creditori, perché, diversamente, la condotta dell’amministratore, comunque connotata, non avrebbe alcuna influenza lesiva nei confronti dei soggetti estranei alla compagine (e segnatamente dei suoi creditori). In questa prospettiva la giurisprudenza della Cassazione, in passato (cfr. Cass. 441/1966), ha avuto occasione di spiegare che il diritto che la legge riconosce ai creditori sociali di ottenere dagli amministratori, a titolo di risarcimento di danni, la prestazione che la società non può più adempiere trova titolo nella responsabilità degli amministratori per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale ed è condizionata all’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i creditori. Più di recente (Cass. 15487 del 2000; più recentemente Cass. n. 22002 del 2025) si è chiarito che: i)   ad accreditare l'azione risarcitoria di cui si tratta è necessario e sufficiente che sussista un rapporto di causalità tra pregiudizio - che è pari alle risorse sottratte alla società - e condotta degli amministratori, purché sia illegittima, una volta che, con la dichiarazione di fallimento sopravvenuta anche qualche anno dopo, il danno certo dei creditori abbia trovato radici in quella condotta, sia pure per la misura ad essa corrispondente; ii)    presupposto dell'azione è, a norma dell’art. 2934 c.c., che il patrimonio sociale sia insufficiente a soddisfare i creditori, mentre il danno si commisura alla corrispondente riduzione della massa attiva disponibile in loro favore; iii)    il curatore del fallimento, quando agisce per la reintegrazione del patrimonio della società fallita nei confronti degli amministratori, propone contemporaneamente sia l'azione sociale ex art. 2393 c.c., sia quella che spetta ai creditori ex art. 2394 c.c., le quali confluiscono in un’unica azione, che, cumulando i presupposti e gli scopi di entrambe, risulta finalizzata al risultato di acquisire all'attivo fallimentare ciò che è stato sottratto per fatti imputabili agli amministratori; iv)   l'azione di responsabilità, in quanto diretta alla reintegrazione del patrimonio sociale, in relazione alla violazione dell'obbligo di conservarlo posto a carico degli amministratori dall'art. 2394, comma 1, c.c., richiede semplicemente che, nel momento in cui sia esercitata, quel patrimonio risulti insufficiente a soddisfare i creditori della società; tant'è che, potendo tale insufficienza manifestarsi ancor prima della dichiarazione di insolvenza, l'azione che, a fallimento intervenuto, si trasmette al curatore può essere prima esercitata dai creditori e il termine di prescrizione decorre dal momento in cui l'insufficienza si verifica (e sia oggettivamente percepibile, tale così risultando); è dunque erroneo ricavare dalla mancanza di perdite durante la gestione immediatamente anteriore al fallimento l'assenza del titolo di risarcimento ai sensi dell’art. 2934 c.c., posto che la cattiva gestione comunque produsse effetti negativi, allorché si manifestò l’insolvenza. Pertanto, la fattispecie di responsabilità in discorso da un lato presuppone l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, dall’altro richiede un danno causalmente connesso all'inosservanza da parte degli amministratori degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale, danno che si commisura alla corrispondente riduzione della massa attiva disponibile in favore dei creditori. L’insufficienza patrimoniale entra così nella fattispecie costitutiva della norma in discorso quale presupposto dell’azione, perché solo nel momento in cui essa si verifica sorge l’interesse dei creditori ad agire nei confronti degli amministratori per il danno subito. Il problema applicativo della norma in discorso consiste poi nel verificare se la condotta illegittima degli amministratori abbia causalmente provocato un qualsivoglia pregiudizio patrimoniale ai creditori, comprensivo di tutto ciò che vi deriva da un punto di vista causale e che, di fatto, si converte in passivo subito dai medesimi, mentre non è necessario che l’insufficienza patrimoniale sia stata immediatamente conseguente all’inosservanza da parte degli amministratori agli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, dato che la norma non stabilisce affatto che gli stessi rispondano del pregiudizio da loro provocato a condizione che siano ancora in carica o siano appena cessati dalla stessa.              In altri termini, una volta accertato il comportamento contrajusdell’amministratore, perviolazionedeidoveri statutarie/olegali,elaviolazionedegliobblighidettatiperlaconservazione

del patrimonio sociale, l’insufficienza patrimoniale costituisce il necessario presupposto dell’azione che è alla base dell’interesse istituzionale dei creditori sociali, mentre il nesso di causalità deve sussistere tra la condotta (contra jus) e il pregiudizio di cui si chiede il ristoro finale.

