Restituzione componente tariffaria Servizio Idrico Integrato – referendum 12/13 giugno 2011 – sentenza Consiglio di Stato nr. 3809/2021 – inapplicabilità – Principio del Full cost recovery – metodo del c.d. price cap

22.7.2021 – TAR MARCHE – sent. 593/2021 – Pres. Conti – Est. Capitanio

28/07/2021

Veniva impugnata la deliberazione emessa dall'Assemblea Consortile dell'AATO avente ad oggetto "Delibera AEEG 273/2013 - Restituzione agli utenti finali della componente tariffaria del servizio idrico integrato relativa alla remunerazione del capitale, abrogata in esito al referendum popolare del 12 e 13 giugno 2011, con riferimento al periodo 21 luglio - 31 dicembre 2011 non coperto dal Metodo Tariffario Transitorio - Gestore Aset Spa" e di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali. Si costituiva in giudizio dell’Autorità d'Ambito Territoriale Ottimale n. 1 Marche Nord - Pesaro e Urbino. L’Azienda Servizi sul Territorio di Fano (di seguito solo “A.S.E.T.”), in qualità di gestore del servizio idrico integrato in favore di tre Comuni ricadenti nel territorio provinciale di Pesaro e Urbino, impugna la suddetta deliberazione adottata a seguito dell’intervenuta abrogazione parziale, a seguito del referendum popolare del 2011, dell’art. 154, comma 1, del D.Lgs. n. 152/2006. Come è noto, a seguito della predetta consultazione referendaria dal comma 1 dell’art. 154 è stato espunto l’inciso secondo cui della tariffa del servizio idrico integrato fa parte una quota destinata a remunerare adeguatamente il capitale investito dal gestore. Al fine di dare attuazione all’esito del referendum e tenuto conto che nel frattempo, con D.L. n. 201/2011, le sono state assegnate le competenze in subiecta materia, l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (di seguito “A.E.E.G.”), poi trasformata in Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (A.R.E.R.A.), nel corso del 2012 e del 2013 ha adottato vari atti di regolazione, in particolare per quanto concerne l’individuazione del criterio di determinazione della tariffa nel periodo transitorio che va dal 21 luglio 2011 (data di decorrenza degli effetti dell’abrogazione parziale dell’art. 154) al 31 dicembre 2011 (visto che dal 1° gennaio 2012 ha preso vigore il nuovo Metodo Tariffario Transitorio). A.S.E.T. contesta ad A.A.T.O. non abbia correttamente applicato i principi desumibili dalla delibera n. 273/2013 dell’A.E.E.G. e, nello specifico, quello del full cost recovery (sancito a livello di normativa comunitaria e recepito anche dalla normativa nazionale di rango primario). Il Collegio di primo grado ha ritenuto che “ ….Il ricorso e i motivi aggiunti, per le ragioni che si vanno ad esporre, non sono meritevoli di accoglimento”, articolando la seguente motivazione “ …. Come correttamente esposto dalla società ricorrente, la sentenza del Consiglio di Stato n. 768/2021 non è rilevante nel presente giudizio in quanto le questioni connesse all’oggetto del ricorso proposto da A.S.E.T. non sono state trattate dal giudice amministrativo di appello a seguito della rinuncia ad alcuni motivi articolati nei ricorsi di primo grado decisi dal T.A.R. Lombardia con la sentenza n. 1118/2014 (§ 5 della sentenza n. 768/2021). Al contrario, la successiva sentenza n. 3809/2021 ha esaminato anche i profili che vengono in rilievo nel presente giudizio, per cui il Collegio deve tenere conto di quanto statuito dal Consiglio di Stato. Tuttavia, si devono altresì considerare alcuni aspetti afferenti i procedimenti e gli atti prodromici e consequenziali a quelli impugnati, prontamente evidenziati dalla difesa dell’A.A.T.O….”. Il TAR Marche ha evidenziato che “…. Il T.A.R. Lombardia e il Consiglio di Stato, a differenza di quanto sembra opinare la ricorrente nelle memorie conclusionali, non hanno infatti annullato integralmente la delibera n. 273, tanto è vero che - come ha evidenziato il giudice di secondo grado - il ricorso originario era stato accolto dal T.A.R. lombardo solo in relazione al quantum preteso dal gestore del servizio e non anche in relazione all’an della restituzione delle somme percepite medio tempore in applicazione delle disposizioni abrogate per via referendaria. Come è universalmente riconosciuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina, l’annullamento di un provvedimento che consta di più disposizioni è sempre limitato alle parti dispositive che sono state oggetto di censura e nei limiti delle doglianze condivise dal giudice, e non si estende invece alle parti che non sono state