Preliminare di Preliminare di trasferimento immobiliare

Fattispecie – legittimità – diritto al trasferimento ex art. 2932 c.c. – non sussiste – diritto al risarcimento del danno di tipo contrattuale – interesse positivo alla stipula del contratto risarcibilità – misura – sequestro conservativo in corso di lite – presupposti 26.4.2021 – Tribunale di Perugia – ordinanza Est. Contini

10/05/2021

…“1. Con ricorso per sequestro conservativo in corso di causa ritualmente proposto X domanda all’intestato Tribunale il sequestro conservativo di beni di A e B, fino a concorrenza di € __________ a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni affermate su questi gravanti.  Assume, in particolare, la sussistenza del periculum di infruttuosa esecuzione per essere stato il patrimonio immobiliare di A (a differenza del patrimonio di B rimasto invece per espressa ammissione del ricorrente incapiente ed immutato) attinto da iscrizione ipotecaria e per avere lo stesso recentemente stipulato una convenzione urbanistica con il comune di V su alcuni terreni in ordine ai quali, sostiene l’attore, la prefigurata attività immobiliare e la connessa iscrizione di ipoteca volontaria, comporterebbe l’elisione di ogni valore.  In ordine al fumus boni iuris – ripercorse le prospettazioni di parte in ordine alla sussistenza di un obbligo di pagamento o risarcitorio a suo favore come argomentate nel merito – afferma l’attore che sarebbe comunque sussistente quantomeno un diritto di credito per € ________, sia che tale pagamento discenda dalla maggiore somma dovuta in corrispettivo per l’esecuzione coattiva dell’obbligo di contrarre, sia che tale pagamento discenda dal risarcimento del danno.  1.   – Si sono ritualmente costituiti per resistere i convenuti B e A   A sostenendo: a) quanto al periculum, l’insussistenza dello stesso per essere la causa di merito prossima ad essere decisa, per essere stata la causa proposta quali attori dagli odierni resistenti nel cautelare, per non avere alcun rilievo la convenzione urbanistica stipulata dal A; b) quanto al fumus, reiterando le posizioni e ragioni espresse nel giudizio di merito.  2.   – Il ricorso, negato il provvedimento di sequestro inaudita altera parte e ritualmente instaurato il contraddittorio, è stata chiamato per la discussione e riservato per la decisione.  3.   – Giova rammentare che il sequestro conservativo è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, inteso al successivo soddisfacimento di un credito. A norma dell’articolo 2905 c.c., infatti, chi si affermi creditore può chiedere il sequestro conservativo dei beni del debitore secondo le regole del codice di procedura civile. A sua volta, l’articolo 671 c.p.c. dispone che “Il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento”.  Il sequestro conservativo costituisce in questo senso lo strumento per assoggettare ad un vincolo di indisponibilità i beni o parte dei beni del debitore, nelle more del tempo necessario al creditore per munirsi di un titolo esecutivo che gli consenta di aggredire in via esecutiva il patrimonio del debitore, e per garantire cautelativamente la fruttuosità di tale successiva esecuzione. La funzione del provvedimento cautelare, quindi, consiste nel tutelare l’interesse del creditore alla conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore, nei limiti del proprio credito.  È poi noto che i presupposti per la concessione del provvedimento cautelare in parola consistono nella verosimile sussistenza del diritto fatto valere nel giudizio di merito o nel giudizio di cui si prefigura l’instaurazione (c.d. fumus boni iuris) e nel fondato timore del creditore istante di perdere la garanzia patrimoniale, sic est, nella situazione di pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale (c.d. periculum in mora).  