Corte di Appello di Ancona – Sent. n. 107/2011 – Pres. Formigoni, Est. Castagnoli

Impugnazione lodo arbitrale

10/02/2011

Con unico lodo arbitrale rituale 27.10.2004 promosso dalle Soc. Y e X veniva dichiarato C inadempiente alle obbligazioni assunte con scrittura 29.10.2003 nei confronti della Società X e conseguentemente veniva disposto il trasferimento in favore della società X di azioni della Società Y intestate a C, subordinandolo al pagamento del corrispettivo all’epoca pattuito veniva altresì dichiarato risolto, per inadempienza di C e V, altro contratto preliminare stipulato sempre il 29.10.2003 avente ad oggetto la cessione da parte di C e V delle quote societarie di loro proprietà della Società Z a favore della Società Y, condannandoli al risarcimento del danno, in via indivisibile tra loro, liquidato come in lodo. Avverso tale lodo proponevano impugnazione C e V eccependone la nullità per violazione della clausola compromissoria (identica) contenuta in entrambe le scritture nonché per violazione delle norme sul processo e per inosservanza di norme di diritto, in particolare: 1)Violazione dell’art. 35 D.lgs. n. 57/2003 sul rito societario; 2)Violazione degli artt. 1453 e segg. c.c.; 3)Violazione degli artt. 19 e 20 c.p.c.; 4)Violazione degli artt. 1223 e segg. c.c. Si costituivano in giudizio le Società X ed Y eccependo l’inammissibilità della domanda ex art. 829 commi 2 e 3 c.p.c. nonché la sua infondatezza, e chiedendo la conferma del lodo arbitrale. La Corte di Appello, ha respinto la impugnazione. ……“Con riferimento al motivo sub 1), va osservato che la doglianza concernente la mancata applicazione delle formalità processuali di cui al d.lgs. n. 5/2003, ed in particolare dell’obbligo previsto dall’art. 35, comma 1, è infondata. …..“a prescindere dal rilievo che gli impugnanti non indicano quali formalità procedurali non siano state osservate, è innanzitutto da rilevare che la previsione del 1 comma dell’art 35 del d.lvo. n. 5 del 2003”, che prescrive il deposito della domanda di arbitrato presso il registro delle imprese, “non contiene alcuna sanzione per il mancato deposito della domanda, imponendo dunque un onere la conseguenza della cui inosservanza non è costituita dalla nullità del lodo”. La Corte rileva, inoltre, come “la previsione degli artt. 34 e seguenti del d.lvo. n. 5 del 2003 concerne le controversie endosocietarie, le quali sono caratterizzate da uno specifico titolo, costituito da una clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo o nello statuto di una società commerciale, salvo le esclusioni per i tipi previsti dalla norma, e quindi le controversie insorte all’interno di una società, situazione questa non ravvisabile nella concreta fattispecie, nella quale la fonte dell’arbitrato è una clausola compromissoria contenuta all’interno di contratti aventi per oggetto la cessione di partecipazioni sociali”. “In ogni caso la nullità del lodo non conseguirebbe alla circostanza che le parti si siano avvalse di un arbitrato di diritto comune. Infatti, secondo la preferibile interpretazione, l’art. 34 del d.lvo n. 5 del 2003 ha inteso introdurre nell’ordinamento un tipo particolare di arbitrato, senza precludere alle parti la possibilità di avvalersi di clausole compromissorie di diritto comune, ponendo la stessa norma un onere a carico delle parti di prevedere una clausola arbitrale conforme al modello legale che descrive”. “La esclusività della procedura arbitrale […] non è prevista dalla norma ed anzi la legge delega il compito ‘di prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausola compromissoria, anche in deroga agli artt. 806 e 809 del c.p.c., per tutte o alcune delle controversie societarie di cui al comma 1’, implicando le espressioni ‘prevedere la possibilità’ e ‘anche in deroga’ il permanere di uno spazio per l’autonomia privata in ordine non solo all’adozione o meno di eventuali clausole compromissorie ma anche relativamente alla scelta di adottarle o meno in deroga all’arbitrato di diritto comune e la stessa relazione ministeriale afferma che il tipo di arbitrato ivi previsto “si sviluppa senza pretesa di sostituire il modello codicistico”. Con riferimento a questa prima questione, la Corte, alla luce di queste considerazioni, afferma che “nella specie […] si tratta di un arbitrato di diritto comune, instaurato sulla base di una clausola compromissoria contenuta in atti diversi dallo statuto o dall’atto costitutivo della società ed il ricorso al quale è da ritenersi pienamente consentito all’autonomia privata, onde la doglianza relativa alla mancata applicazione di formalità procedurali relative all’arbitrato societario, peraltro non specificate, è palesemente priva di fondamento”. Con riferimento al motivo sub. 3), il Giudicante rileva che “il