contestate e che possono vivere di vita autonoma. Tornando dunque all’oggetto del giudizio definito dal Consiglio di Stato con la prefata sentenza n. 3809/2021, lo stesso riguardava esclusivamente i costi del capitale che i gestori del servizio idrico, al pari di qualsiasi altro imprenditore, sostengono nella ordinaria attività gestionale. Questa conclusione discende anzitutto dal fatto che il quesito referendario sottoposto a suo tempo al corpo elettorale riguardava unicamente l’inciso dell’art. 154, comma 1, del T.U.A. che parlava “…dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito…”. Ed in effetti, tanto nella sentenza del T.A.R. Lombardia n. 1275/2014 quanto nella sentenza del Consiglio di Stato n. 3809/2021 si rileva che il gestore protagonista di quella vicenda giudiziaria censurava la delibera n. 273 nella parte in cui aveva stabilito l’obbligo a suo carico di restituire agli utenti la componente della tariffa relativa alla “remunerazione del capitale investito” (contestazione relativa all’an), nonché nella parte in cui erano stati determinati i criteri in base ai quali le singole Autorità d’Ambito avrebbero dovuto determinare la somma che ciascun gestore era tenuto a restituire (contestazione relativa al quantum). Sia il T.A.R. che il Consiglio di Stato hanno accolto il ricorso del gestore solo per quanto concerne la contestazione relativa al quantum, e ciò nei seguenti termini: - “…Va invero osservato che, con la deliberazione n. 585 del 2012, l’AEEGSI ha riconosciuto la necessità di copertura dei costi relativi al capitale investito, sia esso capitale di rischio o ovvero capitale preso a prestito. Appare pertanto contraddittorio che di tali costi non si sia tenuto conto nella delibera n. 273 del 2013, considerato che la restituzione dell’intera componente R priva gli operatori non solo della possibilità di conseguire la remunerazione del capitale investito, ma anche della possibilità di conseguire una quota tariffaria correlata al costo del capitale. Sussiste pertanto la violazione del principio del full cost recovery…” (T.A.R. Milano, n. 1275/2014); “…La delibera impugnata, come si è visto, ha previsto la restituzione integrale della remunerazione, al netto dei costi per oneri finanziari, fiscali e degli accantonamenti per svalutazione dei crediti, e non dei costi di capitale ‘proprio’, che dunque non risultano coperti, in contrasto con la direttrice normativa che permea l’intera regolazione dei servizi economici di interesse generale. Questo Consiglio di Stato, con sentenza n. 2481 del 2017, ha statuito che, anche a seguito del referendum abrogativo, la tariffa del servizio idrico deve assicurare l’integrale copertura dei costi di investimento e di esercizio secondo i principi del recupero dei costi, in piena coerenza con quanto disposto dal diritto eurounitario. L’esito referendario è consistito nell’eliminazione della sola quota della componente tariffaria che assicurava, in maniera fissa e predeterminata, la remunerazione netta del capitale investito, e non anche delle quote della componente tariffaria correlate al costo del capitale. La delibera in oggetto finisce così anche per essere irragionevolmente asimmetrica: a parità di investimenti effettuati, impone un maggiore onere di restituzione (derivante dalla possibilità di dedurre una minore entità di oneri finanziari) in capo agli operatori con un livello di patrimonializzazione elevato. 4.5.Neppure è condivisibile la prospettazione per cui la decisione di non riconoscere i costi del capitale ‘proprio’ sarebbe legata alla natura straordinaria ex post dell’intervento di restituzione, in merito al quale non sarebbe utile determinare a posteriori (dunque circa un periodo già decorso) una frontiera efficiente di costi, non potendosi indurre i benefici propri di una regolazione incentivante. Vero è che, in termini generali, l’Autorità deve approntare un meccanismo di regolazione incentivante, in grado cioè di orientare i prezzi verso costi efficienti e di contrastare i comportamenti opportunistici del gestore volti a rimandare la riscossione di proventi tariffari da parte degli utenti (ad esempio, ritardi nell’acquisizione dei dati reali e non tempestiva lettura dei contatori). Tuttavia, non è vero che tale metodologia non fosse trasponibile al caso delle restituzioni. Se il criterio regolatore delle poste da scomputare dalla restituzione era pur sempre il principio del full cost recovery, siccome volto ad assicurare l’equilibrio economico finanziario del gestore, allora