Quanto al primo requisito, in ordine al giudizio di probabile o verosimile spettanza del diritto fatto valere, è stato condivisibilmente affermato che “l’emanazione di un provvedimento di sequestro conservativo presuppone la sussistenza sia del periculum in mora e cioè del fondato timore di perdere le garanzie del credito vantato, sia del fumus boni iuris, e cioè di una situazione che consenta di ritenere probabile la fondatezza della pretesa in contestazione, restando riservato al giudice del merito ogni altro accertamento in ordine alla sua effettiva sussistenza e al suo ammontare, con l’ulteriore conseguenza che la carenza soltanto di una delle suddette condizioni impedisce la concessione della misura cautelare” (in questo senso Cass. civ., Sez. III, 26 giugno 1998, n. 6336; Cass. civ., Sez. I, 8 settembre 1997, n. 8729). Si è inoltre sostenuto che “Il requisito del fumus boni iuris, necessario per l’ottenimento del sequestro conservativo, va accertato con un’indagine sommaria, essendo sufficiente a tal fine che risulti l’attualità del credito con riserva per il giudice del merito di ogni altro accertamento in ordine alla sua effettiva consistenza” (Trib. Civitavecchia, 2 marzo 2007).  Quanto al periculum, invece, giova tenere presente che il timore non può dipendere da una mera valutazione soggettiva del richiedente la cautela dovendo invece essere fondato su circostanze obiettive che consentano un giudizio di pericolo reale. E’ stato infatti affermato che “Il pericolo di perdere la garanzia del proprio credito deve essere valutato obiettivamente, non secondo lo stato d’animo del creditore, e deve corrispondere ad una situazione di pericolo reale, in cui si concreti la possibilità che il patrimonio del debitore venga sottratto o diminuito, sì da non soddisfare più la funzione di garanzia assegnatagli dall’art. 2740 c.c.” (Cass. civ., Sez. III, 15 settembre 1970, n. 1448). Il reale pericolo di sottrazione o diminuzione del patrimonio, tale da non soddisfare la funzione di garanzia patrimoniale generica può essere desunto sia da elementi oggettivi che da elementi soggettivi. In questo senso si è ritenuto che “nell’accertamento del periculum in mora il giudice può fare riferimento, alternativamente, tanto a criteri oggettivi (rappresentanti dalla capacità patrimoniale del debitore in relazione all’entità del credito) quanto soggettivi (quali il comportamento – processuale ed extraprocessuale – del debitore che lasci fondatamente temere atti di depauperamento del suo patrimonio senza che le due categorie di presupposti debbano simultaneamente concorrere” (Cass. civ., Sez. II, 26 febbraio 1998, n. 2139; nello stesso senso, Cass. civ., Sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2081). 5.  – Venendo al caso di specie, il ricorso è fondato. 5.1. – Principiando dall’esame del requisito del periculum, deve rilevarsi che fondatamente il ricorrente deduce il rischio di perdere la garanzia patrimoniale generica, atteso che la capacità patrimoniale del debitore si è deteriorata nel tempo.  Giova precisare che nel sequestro conservativo, sotto il profilo del periculum, possono essere dedotte da chi richieda la cautela, diverse situazioni di fatto che fondino il serio timore di perdere la garanzia del credito. Si è detto, infatti, che possono essere dedotte circostanze soggettive, inerenti il comportamento del debitore, quanto circostanze oggettive, inerenti il patrimonio del debitore. Quanto alle prime – che non vengono in rilievo nel caso di specie – è evidente che il ricorrente, oltre ad uno specifico onere di allegazione, è gravato da un più puntuale onere di prova, atteso che pretende tale comportamento far discendere il pericolo di distrazione, depauperamento o, più in generale, sottrazione della garanzia patrimoniale generica: la natura distrattiva o, cumunque, pericolosa dell’atto, parimenti allegata dal ricorrente, potrà essere evinta sia dalla dimensione del residuo patrimonio, sia da massime di comune esperienza che giustifichino la pericolosità del comportamento del debitore che, come, in ipotesi, ha posto in essere un atto depauperativo (o si accinge a porlo in essere) così può compierne altri con sacrificio dell’interesse del creditore alla conservazione della garanzia. Quanto