Tribunale Pesaro, sent. n. 98/2016 Rel. Got. Dr. Tamburini

Oggetto: inquinamento – spese di bonifico – risarcimento danni nei confronti dei corresponsabili – infondatezza

11/02/2016

La società A proprietaria della cava di stoccaggio, evocava in giudizio la società B trasportatrice del materiale, la società C, D, E, F, G, proprietarie del sito contaminato, la società H che aveva effettuato lo sbancamento, chiedendo di essere risarcita ex artt. 2043 e 2050 c.c., per i danni conseguenti lo smaltimento di terra proveniente da sito contaminato. L’attrice lamentava il fatto per cui, essendo chiamata per la raccolta e stoccaggio di materiale inerte, si fosse trovata invece a raccogliere, a sua insaputa, materiale fortemente inquinante e che, rilevata la presenza dei suddetti inquinanti, fosse stata costretta alla bonifica dell’area di stoccaggio con ingenti spese a suo carico, di cui richiedeva la rifusione. Si costituivano i convenuti contestando la loro responsabilità ed in particolare la società H che chiamava in giudizio l’Ing. G.A. e l’Arh. L.S. per essere da questi manlevati in caso di accertata responsabilità. Ammesse le parti alle memorie 183 c.p.c. , all’esito la causa veniva ritenuta matura per la decisione . Il Giudice si riservava. Deve osservarsi che, al di là delle decisioni intervenute in ambito amministrativo, le quali riguardano altro e diverso piano di responsabilità, deve qui valutarsi l’attività delle parti in ordine al differente aspetto offerto dalla combinata lettura degli artt. 2043, 2050 c.c. e 186 del D. lgs. n. 152 del 2006, anteriore alla modifica intervenuta nel dicembre 2010. Quest’ultimo afferma che le terre e le rocce da scavo, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati purchè l’utilizzo sia possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale che garantiscano che il reimpiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate, che sia garantito un elevato livello di tutela ambientale, che sia accertato che non provengono da siti contaminati, che le loro caratteristiche siano tali che non si determinino rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate dovendo inoltre essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d’uso del medesimo, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione. Se è pertanto vero ed evidente che il Comune di P. non poteva non avere cognizione del fatto che l’area fosse altamente inquinata, se non ammettendosi che l’ente non avesse né cognizione, né controllo delle aree in cui venivano svolte attività pubbliche o di rilevanza pubblica, il che evidentemente non appare neppure lontanamente ammissibile, dall’altro deve rilevarsi che l’aspetto, ai fini della presente causa, appare ben poco rilevante. Se infatti si accettano i dettati ed i principi evidenziati dall’art. 186 D. lgs 152 del 2008 sopra enunciati, non può che pervenirsi alla conclusione per cui ove osservata la questione sotto l’aspetto della responsabilità ex art. 2043 c.c. ci si trovi davanti a comportamento omissivo rilevante ed ove la si osservi sotto l’aspetto dell’art. 2050 c.c. dovrebbe fornirsi la prova che gli esercenti le attività pericolose abbiano preso, tutti, tutte le misure necessarie per prevenire il danno. Orbene, deve a tal punto richiamarsi il fatto che l’art. 186 D. lgs 152 del 2008 richiede che il materiale sia sostanzialmente certificato sin dalla sua estrazione fino all’uso finale e non appare proprio che i partecipanti alla catena che vanno dalle proprietà, all’estrattore fino allo stoccatore ed utilizzatore abbiano ottemperato a tali obblighi: non i soggetti proprietari che pur all’evidenza del problema (forte odore emanato dal terreno) non si sono preoccupati di interrompere le opere per le opportune attività di verifica, non i soggetti che hanno provveduto agli sbancamenti, né il trasportatore che accettava di trasportare con i suoi mezzi materiali di cui non aveva la minima cognizione in ordine alla reale o meno pericolosità (si è infatti semplicemente fidato delle dichiarazioni del soggetto conferente per giunta senza nulla domandarsi allorché gli venne impedito per imprecisate ragioni di sicurezza di scendere dal suo autocarro al momento del carico), né lo stoccatore ed utilizzatore finale, odierno attore che qualche domanda cominciò a porsi solamente allorché, ormai accettato materiale di cui non aveva certezza di regolare provenienza, rilevò di fatto l’evidenza dell’irregolarità dei carichi accettati senza alcuna certificazione. Ne deriva per ulteriore conseguenza che ai sensi dell’art. 1227 c.c. non appare dovuto risarcimento alcuno per i danni che il creditore avrebbe ben potuto evitare usando l’ordinaria diligenza che nello specifico non appare applicata da alcuno dei partecipi alla vicenda. Deve allora pervenirsi al rigetto della domanda e stante le posizioni delle parti nella realizzazione complessiva dei fatti oggetto di causa compensarsi integralmente le spese tra le stesse…”

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