dovevano essere ristorati tutti i costi, ivi compresi quelli correlati ai costi relativi al capitale proprio. Il riconoscimento di questi ultimi costi, per il periodo dal 21 luglio al 31 dicembre 2011, era del resto essenzialmente legato a quanto spettante al gestore per le scelte di investimento prese negli anni precedenti. Non vi erano ragioni tecniche che precludessero all’Autorità di determinare con il metodo della prognosi postuma, avuto cioè riguardo alla situazione economica esistente nel momento in cui l’operazione era stata decisa, tenendo conto del livello di rischio e delle aspettative future la copertura dei costi di esercizio ed investimento. In tal senso, correttamente il giudice di primo grado ha rilevato la contraddittorietà tra la delibera n. 273 del 2013 e la deliberazione n. 585 del 2012 (adottata peraltro in data 28 dicembre e dunque anch’essa ad anno concluso), con la quale la stesa Autorità ha riconosciuto la necessità di copertura dei costi relativi al capitale investito, sia esso capitale di rischio o ovvero capitale preso a prestito…” (Cons. Stato, n. 3809/2021). 7.4. Con specifico riguardo alla posizione della odierna ricorrente va inoltre osservato che A.S.E.T.: - non ha impugnato la delibera A.E.E.G. n. 273/2013 (per cui avrebbe potuto giovarsi dell’esito di un giudizio di cui essa non era parte solo se, come chiarito al § 7.2., la delibera A.E.E.G. fosse stata annullata in toto); - aveva impugnato davanti al T.A.R. Milano le successive delibere A.E.E.G. n. 163 e n. 204 del 2014, ma ha successivamente rinunciato al ricorso (iscritto al N.R.G. 1845/2014 del Tribunale lombardo e definito con la sentenza n. 1817/2017). Da ciò consegue che le conclusioni a cui il Consiglio di Stato è pervenuto nella sentenza n. 3809/2021 non sono comunque applicabili alla vicenda che interessa A.S.E.T. 7.5. Nel merito, invece, va osservato che: - la somma di cui la ricorrente lamenta il mancato scomputo dagli importi da restituire agli utenti finali del servizio si riferisce al mancato integrale adeguamento della tariffa a cui A.S.E.T. avrebbe avuto diritto in applicazione del metodo tariffario vigente nel 2010. Infatti, come emerge dalla nota dell’A.A.T.O. prot. n. 145 del 28 febbraio 2013 (doc. allegato n. 1 al deposito del 5 febbraio 2019), il gestore avrebbe avuto diritto per il 2011 ad un incremento dell’11,6%, ma, in applicazione del c.d. price cap, l’incremento fu del 5%, di talché per l’azienda si è determinata una minore copertura dei costi pari a € 665.730; - ma, come eccepito dall’A.A.T.O. e come emerge dalla documentazione da essa depositata il 5 febbraio 2019, A.S.E.T. aveva a suo tempo condiviso il sistema del c.d. price cap, tanto è vero che non ha in alcun modo contestato la quantificazione delle partite pregresse disposta dall’A.A.T.O. con la deliberazione n. 17 del 30 settembre 2014; - ciò è rilevante, in quanto nella sentenza n. 3809/2021 il Consiglio di Stato, prendendo posizione su una specifica questione sollevata dal gestore che era parte di quel giudizio (secondo il quale la delibera n. 273 è illegittima nella parte in cui “ l’Autorità avrebbe previsto la restituzione della remunerazione del capitale investito senza considerare la possibilità di compensare con conguagli a favore del gestore per minor volumi venduti…”), ha evidenziato che “…La definizione dei conguagli per periodi pregressi non spetta all’Autorità, bensì agli Enti di governo d’ambito (secondo le modalità previste dalla deliberazione n. 585 del 2012 e n. 643 del 2013, per i rispettivi periodi di regolazione). Nel caso di specie, la questione delle partite pregresse è stata definita tra l’appellante e l’Ente di governo d’ambito con deliberazione … della Città metropolitana di …, riconoscendo l’esistenza in capo al Gestore di un credito di euro … milioni per le partite pregresse 2007-2009 e di … milioni per le partite pregresse 2010-2011. Nell’ambito delle partite considerate dalla deliberazione n. … vi è anche un conguaglio positivo a favore del Gestore di circa … euro come minor somma da restituire in virtù del referendum…”. Ne consegue che A.S.E.T. avrebbe dovuto impugnare tempestivamente la deliberazione n. 17 del 30 settembre 2014, perché è quello il provvedimento che, disponendo la quantificazione delle partite pregresse, ha regolato contabilmente i rapporti fra A.A.T.O. e gestore anche per il periodo oggetto del presente giudizio; - il meccanismo del c.d. price cap, a quanto risulta dagli atti del giudizio, seppure in vigore dal 1996 (si veda