Tribunale Ancona Sez. Lavoro sent. N. 210/2013 - Est. De Antoniis

Istanze ex lege 210/92 – competenza Ministero della Salute – Rivalutazione monetaria della I.I.S. - diritto - sussistenza

28/03/2013

…” Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti e per le ragioni esposte. Occorre preliminarmente affrontare la questione relativa all’individuazione della legittimazione passiva a fronte della pretesa avanzata dalla ricorrente. Al riguardo, l’art. 7, comma 1, D. L.vo 112/1998 prevede che “i provvedimenti di cui all’art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59, determinano la decorrenza dell’esercizio da parte delle regioni e degli enti locali delle funzioni conferite ai sensi del presente decreto legislativo, contestualmente all’effettivo trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative. Con la medesima decorrenza ha altresì efficacia l’abrogazione delle corrispondenti norme previste dal presente decreto legislativo”. Il successivo art. 123, in tema di contenzioso, dispone che “sono conservate allo Stato le funzioni in materia di ricorsi per la corresponsione degli indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati”. Con successivo DPCM 26.5.2000 si è indicata la data di decorrenza del trasferimento delle funzioni nel 1.1.2001 e si è stabilito che rimangono in capo allo Stato gli oneri dell’eventuale contenzioso sorto in riferimento a fatti verificatisi anteriormente al trasferimento stesso. Con ulteriore DPCM 22.12.2000 si è completato il trasferimento di beni e risorse, differendo il passaggio delle funzioni dallo Stato alla Regione alla data di pubblicazione del decreto del 21.2.2001.. Attraverso l’accordo della Conferenza Unificata Stato Regioni dell’8.8.2001 si è stabilito di mantenere in capo al Ministero della Salute la competenza per gli indennizzi riconosciuti a tutto il 21.2.2001. Con l’art. 3 del DPCM 8.1.2002 si è prevista la permanenza a carico dello Stato degli oneri a qualsiasi titolo derivanti dal contenzioso riferito a tutti i ricorsi giurisdizionali riguardanti le istanze di indennizzo trasmesse sino alla data del 21.2.2001 al Ministero della Sanità per il tramite delle Aziende Sanitarie. Il che è stato confermato anche dall’art. 3 del DPCM 24.7.2003, per il quale “restano a carico dello Stato gli oneri finanziari relativi agli indennizzi iscritti a ruolo sino al 21.2.2001 … Restano altresì nella competenza dello Stato i benefici si cui alla legge 210/92 per gli indennizzi relativi alle domande presentate entro il 21.2.2001 … Alle occorrenti variazioni di bilancio si provvede con decreti del Ministero dell’economia e delle finanze”. Nel caso che ci occupa, la domanda per l’indennizzo è stata presentata in data 3.11.1998 sicchè a prescindere dai contrasti giurisprudenziali sorti sulla competenza in ordine alle domande presentate dopo il 21.2.2001, nel caso di specie è indubitabile la competenza del convenuto Ministero. Nel merito il ricorso è fondato, dovendo integralmente aderirsi alle considerazioni fatte proprie dalla Suprema Corte di Cassazione con pronuncia n. 15894/2005. Lamenta parte ricorrente che non è stata riconosciuta la rivalutazione monetaria della voce “indennità integrativa speciale” che compone assieme all’assegno l’indennizzo in esame. Dispone l’art. 2 legge 210/92 che l’indennizzo di cui all’art. 1 comma 1 consiste in un assegno reversibile per quindici anni, determinato nella misura di cui alla tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall’art. 8 della legge 2 maggio 1984 n. 111. L’indennizzo è cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito e rivalutato annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato. Il secondo comma poi precisa “l’indennizzo di cui al primo somma è integrato da una somma corrispondente all’indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959 n. 324, e successive modificazioni, prevista per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato …”. Ritiene la Corte di Cassazione che, atteso che l’indennizzo consta di due parti, un importo fisso ex lege – assegno reversibile per quindici anni – e l’indennità integrativa speciale di cui alla legge 324/59, non sarebbe logico ritenere rivalutabile solo la prima componente e non la seconda, la quale, seppure originariamente recava in sé il meccanismo dell’adeguamento, non lo ha conservato a seguito del taglio della scala mobile (al riguardo, la Corte richiama l’art. 3 DL 70/84 che dal 1.5.1984 fissò in non più di due punti di variazione della misura di tali indennità, nonché il protocollo di intesa del 31.7.1992, con cui Governo e parti sociali presero atto dell’intervenuta cessazione del sistema di indicizzazione dei salari). Peraltro, l’indennità integrativa speciale, entrando a fare parte dell’indennizzo inteso nella sua globalità, ne ha acquistato tutte le caratteristiche, ivi compresa quella della rivalutabilità secondo il tasso annuale di inflazione programmata, previsto dall’art. 2 comma 1 della legge 210/92. D’altro canto, una simile interpretazione è conforme ai principi costituzionali, giacché la misura dell’indennizzo, se ritenuta non rivalutabile per intero nelle sue componenti, non sarebbe equa rispetto al danno subito, da rapportare al pregiudizio alla salute. In particolare, la Corte Costituzionale ritiene che con riferimento all’ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio (ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica) il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri. Pertanto, un corretto bilancimaneto fra il valore della salute e lo spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell’imposizione del trattamento sanitario, implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento. In particolare, finirebbe con l’essere sacrificato il contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito (con conseguente illegittimità delle disposizioni di legge