Tribunale di Pesaro – Sent. Est. Carbini

Trasmissione televisiva – contenuto diffamatorio – fattispecie – Responsabilità solidale del diffamante, del conduttore e della emittente radiotelevisiva.

26/10/2012

Deduceva l’attore che in data … la trasmissione televisiva trasmessa da rete nazionale e denominata X condotta dal giornalista V, aveva come titolo … e si occupava di vicende legate alla corruzione politica; l’attore assisteva alla trasmissione causalmente presso la propria abitazione; alla puntata partecipavano gli onorevoli A e V i giornalisti G e M e la redattrice L. Dopo circa un’ora di trasmissione il conduttore concedeva la parola alla redattrice che dava inizio ad un’intervista a W presente in studio, il cui testo era il seguente (omissis) L’attore era colui il quale fino all’aprile dell’anno … (precedente) … aveva rivestito la carica di assessore regionale alle politiche sociali e all’istruzione della Regione S ed era l’oggetto delle gravi dichiarazioni del tutto false e calunniose, sempre a dire dell’attore, rilasciate, in totale assenza di contraddittorio, dalla W. Chiedeva l’attore un risarcimento del danno, premettendo quali fossero le attività del Centro Regionale di documentazione presso cui la W aveva lavorato. Premetteva altresì che egli non si era candidato alle elezioni regionali e quindi le asserzioni della W erano scaturite dalla sola fantasia della convenuta. Le fotocopie che la W imputava a materiale elettorale erano lettere di accompagno a firma dell’assessore che erano state inviate unitamente ad alcuni volumi contenenti atti e documenti realizzati dal centro regionale, depositati in atti, nel gennaio a tutti i Comuni, cooperative sociali e associazioni di volontariato. L’intero centro partecipò alle spedizioni di tali plichi, rientrando tale l’attività nelle funzioni istituzionali dell’ente. La W non accettò le mansioni che le venivano sottoposte, pur rientranti nell’oggetto del proprio contratto e iniziò ad inviare e-mail a vari funzionari regionali lamentando un preteso demansionamento. La sua presenza al lavoro si ridusse poi drasticamente con l’inizio delle lezioni di un master, cui si era iscritta, e questo a partire da giugno . Da luglio la W dopo essere andata in ferie non si presentò più al Centro, salvo recarvisi raramente; a causa dell’inadempimento, il Direttore Generale dell’Agenzia Regionale alla salute inviava alla stessa una diffida ad adempiere . False e tendenziose erano dunque le accuse lanciate dalla W nei confronti dell’attore. Vi era responsabilità anche della emittente televisiva e del giornalista in quanto le affermazioni false espresse dalla convenuta erano state esposte senza un contraddittore e senza il preventivo controllo delle fonti da parte dell’emittente televisiva, inducendo nella pubblica opinione un’impressione di credibilità dell’insussistente notizia, avallata poi dagli ospiti in studio, come per esempio dal dottor G. che, fuorviato dalla falsa informazione, esprimevano esecrazione nei confronti dell’attore. L’attore chiedeva quindi accertarsi il carattere lesivo e diffamatorio delle affermazioni espresse dalla convenuta e per l’effetto condannare al risarcimento del danno morale e non patrimoniale da determinarsi in almeno € … o nella diversa somma che il giudicante riterrà di ragione e, in subordine, accertata la lesione a titolo di colpa, parimenti condannare a un risarcimento di almeno di € … chiedeva poi la condanna della emittente televisiva al versamento della sanzione pecuniaria prevista dall’articolo 12 della legge sulla stampa; chiedeva ordinarsi la divulgazione della sentenza in apertura del telegiornale regionale e la pubblicazione sui quotidiani chiedeva di inibire alla emittente televisiva la divulgazione a mezzo Internet della puntata e vittoria di spese. Si costituiva l’emittente televisiva contestando la debenza di alcunché. Osservava tra l’altro che non era stato mai pronunciato il nome dell’odierno attore nella trasmissione e quindi mancava il carattere diffamatorio delle dichiarazioni e eccepiva