L’azione di cui all’art. 2394 c.c, dunque, non può essere esperita, pur in presenza di violazioni da parte degli amministratori di norme poste a presidio dell’integrità del patrimonio sociale, finché non si arrivi all’alterazione dell’equilibrio fra attivo e passivo; una volta che la stessa divenga esperibile, i danni risarcibili sono quelli che costituiscono una conseguenza, diretta, della condotta degli amministratori. 3.3.       In caso di fallimento, come detto, l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore, sia quella sociale sia quella esercitabile dai creditori, è esercitata dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l.fall. Invero, l'azione di responsabilità, esercitata dal curatore ai sensi dell'art. 146, comma secondo, l.fall., cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2392-2393 c.c. e dall'art. 2394 c.c. (per le s.p.a.) e dall’art. 2476, primo comma e 2476, sesto comma, c.c. (per le s.r.l.) a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, tant'è che il curatore può, anche separatamente, formulare domande risarcitorie tanto con riferimento ai presupposti dell'azione sociale, che ha natura contrattuale, quanto con riguardo a quelli della responsabilità verso i creditori, che ha natura extracontrattuale. Peraltro, tali azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell'onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione (cfr. e multis Cass. n. 3552 del 2023, Cass. n. 24715 del 2015; Cass. n. 10378 e 15955 del 2012, Cass. n. 17033 del 2008). 3.4.    In merito alla prescrizione, nella specie eccepita tempestivamente dal solo convenuto S, con riguardo alla decorrenza del termine di prescrizione (quinquennale per entrambe le azioni), per l’azione di responsabilità verso i creditori è stato precisato che essa decorre dal momento in cui i creditori sono stati in grado di venire a conoscenza (dall’oggettiva percepibilità) dello stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società (v. Cass. n. 9619 del 2009, n. 20476 del 2008, n. 941 del 2005) e cioè dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti, che, a sua volta, dipende dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.). Tale situazione è differente dallo stato di insolvenza richiesto dall’art. 5 l.fall. (inteso come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni) o alla perdita integrale del capitale sociale (che non implica necessariamente la perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale, dal momento che quest'ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo). Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che in ragione dell'onerosità della suddetta prova a carico del curatore, avente ad oggetto l'oggettiva percepibilità dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i crediti sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento (cfr. e multis Cass. n. 13378 del 2014; Cass. n. 24715 del 2015; Cass. n. 3552 del 2023). Spetta invece all'amministratore convenuto nel giudizio (che eccepisca la prescrizione dell'azione di responsabilità) dare la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (cfr. Cass. da ultimo citate). La relativa prova, se è vero che può desumersi anche dal bilancio di esercizio (v. Cass. n. 20476 del 2008), deve pur sempre avere ad oggetto "fatti sintomatici di assoluta evidenza" (indicati da Cass. n. 8516 del 2009 nella chiusura della sede sociale, nell'assenza di cespiti suscettibili di esecuzione forzata, ecc.), nell'ambito di una valutazione che è riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa. 3.5.    In relazione all’ambito di applicabilità dell’art. 2476 c.c. e quindi anche del potere di intervento del tribunale, va poi ricordato che la responsabilità dell’organo amministrativo può essere desunto non da una scelta di gestione - come tale non sindacabile in quanto conseguente a scelte di natura imprenditoriale, ontologicamente connotate da rischio (c.d. business judgment rule) -    ma dal modo in cui la stessa è stata compiuta. In altre parole in questi casi - si esclude evidentemente l’ipotesi del dolo- è solo l’omissione, da parte dell’amministratore, di quelle cautele, di quelle verifiche ovvero dell’assunzione delle necessarie informazioni preliminari al compimento dell’atto gestorio, normalmente richieste per una scelta del tipo di quella