per contrasto con l’art. 32 Cost.), se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito (Corte Cost. 307/90). Dunque, nei casi di trattamenti sanitari obbligatori l’aspetto individuale e soggettivo del diritto alla salute (la salute come fondamentale diritto dell’individuo) contrasta con l’aspetto sociale e oggettivo (la salute come interesse della collettività). Ed infatti, i trattamenti sanitari obbligatori sono leciti, per testuale previsione dell’art. 32, secondo comma, della Costituzione, il quale li assoggetta ad una riserva di legge, qualificata dal necessario rispetto della persona umana e ulteriormente specificata dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 258 del 1994, con l’esigenza che si prevedano ad opera del legislatore tutte le cautele preventive possibili, atte a evitare il rischio di complicanze. Ma poiché tale rischio non sempre è evitabile, è allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano in conflitto. La coesistenza tra la dimensione individuale e quella collettiva della disciplina costituzionale della salute nonché il dovere di solidarietà che lega il singolo alla collettività, ma anche la collettività al singolo, impongono che si predisponga, per quanti abbiano ricevuto un danno alla salute dall’aver ottemperato all’obbligo del trattamento sanitario, una specifica misura di sostegno consistente in un equo ristoro del danno. Tale ristoro sarà dovuto per il semplice fatto obbiettivo e incolpevole dell’aver subito un pregiudizio non evitabile, in un’occasione dalla quale la collettività nel suo complesso trae un beneficio, dunque indipendentemente dal risarcimento in senso proprio che potrà eventualmente essere richiesti dall’interessato, ove ricorrano le condizioni previste dall’art. 2043 del codice civile. La distinzione tra indennizzo e risarcimento determina che, mentre in questo secondo caso la tutela contro l’illecito aquiliano ha necessariamente effetti risarcitori pieni del danno subito (Corte Cost. nn. 455/90, 1011/88, 992/88, 559/87, 184/86, 88/79), nel caso di indennizzo si tratta di una misura che, pur non potendo essere irrisoria e pur dovendo tenere conto di tutte le componenti del danno stessi (Corte Cost. 307/90), ha natura equitativa (Corte Cost. 118/1996). Dunque, la giurisprudenza della Corte Costituzionale, seppure ritiene che l’entità dell’indennizzo non deve coprire danno sofferto e può essere determinata equitativamente dal legislatore in maniera discrezionale, evidenzia anche che esso deve costituire un equo ristoro e non ridursi ad una somma irrisoria che non tenga conto di tutte le componenti di danno. Concordando con tale orientamento e tenendo conto della ratio legis sottesa all’indennizzo di cui all’art. 2 legge 210/92, si ritiene che anche l’indennità integrativa speciale debba essere rivalutata al pari dell’assegno di cui al comma 1 dell’art. 2 citato, al fine di evitare che il decorso del tempo e l’aumento del costo della vita incida negativamente sul valore dell’indennizzo determinato dal legislatore, riducendolo ad una somma irrisoria che non soddisfa l’esigenza di garantire un equo ristoro al soggetto leso (conformemente a tale indirizzo si veda la recente pronuncia Cass. 18109/2007). Va, inoltre, precisato che l’indennità integrativa speciale avendo funzione indennitaria, deve essere sottratta alla perdita di valore di acquisto del denaro così come espressamente sancito per l’assegno, atteso che nel momento in cui il legislatore ha voluto escludere una voce dell’indennizzo ex lege 210/92 (in particolare l’assegno una tantum di cui all’art. 2 comma 2) dalla rivalutazione monetaria lo ha fatto espressamente così confermando a contrario la rivalutabilità dell’indennità integrativa speciale che è regolata dal medesimo comma 2 dell’art. 2. Ci sono, dunque, sia ragioni di interpretazione teleologica alla luce della ratio legis di garantire un equo ristoro al soggetto leso, sia ragioni di interpretazione letterale che portano a ritenere corretta la tesi sostenuta dalla parte ricorrente. A ciò si aggiunga che la legge istitutiva dell’indennità integrativa speciale n. 324/59 prevedeva la rivalutazione automatica su una base annuale di tale indennità (poi venuta meno, come sopra si accennava, per il cd. taglio della scala mobile, ricordato anche dalla Suprema Corte nella pronuncia n. 15894/2005), sicchè non era necessario prevedere espressamente la rivalutazione come per l’assegno di cui al primo comma, derivando la stessa dal mero richiamo della legge istitutiva dell’IIS. Una simile interpretazione viene altresì avvalorata dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 293/2011 la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 13, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, per il quale << il comma 2 dell’articolo 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si interpreta nel senso che la somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale non è rivalutata secondo il tasso d’inflazione>> … omissis … …” Eccepisce infine il Ministero convenuto la prescrizione delle somme pretese. Al riguardo trattandosi di accessori maturati su somme da corrispondersi periodicamente ad anno a a periodi più brevi (nel caso di specie l’indennizzo è corrisposto in rate bimestrali posticipate, doc. 2 fascicolo ricorrente), è applicabile ex art. 2948 n. 4 c.c. la prescrizione quinquennale interrotta dalla richiesta di rivalutazione presentata alla Regine Marche (cui il Ministero competente aveva trasferito la pratica per la gestione, come pacificamente ammesso dalle parti e come comunicato ufficialmente anche al ricorrente con missiva del 30.10.2001, doc. 5 fascicolo ricorrente) in data 14.5.2010 sicché le somme pretese saranno dovute successivamente al 14.5.2005, tenendo conto ovviamente degli adeguamenti annuali anche relativi all’aggravamento riconosciuto nell’anno 2005. “…

© Artistiko Web Agency