alle circostanze oggettive, si è parimenti ammesso che chi domandi la cautela può allegare anche la sola incapienza del patrimonio del debitore: ebbene, per quanto sia discussa la rilevanza dell’originaria incapienza del debitore al tempo dell’assunzione dell’obbligazione (per quanto l’orientamento che appare più corretto sia quello per il quale rilevi la sopravvenuta incapienza, in ossequio al dato testuale che richiama la perdita di una garanzia che in origine appunto vi era) è invece ferma la sicura rilevanza della sopravvenuta incapienza. In tal caso il ricorrente è onerato, ai fini della valutazione della sussistenza del periculum, di affermare e dimostrare (nei limiti della cognizione sommaria che caratterizza il procedimento cautelare) la circostanza, in ossequio alla regola secondo la quale l’onere della prova (da adempiersi con ogni mezzo previsto dall’ordinamento e, quindi, in primo luogo anche in forza della regola della non contestazione) grava su chi affermi i fatti, temperato, tuttavia, in considerazione della natura della cognizione propria della fase e dei principi generali, dal principio di vicinanza della prova.   Ebbene, fermi tali assunti in punto di diritto, è evidente che nel caso di specie sussiste il periculum.  Afferma, infatti il ricorrente l’incapienza sopravvenuta di uno dei debitori e precisamente del A per essere stato il suo patrimonio attinto da una iscrizione ipotecaria giudiziale.  Il convenuto non nega né il fatto in sé (del resto documentalmente provato) né, in dipendenza da questo, l’incapienza del patrimonio residuo. Tale comportamento processuale è rilevante sul piano dell’allegazione di fatto del ricorrente, dovendosi assumere, alla cognizione sommaria propria della fase, incontestata l’affermazione fatta dal ricorrente. La circostanza, poi, dovrebbe darsi per dimostrata anche sotto altro profilo, atteso che, in forza del principio di vicinanza della prova può ritenersi che, quand’anche avesse negato la circostanza di fatto dell’incapienza del residuo patrimonio, spetti al convenuto in sequestro conservativo nei confronti del quale è fatta l’affermazione di incapienza l’onere di, quantomeno, allegare e documentare la sufficienza del residuo patrimonio.  Ne deriva che, nei confronti di A sussiste il dedotto periculum.  5.1. – Viene quindi in rilievo il fumus boni iuris.  Giova dare atto degli elementi principali della questione di merito e, quindi, della domanda di condanna alla quale il domandato sequestro è preordinato.  L’11 luglio 2011 gli attori della causa di merito A e B inviarono un atto, denominato “proposta irrevocabile di acquisto” per un terreno con annessi fabbricati di proprietà del convenuto X , sito in _____________. Nella predetta scrittura si legge:  -                     che “il prezzo di acquisto proposto è di euro ________ oltre iva (…) pari a _______ euro al metro cubo attualmente consentiti; l’eventuale cubatura in più rispetto ai _______ mc che venisse concessa quale previsione urbanistica per l’immobile in oggetto viene fin da ora valutata per un importo di euro _____ al mc che verranno corrisposti a titolo di conguaglio a favore della parte promittente venditrice al momento dell’atto formale di trasferimento in aggiunta alla cifra già pattuita”;  -                     che “il prezzo offerto all’art. 3 al netto della bonifica che resterà a vostro carico verrà corrisposto con le seguenti modalità: - quanto ad euro _____ contestualmente al contratto preliminare ed a titolo di caparra confirmatoria da stipularsi non prima del 1.1.2014; - quanto ad euro _______ dovranno essere versati contestualmente alla stipula del rogito notarile, da sottoscriversi non oltre il 21.12.2014, all’atto dell’intervenuta bonifica”;  -                     che “la presente proposta resta deve intendersi ferma ed irrevocabile, ai sensi dell’art. 1329, per i prossimi 36 mesi;  X accusava ricevuta della proposta il 14 luglio 2011. Successivamente, con atto di significazione e diffida notificato il 20 giugno 2014 X accettava la proposta irrevocabile, invitando i proponenti alla stipula del contratto preliminare per il 10 luglio 2014 in sede notarile, ove tuttavia A e B non si presentavano.  