Trib. Ancona sent. 22/2016 Pres. Est. Miconi

Banca delle Marche - dichiarazione di insolvenza - legittimazione degli obbligazionisti a partecipare al giudizio - sussistenza

15/03/2016

Con istanza del 27.1.2016 il Pubblico Ministero di Ancona ha chiesto la declaratoria di insolvenza della Banca delle Marche s.p.a in liquidazione coatta amministrativa, a norma degli artt. 82 TUB D. Lgs. 385/1993 e 195 L.F.; ha segnalato che l’istituto di credito – già sottoposto nell’agosto 2013 a gestione provvisoria ex art. 76 TUB dalla Banca d’Italia, organo di vigilanza; ad Amministrazione Straordinaria ex art. 70 c 1 lett. a) e b) e 98 TUB con D.M. 15-10-2013; a procedura di risoluzione ex art. 32 D. Lgs. 180/2015 con decreto della Banca d’Italia 21-11-2015 ed infine a Liquidazione Coatta Amministrativa con D.M. 9-12-2015 – si trovava in grave stato di insolvenza già al termine dell’esercizio 2012, e comune al primo semestre del 2013, avendo accumulato rilevanti perdite d’esercizio – che avevano vanificato il precedente aumento di capitale di euro 180 milioni -, ed evidenziato importante deficit patrimoniale – il patrimonio di vigilanza si era attestato sotto il minimo regolamentare – ed elevato rischio di liquidità; il dissesto si era aggravato ulteriormente nel periodo della Amministrazione Straordinaria, nonostante i tentativi di soluzione attivati dai Commissari Straordinari, fino all’avvio del procedimenti di risoluzione, nel novembre 2015, riferimenti temporale dell’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza.

Con successivo ricorso del 2-2-2016 il Commissario Liquidatore della Banca delle Marche in LCA, ha formulato analoga richiesta di declaratoria di insolvenza della Banca; nel ricostruire l’iter dell’emersione del dissesto dell’Istituto, ha ricordato i numerosi tentativi dei Commissari della Amministrazione Straordinaria di reperire, senza successo, soggetti bancari e finanziari disposti ad intervenire nella soluzione della crisi; ha segnalato che un intervento di sostegno richiesto, in situazione ormai di emergenza finanziaria, al FIDT (Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi), e da tale organo accolto con manifestazione di disponibilità, non aveva potuto avere corso essendo per esso indispensabile la autorizzazione da parte della BCE, nonché la valutazione, da parte della Commissione Europea di conformità dell’intervento prospettato con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato, ed essendo la situazione tecnica della Banca del tutto incompatibile con i tempi necessari per tali valutazioni; ha dedotto che la situazione contabile al 30-9-2015 aveva evidenziato il sostanziale azzeramento del patrimonio, con Common Equity Tier negativo; che inoltre nel medesimo periodo le riserve liquide si erano rilevate gravemente insufficienti ed il buffer di liquidità era sceso al di sotto del margine di sicurezza.

Il Tribunale ha fissato l’udienza di audizione della società debitrice – a norma dell’art. 82 TUB e 195 L.F.

Sono intervenuti nel procedimento, depositando comparsa di costituzione in data 29-2-2016:

  1. il Codacons, che si è associato alla richiesta di declaratoria di insolvenza;
  2. la Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
  3. La Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi

Entrambe qualificando il proprio interesse ad intervenire quali azionisti e obbligazionisti subordinati della Banca, ed in tale ultima veste creditori; hanno contestato la sussistenza dello stato di insolvenza dell’Istituto, svolgendo le seguenti argomentazioni:

  1. Alla data della risoluzione la Banca godeva ancora di credito positivo presso gli operatori commerciali ed il restante ceto bancario, che si era dimostrato disposto a finanziaria con ampia liquidità;
  2. La banca d’Italia aveva valutato erroneamente lo stato patrimoniale della BdM, utilizzando criteri non corretti, da un lato discostandosi da precedenti prassi ispettive, dall’altro applicando in modo non adeguato gli standard valutativi EBA (peraltro non ancora entrati in vigore);
  3. La Banca d’Italia non aveva messo a confronto, nell’aprile la risoluzione, i possibili scenari alternativi alla procedura stessa;
  4. La Banca d’Italia aveva errato nella conduzione del procedimento di risoluzione; il provvedimenti di risoluzione era invalido perché mancante sia della “valutazione definitiva” sia di una valida “valutazione provvisoria” a norma dell’art. 25 D. Lgs. 180/2015;
  5. La stima effettuata dalla Banca d’Italia del realizzo dei crediti in sofferenza, determinata nel 17% del valore dei crediti stessi, era eccessivamente severa ed illegittima, in quanto di molto più bassa rispetto a quella abitualmente usata nei confronti degli altri Istituti Bancari; al contrario al momento della apertura della Amministrazione Straordinaria, nel 2013 la Banca aveva ancora un patrimonio di vigilanza di euro 996 milioni, con un total Capital Ratio del 6,65%, con una deficienza patrimoniale rispetto ai requisiti prudenziali di euro 202 milioni; una raccolta di quasi 21 miliardi di euro, e dunque si presentava patrimonializzata e con prospettive di risanamento.

L’eccessiva svalutazione dei crediti aveva condotto all’indebita risoluzione del valore del patrimonio;

hanno eccepito la incostituzionalità: del D.L. 183/2015; dell’art. 1 comma 842 e ss della L. 208/2015 (legge di stabilità); degli artt. 5, 26, 35, 39 e ss, 52 e ss, 60 e ss, 95 e 100 D. Lgs. 180/2015; hanno chiesto la sospensione del presente giudizio amministrativo sull’impugnazione dei provvedimenti di Risoluzione della Banca; in via istruttoria, hanno instato per la acquisizione di tutta la documentazione contabile del periodo successivo al commissariamento della BdM, fino alla copertura della risoluzione, con particolare riguardo agli atti istruttori della risoluzione ed alla valutazione del patrimonio dell’istituto e dei bilanci 2013, 2014 e 2015, deducendo di non aver mai più avuto diretto accesso di bilanci ed alla contabilità sociale, e di aver diritto all’esame anche in considerazione degli errori di valutazione compiuti dalla Banca d’Italia; hanno inoltre richiesto la disposizione di CTU contabile per la verifica della stabilità patrimoniale della Banca.

La Banca d’Italia ha inviato il suo parere scritto in data 2-3-2016 (omissis).

 

…” 1) Preliminarmente oggetto del presente giudizio è l’accertamento giudiziale, successivo alla apertura della liquidazione Coatta Amministrativa, dello stato di insolvenza della Banca delle Marche s.p.a., a norma dell’art. 82 TUB; in questa sede, dunque, oggetto dell’accertamento e della pronunzia sarà la sussistenza o meno degli indici di insolvenza riferibili alle Banche, quali sono in via preminente il deficit patrimoniale, ed in ogni caso – secondo gli ordinari criteri della legge fallimentare – la impossibilità di far fronte alle obbligazioni con i mezzi ordinari.

Ciò posto, in rito:

  1. Non sussiste la legittimazione del Codacons ad intervenire nel presente giudizio.
    Tale associazione ha prospettato la propria legittimazione affermando di essere rappresentante delle posizioni soggettive dei possessori di azioni ed obbligazioni subordinate che hanno subito un danno dall’azzeramento del valore dei loto titoli, e che hanno interesse all’esito delle indagini penali in corso sulle vicende della Banca, e dunque alla individuazione delle responsabilità degli amministratori e degli attori soggetti coinvolti:
    Indipendentemente dalla natura collettiva o meno – secondo i criteri ribaditi di recente da Cass. 17351/2011 – dell’interesse prospettato con la domanda, va in ogni caso posta in evidenza la estraneità al presente giudizio di ogni accertamento sulle cause dell’apertura della procedura di risoluzione della BdM, e quindi sulle eventuali responsabilità della gestione che ha condotto all’azzeramento del valore delle Azioni e delle obbligazioni cd subordinate.
    Il procedimenti per la dichiarazione dello stato di insolvenza della impresa bancaria ha ad oggetto l’indagine sull’equilibrio patrimoniale e finanziario della banca, oggetto del tutto diverso rispetto all’accertamento dei fatti posti a base della responsabilità risarcitoria; l’interesse che il Codacons manifesta – e che attiene, in realtà, agli effetti che la declaratoria di insolvenza ha sulla contestabilità dei reati fallimentari a carico degli amministratori della società insolvente – deve essere qualificato come di mero fatto, e non come interesse giuridico qualificato;
  2. Va ritenuto al contrario, la legittimazione ad intervenire delle due Fondazioni, poiché queste fanno valere rispetto alla società bancaria la loro posizione di creditori, i cui interessi sono prospettati in conflitto con quelli degli altri creditori rappresentanti dal Commissario Liquidatore della LCA.

A norma dell’art. 82 comma 2 TUB, nel caso in cui sia già stata aperta la Liquidazione Coatta Ammnistrativa di una Banca, l’istanza per la dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza può essere proposta (oltre che dal PM) soltanto dai Commissari liquidatori; non anche dai singoli creditori, come invece è previsto dal comma 1 della norma nel caso in cui la LCA non sia stata ancora disposta: da ciò si deduce che ai Commissari Liquidatori della LCA è attribuita la rappresentanza e tutela degli interessi di tutti i creditori concorsuali.
A ciascuno di questi, tuttavia, deve ritenersi conservata la legittimazione propria nel caso di interessi in conflitto con la procedura; in questo caso, le due Fondazioni hanno contestato in via amministrativa i presupposti di apertura della procedura concorsuale (provvedendo ad impugnare, in primo luogo, i decreti di Risoluzione), e si trovano quindi in posizione conflitto di interesse con la massa.
L’interesse ad intervenire, oltre che concreto, è anche qualificabile come attuale, atteso che la posizione creditoria rappresentata dalle due Fondazioni, nascente dalla pregressa titolarità delle obbligazioni subordinate, è prospettata (anche) come conseguenza dell’annullamento degli atti amministrativi impugnati: quegli atti che, come ha eccepito il Commissario Liquidatore, hanno definitivamente privato le Fondazioni del valore dei loro titoli azionari ed obbligazionari.

 

2) Nel merito

L’oggetto del giudizio, come sopra richiamato – e riferito, a norma dell’art. 36 D. Lgs. 180/2015, alla “situazione esistente al momento dell’avvio della risoluzione”, come tutte le parti hanno sottolineato – comporta che difettino di rilevanza, per la decisione sulla domanda di accertamento dello stato di insolvenza di BdM, sia le censure che investono i provvedimenti di risoluzione, oggetto del giudizio amministrativo (in particolare, i motivi indicati sub c) e d); sia l’esito del giudizio amministrativo stesso – da cui l’inconferenza della invocata sospensione del presente procedimento -; sia; infine, la questione di costituzionalità relativa alla normativa sulla risoluzione (D. Lgs 180/2015; art. 1 commi 852 e ss L 208/2015; DL 183/2015), normativa che non dovendo essere applicata alla odierna valutazione dello stato di insolvenza, è indifferente se sia o meno conforme alla carta costituzionale.