la sussistenza del diritto di cronaca e di critica; osservava che comunque i conduttori si erano tenuti in una posizione di terzietà rispetto alla intervistata e infine sosteneva l’insussistenza dei danni lamentati; contestava poi l’applicabilità degli articoli 9 e 12 della legge sulla stampa al caso di specie. Chiedeva quindi il rigetto di tutte le domande e la condanna alle spese. Si costituiva W deducendo quanto narrato corrispondeva a verità, era una mera denuncia ad un sistema largamente in uso in Italia di utilizzare la cosa pubblica per scopi tutt’altro che pubblici; il mancato rinnovo del suo contratto di lavoro non era stato chiaramente realizzato dall’attore ma era stato l’intero sistema ad escludere da quell’ambito un personaggio scomodo come la convenuta. La denuncia dunque non riguardava un singolo personaggio ma un intero sistema che operava ostruzionismo nei confronti di chi aveva il coraggio di porsi in contrasto con le regole che lo disciplinavano. Chiedeva il rigetto della domanda anche per non essere stato provato il pregiudizio subito. La causa veniva istruita mediante interrogatorio della convenuta assunzione di testimoni, e documenti. Il tribunale ha accolto le domande dell’attore. …” La domanda attorea è risultata fondata, sulla scorta dell’istruttoria orale e documentale, nei confronti di tre convenuti; le spese di lite seguono la soccombenza causale ex art. 91 cpc e si liquidano come da dispositivo. Campagna elettorale Sostiene la W nell’intervista e poi in comparsa di costituzione che per caldeggiare la propria terza candidatura, l’assessore regionale iniziava a mobilitare tutto uno stuolo di collaboratori e sostenitori, sia con articoli di giornale sia con una mozione-lettera aperta inviata alle organizzazioni politiche sindacali, alle associazioni di volontariato, alle comunità di accoglienza, alle cooperative sociali perché sottoscrivessero la mozione; si auspicava in tale lettera un rinnovo della candidatura dell’assessore uscente, seppure al terzo mandato, onde il partito di appartenenza fosse costretto dalla pressione popolare e dagli addetti ai lavori, a una ricandidatura. Il progetto passava tramite un movimento di opinione proveniente, solo in apparenza, dalle organizzazioni no-profit che si occupavano del sociale “…….” “Venivano incaricate, sempre a dire della convenuta, persone dello staff del Centro nell’orario di lavoro e non facendo altre attività istituzionali, a prender contatto con i responsabili delle organizzazioni predette per tentare di convincerli a far aderire l’organismo da loro rappresentato, alla mozione; l’attività del Centro in tal modo si trasformò in vera e propria macchina di sostegno a favore dell’assessore uscente per la terza candidatura e quindi tutti i collaboratori furono chiamati a fare telefonate, fotocopie, imbustare lettere per costituire comitati di appoggio e sostegno all’assessore e ciò per almeno due mesi e mezzo, tre. Ora, l’istruttoria orale e documentale ha smentito queste circostanze. “… - omissis - ….“Natura delle affermazioni Occorre valutare se le espressioni usate dalla convenuta dinanzi alle telecamere siano diffamatorie o meno. Va valutato, in sostanza, se le affermazioni della convenuta rientrino nell’ambito del diritto di cronaca e di critica, come espressioni della libera manifestazione del pensiero. E’ noto che il diritto di critica trova limite di ordine generale nella verità dei fatti, nell’interesse della notizia e nella continenza. Il diritto di cronaca presuppone anche esso ovviamente la verità del fatto narrato. Quindi che si faccia rientrare quanto affermato dalla W nell’ambito del diritto di critica o di cronaca, comunque occorre accertare se sono stati esposti fatti veri dalla convenuta. Sul punto si richiama infatti la giurisprudenza : “Non costituisce criterio distintivo del diritto di critica, rispetto a quello di cronaca, quello secondo cui, nella prima configurazione, l’esimente è sganciata dal dovere del rispetto della verità storica, quando questa sia evocata e sia centrale nella