Successivamente, A e B instauravano la controversia principale, chiedendo in via principale la declaratoria di nullità dell’accordo per difetto di causa e, in subordine, dichiararsi non vincolante l’accordo in quanto espressione di mere puntuazioni tra le parti.  Convenuta in giudizio per la nullità della pattuizione, la X ha formulato domanda riconvenzionale chiedendo: 1) dichiarare la piena efficacia e cogenza dell’accordo stipulato tra le parti, e gli attori inadempienti alle obbligazioni assunte, conseguentemente (lett. c), condannare gli attorei all’adempimento delle obbligazioni assunte “tenuto presente” che  X avrebbe depositato fideiussione bancaria a garanzia della restituzione della caparra e della esecuzione della bonifica;  2) di conseguenza, statuirsi l’obbligo dei convenuti in riconvenzionale di stipulare ex art. 2932 cod. civ. il preliminare come versato in atti nel testo affermato concordato tra le parti, con condanna al versamento della caparra ed autorizzazione a ricevere la fideiussione offerta dal convenuto in riconvenzionale; 3) sempre in conseguenza al punto 1, statuirsi l’obbligo della stessa X attrice in riconvenzionale di provvedere alla esecuzione della bonifica entro 12 mesi dalla ricezione della caparra “con le modalità e i costi previsti nella espletanda CTU tecnica e sotto la direzione lavori del nominando CTU che provvederà altresì al loro collaudo”; 4) in conseguenza del punto 1, 2, e 3, statuire all’esito della bonifica l’obbligo dei convenuti in riconvenzionale di stipulare il contratto definitivo previo pagamento di _______ euro; 5) condannare i convenuti in riconvenzionale al risarcimento del danno da ritardato pagamento oltre al costo ed agli oneri derivanti dal mantenimento della fideiussione bancaria; 6) in subordine, rispetto ai punti ora denominati 1, 2, 3, 4 e 5, dichiarare la stessa convenuta e attrice in riconvenzionale X a mantenere fermo il consenso alla vendita, dispensando gli attori dal versamento della caparra e restando carico della stessa X la bonifica, emettere sentenza ex art. 2932 c.c. che tenga luogo del contratto definitivo di vendita, verso il pagamento di ______ euro; 7) in ulteriore subordine, condannare gli attori al risarcimento del danno cagionato alla convenuta ed attrice in riconvenzionale, per violazione dell’obbligo di correttezza lealtà e buona fede, per somma non inferiore a 700.000 euro di cui 150.000 per spese vive e documentate o in ulteriore subordine a titolo di responsabilità precontrattuale.  Per indagare il fumus boni iuris del proposto sequestro occorre quindi esaminare in primo luogo la validità ed efficacia dell’accordo formato in ragione della proposta irrevocabile seguita dall’accettazione della X.  Assumono gli attori che l’accordo in parola sia da qualificarsi quale preliminare di preliminare, come tale nullo e improduttivo di effetti. Si oppone il convenuto odierno ricorrente, assumendo valido l’accordo e, in prima battuta chiedendone l’esecuzione anche coattiva con più passaggi retti da sentenze costitutive, e in subordine chiedendo il risarcimento del danno per l’inadempimento o comunque il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale.   Ebbene, la Suprema Corte di cassazione, con la nota sentenza a Sezioni Unite del 2015 n. 4628, ha chiarito che l’articolazione di trattative scadenzate da un primo accordo con il quale le parti si intendano per la successiva stipula di un contratto preliminare non è in sé nullo (la nullità, peratro, potendo riguardare semmai il secondo contratto, ripetitivo ed eventualmente inutile) ed anzi può rispondere alle esigenze della contrattazione immobiliare e, in ogni caso, rientra nelle facoltà dell’autonomia privata. I paciscenti, infatti, possono avere le più svariate esigenze concrete che formino il loro interesse a fermare l’affare, prima di addivenire alla stipula del preliminare vero e proprio. La Corte, all’esito di ampio ragionamento, ha in particolare affermato che “In presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex artt. 