richiamo alla violazione dell’art. 829 c.p.c. per violazione di norme di diritto in relazione agli artt. 19 e 20 c.p.c. appare inappropriato, in quanto le regole cui fa riferimento il secondo comma dell’art. 829 c.p.c. sono le norme di diritto sostanziale, riferendosi la previsione in questione agli errores in iudicando”. “In ogni caso non è ravvisabile il nesso, postulato dal motivo, tra i criteri di individuazione della competenza territoriale previsti dalle norme del codice di rito ed il luogo di svolgimento del giudizio arbitrale, prevedendo l’art. 816 c.p.c., nel testo applicabile al caso di specie, che se le parti non hanno determinato la sede dell’arbitrato nel territorio della Repubblica Italiana vi provvedano gli arbitri alla prima riunione”, e correttamente, nella fattispecie de quo, l’arbitro unico ha stabilito, nella comunicazione alle parti di accettazione della nomina, la sede dell’arbitrato presso i locali dell’Ordine degli Avvocati di Pesaro. “I restanti motivi della impugnazione, con cui si censura la violazione di norme di diritto (artt. 1453 e seguenti c.c.; artt. 1223 e seguenti c.c.) sono inammissibili”. …..“Innanzitutto, si deve rilevare come l’art. 829 comma secondo c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis alla presente controversia, prevedeva l’impugnazione del lodo per violazione da parte degli arbitri delle regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile. Quest’ultima situazione è ravvisabile nel caso di specie “in cui le clausole compromissorie qualificano la decisione arbitrale come inappellabile, con conseguente preclusione dell’impugnazione ai sensi del capoverso dell’art. 829 c.p.c.”. Per completezza, infine, la Corte di Appello ha osservato, altresì, che gli appellanti nella comparsa conclusionale hanno dedotto, inquadrandolo nel paradigma di cui all’art. 829, comma 1 n. 4, c.p.c., un ulteriore vizio del lodo, consistente nella confluenza in un’unica procedura di due distinti contratti, stipulati da soggetti diversi ed aventi diverso oggetto, facendone anche derivare la considerazione della esistenza di disposizioni contraddittorie ai sensi dell’art. 829, comma 1 n.11, c.p.c. per aver poi l’arbitro, nel lodo, pronunciato la risoluzione di uno dei contratti e la condanna all’adempimento dell’altro. Al riguardo la Corte ha sottolineato come “[…] in considerazione dei limiti strutturali che caratterizzano le impugnazioni per nullità del lodo arbitrale, tendenti a blindare i giudizi fattuali degli arbitri, la contraddittorietà del lodo arbitrale è deducibile con l’impugnazione per nullità solo qualora si concreti in una inconciliabilità tra le parti del dispositivo o tra dispositivo e motivazione ovvero in un contrasto tra le parti della motivazione tale da rendere impossibile la ricostruzione della ratio decidendi traducendosi, quindi, in una sostanziale assenza di una motivazione riconducibile al suo modello legale funzionale ( Cass. 22 marzo 2007 n. 6986; v. anche, tra le altre, Cass. 3768/2006; 118372006; 6069/2004; 1815/2000; 1669/2000)”. … “gli impugnanti non hanno fatto valere, quanto poi esposto nello scritto difensivo finale nell’atto introduttivo che delimita, con l’indicazione dei motivi di impugnazione, il thema decidendum, onde le argomentazioni svolte al riguardo introducono, inammissibilmente, censure alla decisione arbitrale non proposte con l’atto di impugnazione”. “Infatti la S.C. ha più volte ribadito che il difetto di potestas iudicandi del collegio decidente, comportando un vizio insanabile del lodo, può e deve essere rilevato di ufficio nel giudizio di impugnazione, e anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato, indipendentemente dalla sua precedente deduzione nella fase arbitralem (soltanto) qualora derivi dalla nullità del compromesso o della clausola compromissoria (cfr. sent. n. 10132/2006; 10561/2004; 6230/1999; 8410/1998; 9604/1991; 4934/1982; 4317/1982; 5942/1981; 4360/1981), riguardando in particolare tale giurisprudenza l’ipotesi di esercizio da parte degli stessi arbitri di un potere loro non attribuito, ossia il caso di usurpazione della relativa funzione per vizio radicale della clausola ovvero perché la controversia sia sottratta per legge alla cognizione del giudice privato, così da doversi ricondurre la pronuncia da essi resa nella categoria dell’inesistenza”. Il Giudicante rileva, altresì come tale situazione non sia ravvisabile con riguardo a quanto dedotto dagli impugnanti, “investendo la censura non la nullità delle clausole compromissorie ovvero la circostanza che le controversie non rientrino nell’oggetto delle medesime clausole quanto, piuttosto, il fatto che le stesse controversie non avrebbero potuto essere trattate unitariamente”…..

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