Revocatoria ordinaria – Credito rinveniente da contratto contenente clausola arbitrale – giurisdizione dell’A.G.O. – competenza Tribunale Sezione delle imprese – esclusione – censure attinenti vizio motivazionale - limiti

1.2.2023 – Cassazione Civ. Sez. VI- 3 – Ord. n. 3054/2023 – Pres. Scrima – Rel. Dell’Utri

07/02/2023

… “Rilevato che, con sentenza resa in data 17/6/2021 (n. 736/2021), la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da X e Y avverso la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta da A ha dichiarato inefficace, ai sensi dell’art. 2901 c.c., nei confronti di quest’ultimo (protestatosi creditore del X sulla base degli accordi di ripartizione dei rispettivi affari commerciali) l’atto con il quale il X e la coniuge Y avevano costituito un fondo patrimoniale; a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale – rilevata l’infondatezza delle eccezioni di incompetenza sollevate dal X e dalla Y (in favore della competenza arbitrale o di quella del tribunale delle imprese) – ha rilevato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva ritenuto sussistenti tutti i presupposti di carattere oggettivo e soggettivo ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria spiegata da A; avverso la sentenza d’appello, XX (in qualità di erede con beneficio di inventario di X) propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione; A resiste con controricorso; Y non ha svolto difese in questa sede; (omissis) considerato che, con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 808, 808-ter e 808-quater c.p.c., in riferimento agli artt. 1362 e segg. c.c., nonché degli artt. 817-ter e 829 c.p.c., per avere entrambi i giudici del merito erroneamente omesso di riconoscere la competenza arbitrale convenuta tra il X e il A (già soci in affari), avendo gli stessi espressamente stabilito, con scrittura privata, che, in caso di controversia in ordine all’interpretazione e/o all’esecuzione dei loro accordi commerciali (con particolare riguardo alla ripartizione dei rispettivi affari già comuni e alle conseguenti responsabilità convenute), prima di adire l’autorità giudiziaria, si sarebbero rimessi al giudizio di un arbitro amichevole compositore; con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 3 d.lgs. n. 168/2003, per avere la corte territoriale erroneamente omesso di riconoscere la competenza del tribunale delle imprese in relazione al patto parasociale convenuto tra le parti con riferimento alla divisione dei rispettivi affari e alla conseguente ripartizione delle rispettive responsabilità; il primo e il secondo motivo – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono manifestamente infondati; osserva il Collegio come la corte territoriale abbia correttamente escluso il ricorso della competenza arbitrale e di quella del tribunale delle imprese specificamente invocate dall’odierna ricorrente, avendo la stessa sottolineato con puntualità il carattere meramente incidentale dell’accertamento del credito di A nei confronti di X (eventualmente espressione e conseguenza degli accordi commerciali intercorsi tra gli stessi, in ipotesi suscettibili di attivare la competenza arbitrale o del giudice specializzato nei rapporti di impresa) (cfr. sul punto, Sez. 1, Sentenza n. 17257 del 12/07/2013, Rv. 627499 - 01); credito, il cui effettivo ricorso deve ritenersi di per sé estraneo alla cognizione diretta del giudice della revocatoria, potendo quest’ultimo limitarsi, ai fini dell’accoglimento dell’actio pauliana, al solo riscontro di una mera aspettativa di credito o anche di un credito meramente condizionato o contestato, da ritenersi di per sé sufficiente a giustificare l’attivazione in via preventiva dello strumento di conservazione della garanzia patrimoniale assicurata dall’art. 2901 c.c. (cfr., ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 5619 del 22/03/2016, Rv. 639291 - 01); ciò posto, ogni controversia tra X e A avente ad oggetto l’esistenza effettiva del credito del primo (come eventuale risultante dei meccanismi di divisione degli affari tra le parti e della conseguente ripartizione delle rispettive responsabilità) non rappresenta l’oggetto dell’odierna controversia, viceversa correttamente individuato, da entrambi i giudici di merito, dai contenuti dell’azione pauliana esercitata da A per la tutela del relativo (pur meramente contestato o condizionato) credito nei confronti del X; con il terzo e il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2901 e 2745 c.c., nonché per omessa e insufficiente motivazione, per avere la corte territoriale erroneamente riconosciuto l’esistenza di un credito di A nei confronti di X, nonché il ricorso del requisito del c.d. eventus damni a fondamento dell’azione revocatoria oggetto dell’odierno giudizio; entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili; osserva il Collegio come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), la ricorrente si sia sostanzialmente spinta a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall'art. 360 n. 5 c.p.c. (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione; in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un'errata ricognizione della fattispecie concreta (con specifico riferimento all’effettivo ricorso del requisito dell’eventus damni), e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo; nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del terzo motivo d’impugnazione, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti; si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato; ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti; a tale ultimo riguardo, con specifico riferimento al preteso vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, co. 1, n. 6, e 369, co. 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Sez. 2 - , Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018, Rv. 651028 - 01); pertanto, dovendo ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianze della ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all'intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede; sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, (omissis)

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