 

3) Quanto alla valutazione dello stato di insolvenza della Banca delle Marche Spa alla data del 22 novembre 2015 (apertura del procedimento di risoluzione):

la definizione di stato di insolvenza dell’impresa bancaria va effettuato con riferimenti alla norma generale portata dall’art. 5 LF, contenente un concetto di insolvenza a carattere normale portata dall’art. 5 LF, contenente un concetto di insolvenza a carattere “universale”, a cui si deve ricorrete per tutte le procedure di crisi; la giurisprudenza di legittimità e di merito ha avuto modo di precisare le peculiarità dell’insolvenza bancaria, nel senso che la stessa può essere ritenuta sussistente anche in un momento cronologicamente anteriore al verificarsi della vera e propria “impossibilità per l’imprenditore di far fronte regolarmente alle obbligazioni”, e precisamente quando si è in presenza di particolari indicatori tecnici, fra i quali assume rilievo dirimente l’ingente ed irreversibile deficit patrimoniale.

In questo senso Cass. 9408/2006: “Lo stato di insolvenza di una banca sottoposta a liquidazione coatta amministrativa – la cui sussistenza, ai sensi dell’art. 82, comma secondo, del D. Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, deve essere riscontrata con riferimenti al momenti dell’emanazione del provvedimento di liquidazione (ndr: ora al momento del provvedimento di risoluzione) – si traduce, sulla base della generale previsione dell’art. 5 legge fall., applicabile in assenza di autonoma definizione, nel venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie per l’espletamento della specifica attività imprenditoriale,
la peculiarità dell’attività bancaria – la quale implica che l’impresa che la esercita disponga di molteplici canali di accesso al reperimento di liquidità per impedire la suggestione della corsa ai prelievi – fa peraltro sì che assuma particolare rilevanza indiziaria, circa il grado di irreversibilità della crisi, il “deficit” patrimoniale, che si connota come dato centrale rispetto sia agli inadempimenti che all’eventuale illiquidità”.

Nel presente procedimenti sono stati prodotti i seguenti documenti contabili, rilevanti ai fini della valutazione in argomenti e direttamente esaminabili e valutabili sia dalle parti, sia dal Collegio:
I bilanci della società BdM e del gruppo relativi agli esercizi 2010, 2011, 2012;
la situazione contabile al 30.9.2015 redatta dai Commissari Straordinari della Amministrazione Straordinaria;
i prospetti contabili trasmessi in data 20.11.2015 dai predetti Commissari alla Banca d’Italia ai fini della “valutazione provvisoria”, ed art. 25 D. Lgs 180/2015 (n. 15 prospetti contabili, come da elenco nella missiva di trasmissione, depositata dal PM in udienza).

 

Le risultanze dei predetti documenti consentono di affermare quanto segue:

A- la situazione patrimoniale della BdM

  1. Già nell’anno 2013, la società, che aveva chiuso il bilancio di esercizio con una perdita di euro 528 milioni – ulteriormente aggravatosi al primo semestre 2013 – si trovava in stato di deficienza patrimoniale rispetto ai requisiti prudenziali: il patrimonio di vigilanza ammontava ad euro 996 milioni, con una deficienza patrimoniale di euro 202 milioni; il rapporto fra il patrimonio consolidato e gli impieghi (total capital ratio) era ridotto al 6,65%, e dunque inferiore al minimo prudenziale dell’8% (queste considerazioni in fatto sono esposte anche nella memoria dell’intervenuta Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro).
    Le gravi anomalie gestionali riscontrate dall’ispezione della Banca D’Italia, i dissidi interni dovuti anche alle esigenze delle Fondazioni socie, la gestione inadeguata della concessione del credito, anche nella controllata totalitaria Medioleasing hanno condotto dapprima alla gestione amministrativa straordinaria in data 15-10-2013.
  2. nel corso del periodo di amministrazione straordinaria (circa due anni) – come riferito nella relazione della Banca d’Italia – i Commissari hanno condotto interlocuzioni con diverse controparti bancarie e finanziarie senza esito positivo; vi è stato un primo tentativo di intervento del FIDT, a supporto di un progetto di risanamento prospettato da una istituzione creditizia, rilevatosi irrealizzabile, è inoltre risultato non praticabile, per la estrema gravità della situazione finanziaria venutasi a creare nel novembre 2015 (di cui di seguito si dirà), un ultimo intervento del FIDT, del quale i tempi dell’indispensabile parere della Commissione Europea e della BCE non hanno consentito il positivo corso.
    La necessità di predisporre o richiedere straordinari, compreso quello del FIDT, integra un segnale inequivocabile della gravità della situazione patrimoniale dell’impresa; il tempo trascorso negli inutili tentativi di ripresa è significativo della irreversibilità della citata condizione, già alla fine dell’esercizio semestrale 2013.
  3. dalla situazione contabile al 30.9.2015, redatta dai commissari straordinari, emerge che il patrimonio netto della società a quella data ammontava ad appena euro 13 milioni, dunque del tutto insufficiente ad assicurare il rispetto dei requisiti prudenziali con un Common Equity Tier (il rapporto tra Cer 1 (rappresentato principalmente dal capitale ordinario versato) e le attività ponderate per il rischio) negativo, pari a – 0,62% (a fronte di un parametro richiesto dalla BCE, come si è detto, pari all’87%); le perdite di esercizio maturate ammontavano ad euro 920 milioni.