manifestazione di un dato pensiero. Ciò che, in altri termini, la Corte in passato ha già affermato, nella elaborazione della nozione di “critica” ai sensi dell’art. 51 c.p., è che, in linea di principio tale diritto non può giustificare l’attribuzione alla persona censurata di fatti non veri,lesivi della sua reputazione, dai quali la critica prenda le mosse. Ha però anche sostenuto che eventuali inesattezze dei fatti menzionati in un contesto di critica o di satira diventano irrilevanti quando essi non assumono un particolare valore informativo. E’ quindi una valutazione complessa quella che il giudice è tenuto a fare per stabilire se a una notizia contenuta in un articolo di critica possa, indipendentemente dal contenuto, ricollegarsi una lesione della reputazione. Il minor peso attribuito dalla stessa giurisprudenza al criterio della verifica della verità del fatto esposto nell’esercizio del diritto di critica trova ragione, evidentemente, nel diverso oggetto e nella diversa natura della critica e della cronaca: la prima essendo integrata essenzialmente dallo sviluppo di una interpretazione personale di situazioni, vicende e comportamenti ai fini della dimostrazione di un pensiero che rappresenta, rispetto ai primi, un valore aggiunto, la rappresentazione cioè di una tesi che implementa il dibattito ai fini più diversi (storico, sociale, politico, culturale etc.) La seconda, invece, si esaurisce nel riportare fatti, eventi, comportamenti, in una ottica meramente informativa e rappresentativa. E’ per questo che la verità del fatto narrato è sicuramente essenziale ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca (salve le eccezioni che riguardano la putatività della esimente) mentre non è un elemento necessariamente costitutivo del diritto di critica. Questo può vivere della elaborazione speculativa di concetti con la conseguenza che non viene posta sul terreno, in tal caso, la questione della verità di eventi oggettivi. Se invece prende le mosse da un fatto storico, non è motivo alcuno per sostenere che tale fatto possa essere rappresentato anche in distonia con la realtà, posto che, così ragionando, verrebbe a crearsi un insanabile conflitto fra il diritto costituzionalmente tutelato alla libera manifestazione del pensiero con quello, protetto allo stesso livello, della tutela dei diritti inviolabili della persona di cui all’art. 2 Cost.. Neanche la formulazione di una critica, cioè, può giungere fino al punto di rappresentare la realtà in modo falso e far apparire come veri fatti oggettivamente insussistenti (Cass. 12807 del 2005). Sostiene la convenuta che le sue affermazioni non erano offensive ed erano comunque veritiere. Le affermazioni come sopra esaminate nel complesso devono invece dirsi non rispondenti alla verità. Sono poi offensive dell’immagine e della reputazione dell’attore e sono altresì calunniose perché ascrivono all’attore un reato (abuso d’ufficio) per cui peraltro la sua posizione è stata archiviata. La W deve essere chiamata in altre parole a rispondere di illazioni che l’utente medio poteva ben trarre dai fatti esposti : l’utilizzo di una struttura pubblica per fini personali. Se invero si dovesse rispondere solo della verità dei fatti narrati e non anche delle prevedibili illazioni provocate, si avrebbe una abnorme espansione dell’area di irresponsabilità. Con dei sottintesi sapienti, con accostamenti suggestionati si è insinuata alla fine una notizia nuova rispetto alle verità esposte (che ella facesse pacchi, fotocopie, spedizioni, telefonate nell’ambito del centro) e falsa, facendo sembrare che dall’assessorato partissero lettere e telefonate con materiale elettorale e non istituzionale. Il fatto ulteriore offensivo è stato provocato dal subdolo accostamento tra la descrizione di una attività di prassi dello staff e il periodo di campagna elettorale, evocando un collegamento indimostrato. La notizia finale propalata (che l’assessore facesse campagna elettorale sfruttando un ufficio pubblico per tre mesi) risulta nel complesso infondata e falsa. E’ stato travalicato dunque il limite della continenza delle forme espositive (si richiama sul punto Cass. 2066/2002). La notizia falsa è altresì offensiva, posto che si accusa di usare l’ufficio del Centro per una campagna elettorale personale e quindi sostanzialmente delineando una condotta criminosa a carico dell’assessore oltreché lasciando intendere che vi sia stata una sorta di complotto dell’Assessore con l’ausilio degli uffici dell’agenzia autonoma regionale (tra l’altro, si noti, dotata si è detto di una propria autonomia e di un proprio Direttore generale) e con il sostegno di numerose associazioni no profit contattate dall’ufficio regionale, finalizzando alla rielezione, al di là delle regole interne del suo partito. Va poi osservato che la denuncia lanciata dalla W non è generica e riferita alla mala-politica in sé, ma essa è bene riferibile a un soggetto determinato e infatti subito individuato dall’opinione pubblica, come dimostrato dai titoli sui giornali dei giorni successivi e dalle interrogazioni dei consiglieri, tutti riferiti all’assessore. Il decreto di archiviazione del GIP per il reato di abuso d’ufficio-a seguito di opposizione –rileva per confermare la regolarità della condotta dell’attore “che a fine legislatura nella dirigenza del Centro ci potesse essere l’interesse a far conoscere in qualche misura, come sostiene il pm, a magnificare l’attività svolta dallo stesso, anche tramite il lavoro della W e che ciò indirettamente potesse andare a sostegno dell’assessore che aveva creduto in quei progetti, e ciò essenzialmente al fine di assicurare la prosecuzione dell’attività del Centro, appare di per sé condotta oggettivamente neutra, anche in ragione del fatto che comunque nell’attività del Centro vi era certamente quella divulgativa del lavoro svolto, fatta non a fini interni bensì in favore delle associazioni operanti nel territorio”. Esso rileva anche ai fini della valutazione della consapevolezza, secondo la prova logica, da parte della W, della diffusione del fatto lesivo dell’onore e del prestigio altrui. Infatti non può dirsi che le accuse lanciate dalla convenuta fossero state lanciate in buona fede perché ella sapeva quali erano i compiti istituzionali del Centro e quali erano le mansioni previste nel proprio contratto, nonché di cosa si trattava il materiale che spediva. Ella anche per la preparazione culturale (laurea) doveva sapere che le sue dichiarazioni andavano ad integrare l’accusa di un reato a carico dell’assessore. Andando a valutare l’ultimo presupposto del diritto di critica ovvero l’interesse pubblico alla notizia, si osserva che non vi è un pubblico interesse a conoscere notizie false (Cass. pen. 3.6.83) che perdipiù creano un notevole allarme sociale. Sul punto si cita Sentenza n. 17172 del 6/8/2007: In tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, ferma restando la distinzione tra l’esercizio del diritto di critica (con cui si manifesta la propria opinione, la quale non può pertanto pretendersi assolutamente obiettiva e può essere esternata anche con l’uso di un linguaggio colorito e pungente, purchè non leda la integrità morale del soggetto) e di quello di cronaca (che può essere esercitato purchè sussista la continenza dei fatti narrati, intesa in senso sostanziale – per cui i fatti debbpono corrispondere alla verità, sia pure non assoluta, ma soggettiva – e formale, con l’esposizione dei fatti in modo misurato, ovvero contenuta negli spazi strettamente necessari), qualora la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza non può essere condotta sulla base dei soli criteri indicati, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita. Siffatto bilanciamento è ravvisabile nella pertinenza della critica di cui si tratta all’interesse pubblico, cioè nell’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, che è presupposto dalla stessa e, quindi, fuori di essa, ma dell’interpretazione di quel fatto, interesse che costituisce, assieme alla correttezza formale (continenza), requisito per la invocabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica. ….