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. Riterrà produttivo di effetti l'accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell'interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale” Ne deriva che, in presenza di un c.d. preliminare di preliminare occorre, in primo luogo verificare se lo stesso è giustificato – sul piano della causa concreta – da un interesse delle parti alla formazione progressiva del consenso e, se tale valutazione dà esito positivo, ritenere valido il contratto e indagare se detto contratto è suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. o ne conseguano esclusivamente effetti obbligatori.  Orbene, è evidente nel caso di specie che le parti hanno voluto una formazione progressiva del consenso – in parte anche esplicitandone le ragioni – correlando l’andamento della contrattazione quantomeno ai tempi delle variazioni urbanistiche.  L’interesse all’assunzione di un vincolo progressivamente cogente nel tempo emerge sia dalla stessa proposta irrevocabile (che reca un termine di efficacia a 36 mesi), sia dall’accordo stipulato in esito all’accettazione, che articola un concreto meccanismo di differimento della stipula del preliminare e del definitivo. In particolare, deve osservarsi, il preliminare formato (con l’accettazione della proposta) condiziona la stipula del definitivo alla effettiva esecuzione della bonifica individuando un termine annuale per la realizzazione.  Ne deriva che, alla cognizione sommaria propria della presente fase, il contratto stipulato in esito di proposta irrevocabile ed accettazione appare valido e vincolante tra le parti, in quanto espressione di autonomia privata e rispondente ad un effettivo interesse alla scansione temporale di una negoziazione indubbiamente complessa.  Fermo quindi che il contratto stipulato in esito all’accettazione della proposta irrevocabile non appare nullo, ai fini cautelari che vengono in rilievo occorre determinare le conseguenze in ordine al fumus boni iuris della pretesa conseguenziale.  Orbene, giova osservare che assunto come valido il contratto, si pone il problema di individuare quali siano state le conseguenze giuridiche del fatto dell’inadempimento. Deve innanzi tutto rilevarsi che, alla cognizione sommaria della presente fase, sembra del tutto ragionevole rilevare la non eseguibilità in forma specifica del contratto stipulato.  Il tenore specifico del contratto stipulato per scambio di proposta e accettazione implica infatti che la stipula del successivo preliminare non sia immediatamente coercibile, atteso che la volontà delle parti ha sì dettato un insieme di regole che avrebbero dovuto individuare il preliminare, ma ha altresì previsto alcune condizioni che, per la loro complessità, non potevano e non possono che essere rimesse alla libera pattuizione delle parti, cosicchè il contenuto del preliminare non può essere surrogato dalla pronuncia dell’autorità giudiziaria.  E infatti, sembra sufficiente notare che in primo luogo l’obbligo, in capo a X di eseguire la bonifica del sito a propria cura e spese è adempimento di centrale rilevanza nel prefigurato preliminare e, nell’accordo effettivamente intercorso è invece caratterizzato da tale genericità – nei tempi e modi, e nelle conseguenze del mancato adempimento anche in termini di tempi necessari all’esecuzione – da non poter essere trasfuso in una sentenza che tenga luogo di contratto. La sentenza, infatti, in difetto di accordo delle parti, non potrebbe regolare ampiezza dell’obbligo, tempi di esecuzione e conseguenze dell’inadempimento (ad es. lascerebbe il compratore privo di tutele per il ritardo dell’adempimento, non potendo il giudice inserire clausole penali per tardivo adempimento). Che la bonifica sia determinante nell’ottica delle parti emerge, infatti, dallo stesso tenore del contratto formato per scambio di proposta e accettazione, dove si evince con assoluta chiarezza che il preliminare avrebbe dovuto progettare un definitivo da stipularsi esclusivamente dopo l’avvenuta bonifica.  