 

A fronte di questi dati, lo stato di deficit patrimoniale della Banca al momento della apertura della risoluzione non è seriamente contestabile; la protrazione nel tempo ed il progressivo aggravamento del suddetto deficit, con esito negativo perfino dei tentativi di soccorso straordinario – quale quelli del FIDT all’inizio di ottobre 2015, che prevedeva la sottoscrizione di un aumenti di capitale fino ad un massimo di euro 1.200 milioni, da attuarsi a seguito della svalutazione o della conversione delle obbligazioni subordinate - , è pienamente significativo della irreversibilità, oltre che della estrema gravità del dissesto.

Non può quindi trarsi dai tentativi di salvataggio in questione la conclusione, sostenuta dagli intervenuti, della sostanziale recuperabilità dell’equilibrio patrimoniale dell’impresa bancaria.

Né si può ragionevolmente sostenere che la citata perdita patrimoniale sia derivata da una stima illegittima – perché eccessivamente severa e difforme rispetto a quella abitualmente usata nei confronti degli altri Istituti Bancari – effettuata dalla Banca d’Italia sul realizzo dei crediti in sofferenza, determinata nel 17% del valore dei crediti stessi.

Da un lato, infatti, va affermata la insindacabilità in sede giurisdizionale della discrezionalità tecnica riconosciuta alla Banca d’Italia dall’art. 5 TUB in ordine alla valutazione del rischio del credito, della liquidità della banca, della stabilità del sistema, se non nei limiti della irrazionalità, irragionevolezza e travisamento dei presupposti di fatto (TAR Lazio Sez. III; 9-4-2010 n. 6185; Cons. Stato 11.11.2010 n. 8016,); nel caso in esame la Banca d’Italia si è attenuta, per la valutazione delle sofferenze, alle indicazioni specifiche della Direzione Generale della concorrenza della Commissione Europea, come attestato nel parere del 2.3.2016; né gli interventi hanno specificato il contenuto della eventuale irragionevolezza o travisamento dei fatti sulla base dei quali l’organo di vigilanza avrebbe eccessivamente svalutato i crediti.

Dall’altro lato, il decorso di circa due anni dal commissariamenti della B.d.M. alla apertura della risoluzione ha consentito di verificare che i crediti in sofferenza, di cui era stata già operata la svalutazione, si sono rilevati ulteriormente e definitivamente irrecuperabili, richiedendo ulteriore svalutazione.

D’altra parte, la correttezza della valutazione del patrimonio della B.d.M. da parte della Banca d’Italia è direttamente riscontrabile dalla documentazione contabile di cui sopra si è detto.

 

B – La situazione finanziaria della BdM al novembre 2015

Ferme le suesposte considerazioni sulla situazione di deficit patrimoniale della BdM nei due anni precedenti e fino alla data di apertura della Risoluzione, nel caso in esame emerge inequivocabilmente anche una gravissima situazione di squilibrio finanziario della Banca, giunta a livello emergenziale nel Novembre 2015.