“Responsabilità del conduttore della trasmissione e della emittente televisiva. Il giornalista nel caso di specie non si è limitato a raccogliere le esternazioni provenienti dalla W intervistata, ma ha avallato quanto dalla medesima sostenuto, senza minimamente discostarsi. Infatti venendo dietro alla risposta della w a una domanda egli ha detto : “Poi questo meccanismo di mancanza di solidarietà che c’è”; la W ha risposto: “Assolutamente, questa è una cosa molto forte …..” E si è conclusa l’intervista con il conduttore …” : E tiè a loro che sono rimasti in quegli uffici polverosi”. Nel prosieguo della trasmissione il giornalista G affermava, assecondando anche lui quanto affermato in precedenza dalla convenuta : “Così come quello che ha denunciato la signora è gravissimo, io non so chi sia questo assessore, e no, lì c’è un reato grave, la storia dell’assessore adesso ci siamo passati sopra, io non so assolutamente di che partito sia questo assessore, ma è una storia ripugnante, è una storia gravissima perché lì ci sono due cose : c’è l’arroganza del potere e l’arroganza (vero il) precariato che è uno dei grandi mali di questo Paese, perché con il precariato così fanno, o fai come dico io o te ne vai a casa, e così fanno i politici, lo fanno gli imprenditori, lo fa un sacco di gente, quella cosa lì è gravissima”. Quindi si andava ancora ad avallare quanto affermato dalla W e quindi il profilo di responsabilità della emittente televisiva è evidente. La chiosa finale del conduttore (e tiè a coloro..) dimostra l’assenza di distacco dalle dichiarazioni dell’intervista; non può dirsi che la battuta ironica smorzi l’efficacia offensiva delle precedenti dichiarazioni, anzi le esalta. Anche l’approccio all’intervista con il “tu” anziché con il “lei” indica una sorta di confidenza che va ad avallare quanto affermato dalla intervistata. L’interesse sociale era indubbio stante l’importanza dell’argomento trattato ma non vi è stato alcun rispetto della continenza: non vi è stato alcun contraddittorio con l’interessato perché in diretta ha parlato la sola W. Non vi è stato poi un controllo a monte della verità della notizia che avrebbe poi in trasmissione riferito la w . Invero è pacifico che la W si è limitata ad inviare una e-mail al conduttore solo un mese prima della trasmissione, senza che il suo contenuto venisse riscontrato né con il diretto accusato né con altri. Si noti poi che la W era stata invitata appositamente nella trasmissione per riferire quello che era poi il contenuto della e-mail e quindi il conduttore e la emittente televisiva sapevano quale era l’oggetto dell’intervista. Altra cosa ovviamente è se l’intervistato produce un effetto sorpresa, ovverosia riferisca fatti che per così dire “spiazzano il giornalista”. La cosa è ancor più grave perché vi è stata una seconda puntata con cui si attribuiva all’attore parimenti di avere fatto campagna elettorale anziché le politiche sociali, e ancora una volta senza contraddittorio e senza un accertamento, precedente rispetto alla trasmissione, della attendibilità della fonte. (omissis) Ne viene che il conduttore e emittente televisiva devono rispondere per la mancanza di continenza delle forme e per mancato vaglio della fonte. Risulta esente da responsabilità il giornalista che abbia riportato dichiarazioni altrui quando la punibilità a titolo di diffamazione di tali dichiarazioni dipende solo da una ben dissimulata falsità non quando le dichiarazioni siano diffamatorie in sé per le espressioni adoperate o per la falsità delle accuse (Cass. 5.2.1986). In sostanza può essere esclusa la responsabilità del giornalista quando la diffamazione dipende non dal difetto del requisito della continenza ma dal difetto del requisito della veridicità. Ammontare del risarcimento. Venendo a determinare il quantum risarcitorio, esso si stima congruo in € … in via equitativa a titolo di danno morale. Per pervenire alla concreta quantificazione si utilizzano i seguenti criteri: la non veridicità del fatto