Orbene, come ammette anche il convenuto X – specie con la formulazione delle conclusioni della domanda riconvenzionale – è evidente che la bonifica può comportare tali e tante divergenze tra le parti che il regolamento di interessi versato preliminare non poteva che tenerne conto e dettare una disciplina: tale disciplina specifica è insuscettibile di essere surrogata dalla sentenza.  Allo stesso modo, altra questione di rilevanza determinante per le parti nella stipulazione del preliminare era il regolamento delle vicende urbanistiche del sito: è chiaro che, infatti, per il regolamento dei privati interessi sottostanti non basti la mera previsione di un incremento di prezzo per il caso di aumento di cubatura riconosciuta dall’autorità amministrativa, dovendosi invece predisporre le pattuizioni necessarie a regolare i rapporti in caso di diversi esiti del procedimento amministrativo di cui, nell’accordo raggiunto per scambio di proposta e accettazione, si dà atto dell’esistenza e della rilevanza.  E, infatti, su entrambi i profili ora richiamati – e più in generale in ordine alla eseguibilità in forma specifica del preventivo – non è privo di rilevanza che la bozza di contratto preliminare che X ebbe a notificare alla controparte ai fini della sottoscrizione in esecuzione dell’accordo derivante da scambio di proposta e accettazione, per un verso detti concreta disciplina in ordine alla garanzia della sola restituzione della caparra (prevedendo una fideiussione a prima richiesta) e, poi, sia ampiamente incentrata sull’esito del procedimento urbanistico (v. in particolare l’art. 11 che detta ampia regolamentazione sul punto) e, sotto ulteriore ed altro profilo, disciplini dettagliatamente ulteriori aspetti e in particolare l’edificazione di un ulteriore manufatto a carico dell’acquirente su rata di terreno che sarebbe rimasta in proprietà del venditore X e la continuazione dell’attività commerciale della stessa X. È quindi evidente che la stipulazione del preliminare necessitava di specificazioni e regolamentazioni (del resto rispondenti esattamente all’interesse a procedimentalizzare la negoziazione) ulteriori rispetto a quanto già pattuito per scambio di proposta e accettazione, cosicchè detto primo accordo è incoercibile nelle forme dell’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. E del resto, se si legge la vicenda secondo la prospettazione del convenuto e attore in riconvenzionale, egli afferma che detta bozza di preliminare sia stata negoziata tra le parti: in questa ottica, allo stato degli atti e alla luce della cognizione sommaria propria del cautelare, tale fatto non potrebbe che rilevare anche quale comportamento delle parti successivo alla stipulazione (del primo contratto) e, quindi, illuminare la volontà delle parti nella stipula (del primo contratto) ai fini dell’intepretazione soggettiva prevista dall’art. 1362 cod. civ.. Ne discenderebbe, anche sotto questo profilo, che le parti, quando hanno stipulato il primo contratto escludevano l’eseguibilità in forma specifica dello stesso, essendo ben consapevoli dell’esigenza, nella formazione progressiva del definitivo, di ulteriori pattuizioni nel preliminare.  Ciò detto, quindi, deve ritenersi che l’accordo formato per incontro di proposta irrevocabile ed accettazione (il c.d. primo contratto) sia vincolante tra le parti ma non eseguibile in forma specifica.  Ne deriva che il contraente inadempiente deve risarcire il danno derivante dall’inadempimento.  La Suprema Corte, come si è detto, infatti, evidenzia, del tutto condivisibilmente, che la responsabilità del contraente inadempiente è di tipo contrattuale, per non aver adempiuto alle obbligazioni nascenti dal c.d. preliminare di preliminare, cioè nel caso oggi all’esame, per non aver adempiuto al contratto nascente da incontro di proposta e accettazione.  