Con comunicazione datata 4.11.2015 inviata alla Banca d’Italia, intitolata “evoluzione della “situazione di liquidità” del Gruppo”, i Commissari Straordinari della BdM hanno avvertito l’Organo di Vigilanza che “…atteso che il prospettato “salvataggio” della Banca … ad opera del menzionato FITD … potrebbe prevedibilmente trovare concreta attuazione con una tempistica non compatibile con la segnalata “emergenza”, si fa presente che, nella verosimile ipotesi di un ulteriore aggravamento della situazione di liquidità che con l’attuale trend dei deflussi si stima possa avvenire nei prossimi 10 giorni, questa AS, in attesa del già richiesto sostegno finanziario, si vedrà costretta a chiedere la verifica dei presupposti per una “sospensione dei pagamenti” di qualsiasi genere per il tempo strettamente necessario per arrivare alla soluzione definitiva della crisi”.

La Banca d’Italia, da parte sua, ha riferito nel parere inviato alla procedura ai sensi dell’art. 82 TUB che alla data del 18 novembre 2015 il saldo netto di liquidità della BdM era di soli euro 221milioni, pari al 1,4% del totale attivo, e cioè, peraltro, grazie a temporanee linee di credito concesse da altri intermediari; al momento della segnalazione 4.11.2016 dei Commissari Straordinari, infatti, il buffer di liquidità era sceso al di sotto degli euro 200 milioni, margine di sicurezza per la operatività giornaliera del sistema dei pagamenti; si trattava si riserve liquide disponibili del tutto inadeguate, situazione prodotta dai deflussi dei fondi dalla banca da parte della clientela retail ed aggravata dalla presenza di alcuni grandi clienti corporate, detentori di disponibilità superiori al livello di buffer, la cui uscita avrebbe improvvisamente reso impossibili i pagamenti quotidiani.

In altri termini, all’inizio novembre 2015 la BdM si trovava in una situazione di tale carenza di liquidità da non poter assicurare i pagamenti giornalieri; detto stato –momentaneamente “tamponato” attraverso il ricorso ad un finanziamento temporaneo concesso da altri intermediari, ma solo per giungere al margine di sicurezza per la operatività giornaliera: non certo, quindi, una “manifestazione di fiducia creditizia da parte del ceto bancario”- ha comportato la necessità del rapido avvio della procedura di Risoluzione, senza poter attendere gli obbligatori pareri degli Organi Europei sul prospettato intervento straordinario del FITD.

Ai fini della sussistenza dello stato di insolvenza, una crisi di liquidità come quella sopra descritta, non transitoria tenuto conto anche della sua gravità, è di per sé sufficiente ad integrare il requisito della “impossibilità per l’imprenditore di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni” di cui all’art. 5 L.F.

Le risultanze contabili fin qui esaminate, alcune delle quali riferibili all’epoca della gestione propria da parte degli organi della BdM e contenute nei bilanci predisposti da tali organi, sono più che sufficienti per valutare, nel contraddittorio delle parti, lo stato dell’impresa; non si ravvisa pertanto alcuna necessità di acquisizione di ulteriori atti della gestione commissariale, o di acquisizione di documentazione –peraltro non specificatamente indicata- presso la Banca d’Italia; né il Tribunale ritiene rilevante una consulenza tecnica contabile, data la estrema chiarezza dei dati e la assenza di qualsiasi ambiguità sulla situazione di deficit patrimoniale dell’impresa.

Per tutte le ragioni esposte, in accoglimento del ricorso, va dichiarato lo stato di insolvenza della Banca delle Marche spa.

Poiché il procedimento ha natura contenziosa, gli intervenuti soccombenti vanno condannati in solido alla rifusione delle spese di giudizio in favore della Liquidazione Coatta Amministrativa. “… (omissis)

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