disonorevole, come sopra accertato; la reiterazione dell’offesa alla reputazione e all’onore, visto che anche in una successiva puntata, tenutasi in corso di giudizio, la W ha confermato quanto sostenuto in precedenza; la delicatezza del ruolo rivestito dal danneggiato colpito oltreché nella sua personale dignità, anche nelle sue specifiche funzioni istituzionali; le ripercussioni inevitabili nelle relazioni sociali, specie nel corso della campagna di stampa, quantomeno per il disonorevole sospetto alimentato. Va considerato infatti il ruolo pubblico dell’attore oltre alla risonanza pubblica delle offese per come diffuse, sia perché il programma era trasmesso da canale nazionale, sia perché il programma era in prima serata e di notoria audience. Vero è che l’intervista alla W è durata pochi minuti nel contesto generale della trasmissione e vero è anche che non è stato menzionato specificatamente il nome dell’attore nell’intervista (e quindi il target in grado di identificare l’accusato è stato più circoscritto) ma l’eco delle affermazioni diffamatorie è stata comunque notevole sia perché l’assessore veniva accusato di un fatto grave (un reato), per cui ha subito un procedimento penale per abuso sia perché avallato da una seconda puntata come detto sopra, sia ancora perché l’assessore era proprio alle politiche sociali e con un curriculum che attesta una grande attenzione al volontariato e al sociale da anni, anche con incarichi rilevanti (e quindi il pubblico si aspetta da chi opera nel volontariato e nel sociale una maggiore limpidezza), sia perché ha determinato tre interrogazioni da parte dei consiglieri regionali e un notevole riflesso mediatico. Inoltre l’eco della trasmissione è stato amplificato dalla circostanza che essa si poteva rivedere sul sito Internet e quindi le potenzialità lesive si sono ampliate. Posta quindi la gravità delle accuse e la notevole diffusione delle stesse appare congruo il risarcimento di € … . Quanto alla richiesta sanzione pecuniaria, l’art. 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, nel precedere una ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata per la diffamazione a mezzo stampa, non è suscettibile di applicazione analogica a casi diversi da quelli espressamente contemplati; conseguentemente, in mancanza di un espresso richiamo alla suddetta disposizione da parte della legge 7 agosto 1990, n. 223, che disciplina i reti commessi con il mezzo televisivo, non è applicabile a questi ultimi (Cass. Sentenza n. 6490 del 17/3/2010). Quanto alla domanda diretta a ottenere la pubblicazione della presente sentenza ,anche essa viene respinta in quanto la norma consente solo per le violazione a mezzo stampa una forma di risarcimento in forma specifica quale la pubblicazione. Non va pretermesso che la stampa viene anche in dottrina riguardata come mezzo di diffamazione ben più pericoloso di altri mezzi di pubblicità talchè anche nei tempi presenti, in cui si registrano sempre più cospicue masse di spettatori, la stampa non ha cessato di profilarsi quale più pericoloso veicolo di diffamazione e, pertanto, non è irrazionale la taxatio maggiore rispetto alla tecnica televisiva. Ciò naturalmente non toglie che nell’area della l. 103/1975 possano cogliersi discrasie e che il legislatore possa ridurre il solco che separa la legge dell’48 dalla più recente legge del 75, ma qui si nega che tale compito, la cui attuazione implica indagini sociologiche e socio-politiche, possa essere esplicato dalla Corte, la quale deve limitarsi in ciò riecheggiando le ultime battute della motivazione della sentenza dell’77 a richiamare l’attenzione del legislatore sulla infuocata materia (Corte Cost. 1982/168 e Corte Cost. 1985/259). La domanda diretta a ottenere l’inibitoria alla emittente della divulgazione a mezzo internet della puntata della trasmissione tramite il sito va respinta in quanto è venuto meno l’interesse, non essendo più in rete le puntate risalenti (essendovi solo quelle degli anni 2010 e 2011).

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