l’art. 5 dell’allegato al D.M. Lavori Pubblici 1° agosto 1996), non è stato mai oggetto di contestazione da parte dei gestori, il che, se fosse fondata la tesi della ricorrente, appare abbastanza singolare in relazione al fatto che tanto la normativa comunitaria quanto quella nazionale si fondano sul principio del full cost recovery. In realtà, come ha chiarito il Consiglio di Stato al § 4.2. della sentenza n. 3809/2021, “…la determinazione delle modalità di copertura dei costi di produzione dei pubblici servizi costituisce uno degli aspetti di maggiore impatto sul piano della garanzia degli equilibri gestionali dell’impresa erogatrice. Se, infatti, non viene remunerata adeguatamente la funzione svolta dall’unità economica il servizio non è in grado di offrire alcuna garanzia di continuità e di sviluppo nel tempo. L’evoluzione normativa dei servizi di interesse economico generale, di cui il servizio idrico integrato costituisce un’ipotesi normativamente qualificata, è il portato del radicale ripensamento teorico, prima ancora che giuridico delle modalità di regolamentazione delle imprese operanti in mercati caratterizzati da limiti alla concorrenza. Si tratta del passaggio da un modello regolatorio che garantiva all’impresa regolata la copertura dei costi effettivamente sostenuti (il cui fallimento è stato comprovato dall’evidenza empirica degli elevati livelli di inefficienza produttiva delle attività remunerate tramite meccanismi di regolamentazione c.d. “cost of service”), ad una forma di regolamentazione, di tipo “incentivante”, dove i ricavi ottenibili dall’impresa regolata non sono direttamente collegati ai costi sostenuti da quest’ultima. La regolamentazione incentivante ha assunto due principali forme: la prima è quella che fissa il livello dei prezzi (o dei ricavi) consentiti all’impresa regolata in relazione a quelli determinatisi nel periodo precedente, con la previsione di un correttivo in funzione dei possibili guadagni di efficienza che si prevede l’impresa regolata possa ottenere (c.d. price cap); la seconda lega invece il livello dei prezzi (o dei ricavi) dell’impresa regolata ad una qualche misura standard dei costi…”. Come si può vedere, dunque, il price cap costituisce uno dei meccanismi fondamentali del vigente sistema regolatorio, improntato ad una filosofia incentivante; - la ricorrente, peraltro, non ha in alcun modo provato che prima dell’abrogazione referendaria parziale del comma 1 dell’art. 154 del D.Lgs. n. 152/2006 gli effetti patrimoniali negativi derivanti dall’applicazione del price cap fossero neutralizzati dalla adeguata remunerazione del capitale investito, per cui anche sotto questo profilo non vi è alcuna correlazione fra le due poste. In ogni caso, come ha puntualizzato il Consiglio di Stato al § 3.5. della sentenza n. 3809/2021, la delibera A.E.E.G. n. 585/2012 prevede pur sempre il riconoscimento in tariffa “…il costo opportunità per l’uso del capitale proprio…” (e ciò in quanto l’abrogazione referendaria ha espunto dall’ordinamento unicamente il tasso fisso e predeterminato di remunerazione del capitale investito dai gestori del servizio); - in ogni caso, come eccepito dall’A.A.T.O. nella memoria difensiva del 21 maggio 2021, la problematica in questione (che riguarda costi operativi e non costi relativi al capitale) è stata trattata dall’Autorità di regolazione non nella delibera n. 273, bensì nella successiva delibera n. 643/2013 (che non risulta essere stata impugnata da A.S.E.T.); - né sussiste alcun difetto di motivazione con riguardo alla scelta dell’A.A.T.O. di applicare nella specie, fra le tre elaborate dagli uffici interni, l’opzione di calcolo n. 2, ossia quella che consente ai gestori di scomputare dalla somma da restituire unicamente gli oneri di cui al punto 2.3. della delibera A.E.E.G. n. 273/2013. Infatti, come risulta dalla relazione istruttoria (allegato n. 2 al ricorso) richiamata nella deliberazione n. 15/2013, in parte qua l’Assemblea d’Ambito ha ritenuto di adottare il medesimo criterio seguito per la determinazione del Metodo Tariffario Transitorio ai sensi della delibera A.E.E.G. n. 585/2012 (deliberazioni nn. 2, 3, 4, 5, 6 e 7 del 30 aprile 2013). E poiché, come detto, A.S.E.T. non ha impugnato la delibera n. 273/2013, non è censurabile l’operato dell’Autorità d’Ambito che ha deciso di applicare i criteri definiti dall’Autorità di regolazione. 8. Per tutte le suesposte ragioni, il ricorso e i motivi aggiunti vanno respinti….”

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