Orbene, dal mancato adempimento della promessa di stipulare il preliminare X ha subito certamente un danno che si sostanzia nell’interesse positivo alla stipula, e non già nell’interesse negativo a non essere coinvolto in trattative inutili. È infatti dirimente in questo senso la circostanza per la quale – a seguito della stipulazione del primo contratto – il contraente era tenuto a stipulare, cioè a contrattare in buona fede le condizioni del preliminare ed è a questo obbligo che è venuto meno.  In questo senso, come non è venuto meno all’obbligo di stipulare il definitivo (obbligo che non aveva assunto, avendo invece assunto immediatamente l’obbligo di stipulare il preliminare e, solo successivamente, di stipulare il definitivo) deve rispondere del fatto di non aver stipulato il preliminare, e delle conseguenze in punto di danno emergente e lucro cessante da ciò derivante.  Ora, quale danno emergente, non potrebbe che individuarsi la somma che alla stipula del preliminare X avrebbe incassato a titolo di caparra confirmatoria e dal quale versamento A e B si sono inopinatamente sottratti, senza neppure addurre giustificazione dell’inadempimento. Né a ben vedere la circostanza per la quale il denaro appariva latu sensu funzionale all’esecuzione della bonifica appare rilevante, atteso che tale circostanza non è dedotta in contratto come causale rispetto alla dazione della somma (che anzi è espressamente qualificata come caparra confirmatoria). Del resto, ove la bonifica non fosse stata eseguita – e quindi X fosse stato inadempiente – i A e B avrebbero avuto diritto al doppio della caparra versata.  Allo stato della cognizione propria della presente fase, quindi, appare ragionevole riconoscere che, nel caso di contratto preliminare di preliminare rimasto inadempiuto per fatto di una parte, ove non sia possibile l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c, la parte inadempiente sia tenuta a risarcire il danno nella misura delle conseguenze dannose effettivamente causate alla controparte.  Nel caso in cui nel preliminare di preliminare sia stata pattuita la successiva dazione di una somma a titolo di caparra confirmatoria (e non di acconto sul prezzo) la misura del danno emergente, pertanto, è da individuarsi nella misura della caparra prefigurata, che individua l’esatto ammontare della somma che il contraente adempiente avrebbe incassato alla stipula del successivo accordo.  È solo il caso di precisare che, chiaramente, la somma in questione, per il caso di condanna in sede di merito, non avrebbe la natura di caparra confirmatoria, bensì la natura di risarcimento del danno, stante come si è detto l’ineseguibilità in forma specifica dell’accordo a suo tempo stipulato.  Anche a voler diversamente opinare – e cioè, a voler ritenere che la pattuita futura qualificazione della somma in termini di caparra osti al riconoscimento della stessa quale posta del danno emergente in capo alla parte non inadempiente del preliminare di preliminare – deve poi ritenersi che in ogni caso le parti con tale pattuizione avevano progettato ed invidiato, di comune accordo, una misura convenzionale e predeterminata del danno derivante dal fallimento dell’affare.  È, cioè evidente, che con l’accordo stipulato le parti avevano affermato che, nel caso di inadempimento il danno sarebbe stato forfettariamente determinato quantomeno nell’importo di 600.000 euro. Ora, la mancata dazione della caparra impedisce certamente di farne valere gli effetti sul piano della disciplina (ed in particolare impedisce a X di chiederne il doppio, atteso che la caparra non è stata data) ma individua, comunque, la somma a cui le parti – che si sono inequivocabilmente intese in tal senso – ragguagliavano forfettariamente la misura dei danni derivanti dall’inadempimento.   