adottata, che può configurare violazione dell’obbligazione di fonte legale in discorso, così come è fonte di responsabilità la colpevole mancata adozione di quei provvedimenti, che per legge o statuto avrebbero dovuto essere prontamente assunti a tutela della società o dei terzi (cfr. Cass. 3652 del 1997; Cass. 5718 del 2004; Cass. 3409 del 2013; Cass. 1783 del 2015). Pertanto il giudizio sulla sussistenza, in relazione ad una determinata operazione, di una violazione da parte dell’amministratore della clausola generale di agire con diligenza può riguardare non le scelte di gestione, caratterizzate da rischio e rientranti nella libertà imprenditoriale (art. 41, comma primo, Cost.), ma solo la diligenza mostrata dall’amministratore stesso nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere. 4.    L'amministratore, al momento della nomina, assume l'obbligo di vigilanza sulla società che deve essere esercitato e non viene meno neppure qualora l'amministrazione sia effettivamente esercitata da altri soggetti (cfr. Cass. n. 5795 del 2021; negli stessi termini, solo per citare le più recenti, n. 21567 del 2017). A maggior ragione ininfluente è l’eventuale compresenza di più amministratori, con poteri disgiuntivi, attesa la responsabilità solidale di entrambi per i danni cagionati alla società e ai creditori. Il soggetto che accetta di ricoprire la carica di amministratore di una società di capitali e poi consente, con pieno assenso e consapevolezza, che a gestire l’impresa sociale sia di fatto un terzo, è sotto il profilo causale necessario compartecipe e sotto quello giuridico corresponsabile di ogni singolo atto di gestione che abbia lasciato compiere all’amministratore di fatto. Ove quest’ultimo arrechi un vulnus all’integrità del patrimonio sociale, la responsabilità in relazione a tale evento dannoso è pertanto ascrivibile, in via solidale, anche all’amministratore di diritto. 5.   Le norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori delle società di capitali sono applicabili anche a coloro i quali, come amministratori di fatto – qualifica in cui rientrerebbe la signora H secondo la curatela - si siano ingeriti nella gestione sociale in assenza di una qualsivoglia investitura da parte della società, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, con poteri analoghi se non addirittura superiori a quelli spettanti agli amministratori di diritto, presupponendo la correlativa figura che le funzioni gestorie svolte abbiano avuto carattere di sistematicità e completezza (cfr. e multis, Cass. n. 28819 del 2008; Cass. n. 4045 del 2016; Cass. n. 21730 del 2020). A tal riguardo appare utile ricordare i solidi principi affermati dalla Corte regolatrice, che, nel definirne la relativa nozione, ha più volte chiarito come in proposito occorra aver riguardo alla presenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico dell'agente con funzioni direttive -  in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare e che il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (cfr. Ex multis Cass. n. 8479 del 2016, Cass. n. 35346 del 2013, Cass. n. 27163 del 2018). Sul punto la S.C. ha precisato che i concetti di significatività e continuità di cui all'art. 2639 c.c., non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale (Cass. n. 35346 del 2013). Si configurano i presupposti per l'applicabilità dell'amministratore di fatto, ogniqualvolta in cui vi sia la partecipazione attiva alla gestione sociale dell’amministratore. Solo l'individuazione di specifiche e non occasionali attività di gestione e su precise condotte aventi rilevanza esterna può individuare la figura dell'amministratore di fatto e tali elementi devono ingenerare nei terzi il convincimento che egli è il soggetto gestore della società. L’estensione della qualifica soggettiva individuata nell'art. 2639 c.c. presuppone l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione e la “significatività e continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri dell’organo di gestione, ma richiedono in ogni caso l’esercizio di una apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Insomma, la prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento della sussistenza in capo al convenuto della qualità di amministratore di fatto, accertamento che, deve tenere conto di una serie di indici sintomatici tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale. 6.    In merito alla responsabilità concorrente del socio - invocata dalla curatela sempre in riferimento alla signora H - il nuovo assetto di governance della s.r.l., diversamente da quello della s.p.a., consente che siano riconosciute ai soci prerogative in campo gestionale, sia uti singoli    (art. 2468, terzo comma, c.c.) sia collegialmente, previa indicazione statutaria ovvero per iniziativa degli amministratori o della minoranza qualificata (art. 2479, primo e secondo   comma, c.c.). Come contrappeso a tali poteri gestori, l’art. 2476, ottavo comma, c.c. (“Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”) estende la responsabilità solidale, unitamente agli amministratori, anche ai soci che si siano intromessi nella gestione della società, intenzionalmente decidendo o autorizzando il compimento di atti dannosi per la società, per i soci e per i terzi, a prescindere dal fatto che ciò sia avvenuto in forza di un potere loro attribuito per legge o per statuto ovvero semplicemente di fatto e anche solo in via occasionale. Vanno pertanto prese in considerazione tutte quelle manifestazioni di volontà espresse dai soci anche in forme non istituzionali e meramente ufficiose, ma tali in ogni caso da evidenziare l’ingerenza o anche l’influenza effettiva spiegata da costoro sugli amministratori. Nessun dubbio sussiste nell’ipotesi in cui la volontà del socio si è manifestata nel voto in assemblea ovvero nel consenso manifestato alle decisioni assunte mediante consultazioni scritte. Non rientra in tale fattispecie l’ipotesi della responsabilità dell’amministratore di fatto che non necessariamente è anche socio della società ed è colui, come detto, che si è ingerito sistematicamente, e non solo occasionalmente, nella gestione della società. La responsabilità del socio si accompagna sempre a quella solidale dell’amministratore ovvero del liquidatore, tenuto conto che non è elisa mai la diversità dei ruoli, con conseguente obbligo dell’amministratore/liquidatore di opporsi all’atto o quantomeno di segnalare al socio l’assoluta dannosità dell’atto gestorio. In merito all’intenzionalità, si ritiene che essa non debba essere riferita all’intenzionalità dell’eventus damni che limiterebbe l’applicazione della norma al solo caso in cui il socio avesse agito con dolo specifico, ossia con la specifica coscienza e volontà di arrecare danno alla società, agli altri soci o a terzi: si tratta di una interpretazione eccessivamente rigorosa e anche gravosa in termini di prova da porre a carico dei pretesi danneggiati. Si ritiene, invece (al pari di parte della giurisprudenza di merito, tra cui quella del tribunale di Roma), che l’intenzionalità deve essere riferita alla conoscenza in capo al socio dell’antigiuridicità dell’atto e con l’accettazione quindi del rischio che dalla condotta possano derivare danni alla società, ai soci o ai terzi: è sufficiente che vi sia la consapevolezza, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, da parte del socio dell’antigiuridicità dell’atto e che, nonostante ciò, costui partecipi alla fase decisionale finalizzata al successivo compimento di quell’atto da parte dell’amministratore. A tal riguardo l’antigiuridicità dell’atto viene a configurarsi non solo quando l’atto deciso è contrario alla legge o all’atto costitutivo della società, ma anche quando l’atto, pur se di per sé lecito, è esercitato in modo abusivo, cioè con una finalità non riconducibile allo scopo pratico posto a fondamento del contratto sociale. In altre parole, oltre che al rispetto della legge e del principio generale del neminem laedere, i soci sono pur sempre tenuti ad osservare i doveri di correttezza e buona fede nei confronti della società, degli altri soci e dei terzi, dovendo quindi costoro comunque evitare di compiere o di concorrere a compiere un atto che, se pur astrattamente lecito, possa di fatto risultare dannoso per gli altri soci, p.es. di minoranza, e nel contempo essere privo di un vantaggio apprezzabile per la società: spunti in tal senso si possono ricavare dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., n. 27387 del 2005; Cass. n. 9353 del 2003) che, seppur elaborata in materia di impugnazione di delibere di soc

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