Ne deriva che, a tutto voler concedere, ritenuto certo l’an del danno, anche su un piano di individuazione equitativa del quantum del risarcimento dovuto per l’inadempimento agli obblighi assunti con la proposta irrevocabile accettata e fermo che deve individuarsi il risarcimento di interesse positivo e non già dell’interesse negativo, può utilmente farsi riferimento alla volontà espressa dalle parti e, quindi, commisurare in 600.000 euro l’importo probabilmente dovuto nel merito dall’inadempiente. È invero poi non individuabile il lucro cessante derivante dalla mancata stipulazione del preliminare: è infatti evidente che, come si è detto, chi si era impegnato per una complessa operazione procedimentalizzata, che presupponeva passaggi intermedi, risponde immediatamente e contrattualmente solo per l’inadempimento al primo “passaggio” rimasto inadempiuto, non avendo assunto l’obbligo di portare a termine integralmente l’operazione bensì di portarla a termine secondo un programma che non si è verificato e, per altro verso, che non è allegato e dimostrato che la mancata stipulazione del preliminare abbia comportato, si badi, in sé, la perdita di ulteriori occasioni di guadagno.  In altri termini, il lucro cessante, quale posta patrimoniale corrispondente al mancato guadagno derivante da un fatto di inadempimento deve essere guardata alla luce del fatto di inadempimento riscontrato: ora, poiché si è detto che l’inadempimento è al contratto formato come incontro di proposta irrevocabile e accettazione, è all’inadempimento dell’obbligo di stipulare il preliminare ivi contenuto che occorre guardare per individuare quale lucro abbia perso X, e non già al diverso lucro che avrebbe perso ove non fosse stato stipulato il definitivo, dopo la stipula del preliminare.  In questa ottica, è chiaro che X avrebbe dovuto allegare e dimostrare di avere altri clienti pronti a stipulare una vendita o un preliminare, al fine di lamentare il danno sub specie di lucro cessante in dipendenza dalla mancata stipula del preliminare.  Né sembrano allo stato rilevanti ai fini della determinazione del danno da inadempimento contrattuale all’accordo stipulato, le somme affermate spese dal convenuto in data precedente la stipula e cioè in data precedente al 20 giugno 2014, data della notifica della accettazione della proposta irrevocabile.  È infatti dubbio che il contraente possa imputare alla controparte, quantomeno su un piano di responsabilità contrattuale da inadempimento, quale conseguenza dell’inadempimento, l’aver sostenuto spese per la variazione urbanistica (e le altre spese precedenti alla stipulazione del contratto): infatti, nel caso di specie può dubitarsi che le spese sostenute per conseguire una migliore o diversa regolazione urbanistica dell’area (cioè sostenute per ottenere il piano attuativo) siano state sostenute a causa, immediata e diretta, della stipulazione avvenuta il 20 giungo 2014 e rimasta inadempiuta per la assorbente ed evidente ragione che il promissario venditore aveva titolo per conseguire la vendita senza sopportare alcun onere: in altri termini, ben potendo il venditore semplicemente accettare la proposta irrevocabile (che non era condizionata all’ottenimento del piano attuativo), non si vede come possa imputare al promissario acquirente i costi per ottenere il piano attuativo. Ne deriva che, alla luce delle considerazioni ora espresse sussiste il fumus del richiesto sequestro nei limiti di euro ________. Trattandosi di posta risarcitoria, spettano altresì interessi e rivalutazioni, computati dal 10 luglio 2014, per complessivi euro_______, in ogni caso entro i limiti della domanda.  6.                  – In definitiva, pertanto, il ricorso è fondato nei confronti di uno degli affermati debitori solidali e merita accoglimento come in dispositivo.  7.                  – Le spese devono essere regolate al merito, trattandosi di provvedimento in corso di causa.  P.Q.M. Il Tribunale ordinario di Perugia, rigettata ogni contraria istanza o eccezione, visto l’articolo 671 cod. proc. civ., così provvede sul ricorso in epigrafe: -                     autorizza il sequestro conservativo di beni mobili e immobili di A fino a concorrenza di euro __________; (omissis)     

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