Incidente stradale – Concorso di colpa dell’investito – rilevanza - criteri – danno immateriale liquidato ai congiunti della vittima deceduta.

29.10.2020 – Corte App. Ancona – Sent. 1128/2020 Pres. Formiconi Est. Bora

29/10/2020

(omissis) …

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1-) Gli attori, odierni appellati – A, B, C, D, E, F, G, H - hanno citato innanzi al Tribunale di Pesaro V, Z e la Società Assicuratrice al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito al decesso del loro congiunto, I, verificatosi a causa delle gravi lesioni riportate dal medesimo in occasione dell’incidente stradale avvenuto il 22.8.2009, nel comune di Pesaro; con la sentenza n. 150/2014 il Tribunale adito, all’esito della attività istruttoria consistita nella produzione di documenti e nell’espletamento di CTU e di prova orale, ha dichiarato la esclusiva responsabilità, nella causazione del sinistro, di V, conducente del veicolo di proprietà di S, assicurato con la Compagnia Assicuratrice, e ha condannato i convenuti in solido al risarcimento dei danni nonché alla refusione delle spese di lite in favore degli attori. Ha proposto appello avverso la citata sentenza la Compagnia Assicuratrice per i motivi di seguito sintetizzati. Con il primo motivo di gravame l’appellante ha, anzitutto, lamentato l’erroneità della sentenza impugnata nel punto in cui il Tribunale di Pesaro ha fatto discendere dalla sentenza di cui all’art.444 c.p.p. la prova della ammissione di responsabilità da parte dell’imputato e ha ritenuto che tale prova sia utilizzabile nel procedimento civile. In secondo luogo la appellante, con il medesimo motivo, ha censurato la sentenza nella parte in cui il Tribunale ha attribuito l’esclusiva responsabilità del sinistro a V, perché il primo giudice avrebbe omesso di prendere in esame tutte le risultanze istruttorie, incorrendo in errori di motivazione: ad avviso dell’appellante, l’integrale e corretto esame degli elementi di prova emersi nel corso del giudizio avrebbe evidenziato un concorso di colpa di I (e conseguentemente avrebbe dovuto indurre il Tribunale ad una diversa conclusione in ordine all’accertamento della responsabilità del sinistro), avendo quest’ultimo compiuto un manovra di immissione nel flusso della circolazione senza avvalersi della corsia di canalizzazione, in un tratto di strada non sufficientemente illuminato, ed avendo il medesimo violato l’obbligo di mantenere la destra del proprio senso di marcia, tenendosi a m. 1,80 dal margine destro della carreggiata. Con il secondo motivo di impugnazione, la difesa di parte appellante ha censurato la quantificazione del danno operata dal primo giudice rilevando l’omesso e/o parziale esame delle risultanze istruttorie e dei documenti di causa nonché la errata ed illogica motivazione nel punto della sentenza in cui il Tribunale di Pesaro ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ai nonni non conviventi e allo zio della vittima, e ha applicato, per tutti, i valori vicini ai massimi delle tabelle (elaborate dal Tribunale di Milano) utilizzate ai fini della decisione. L’appellante ha quindi chiesto la riforma della sentenza impugnata e, conseguentemente, in accoglimento dei motivi di gravame, di accertare il concorso di colpa di I e di rideterminare le somme dovute a titolo di risarcimento del danno, con condanna delle controparti alla restituzione delle somme versare in eccesso oltre interessi e con vittoria di spese. Si sono costituiti gli appellati A, B, C, D, E, F, G, H, contestando integralmente tutti i motivi di appello, chiedendo la reiezione della impugnazione e la conferma della sentenza appellata. Respinta l’istanza diretta ad ottenere la sospensione della efficacia esecutiva della sentenza di primo grado e disposta la integrazione del contraddittorio nei confronti di V e Z (contumaci nel giudizio di primo grado), la causa è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni trascritte in epigrafe assegnando i termini di cui all’art. 190 c.p.c. 2-) Va preliminarmente dichiarata la contumacia di V e Z, non costituitisi nel presente procedimento in grado di appello in seguito alla integrazione del contraddittorio. 3-) Nel merito l’appello è infondato. 3-A) Quanto al primo motivo di gravame, corretta è la statuizione del primo giudice in punto di responsabilità. Invero va anzitutto osservato che non è condivisibile l’assunto difensivo dell’appellante in base al quale il Tribunale avrebbe fatto discendere la prova della ammissione di responsabilità, da parte del V, dalla pronuncia emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. a carico del medesimo. A tale riguardo va rilevato che l’orientamento ormai consolidatosi della giurisprudenza di legittimità riconosce alla sentenza di patteggiamento la natura di elemento di convincimento, apprezzabile dal giudice unitamente ad altri elementi di prova, senza che possa viceversa in nessun caso determinare un'inversione dell'onere della prova (v., in punto di onere della prova nel rapporto fra giudizio penale e giudizio civile, Cass. n. 25918/2019; Cass. n. 30311/2019; sul punto, recentemente, ord. Cass. 11.3.2020 n. 7014, secondo la quale "(a) la sentenza penale di patteggiamento nel giudizio civile di risarcimento e restituzione non ha efficacia di vincolo, non ha efficacia di giudicato, e non inverte l'onere della prova; (b) la sentenza penale di patteggiamento per il giudice civile non è un atto, ma un fatto; e come qualsiasi altro fatto del mondo reale può costituire un indizio, utilizzabile solo insieme ad altri indizi e se ricorrono i tre requisiti di cui all'art. 2729 c.c."). Il Tribunale di Pesaro si è uniformato a tali principi emergendo dal contenuto di sentenza impugnata che la pronuncia di patteggiamento non ha rappresentato l’elemento esclusivo in base al quale è stata accertata responsabilità del V, ma è stata richiamata come elemento di prova che, insieme alle altre risultanze istruttorie, complessivamente valutate (accertamenti tecnici compiuti in sede penale e CTU cinematica espletata in sede civile), ha portato ad affermare responsabilità del solo V e ad escludere profili di colpa concorrente nella condotta di guida di I. Ciò chiarito si rileva che le altre argomentazioni svolte dall’appellante - finalizzate a valorizzare elementi che non sarebbero stati tenuti in considerazione o comunque adeguatamente valutati dal primo giudice – non inducono a pervenire ad una diversa conclusione in merito all’accertamento della responsabilità del sinistro. Va anzitutto osservato che – come chiarito dalla Suprema Corte – in base all’art. 149 C.d.S., comma 1 il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l'arresto tempestivo del mezzo, evitando collisioni con quello che precede, per cui l'avvenuto tamponamento pone a carico del conducente medesimo una presunzione "de facto" di inosservanza della distanza di sicurezza; ne consegue che, esclusa l'applicabilità della presunzione di pari colpa di cui all’art. 2054 c.c. comma 2, egli resta gravato dall'onere di dare la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto dell'automezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili (così, tra le altre, Cass. n.6193/2014). Se è vero che, come è stato precisato, la presunzione “de facto” di mancato rispetto della distanza di sicurezza viene meno nel caso del tamponamento in danno di un veicolo che costituisca un ostacolo imprevedibile e anomalo al normale andamento della circolazione stradale e che anche nelle ipotesi di collisione da tergo deve essere valutata in modo comparativo la condotta di entrambi i conducenti, con la conseguenza che l'obbligo di rispettare la distanza di sicurezza deve essere calcolato in previsione della normale marcia dei veicoli e non di improvvisi, anomali ed imprevedibili ostacoli, è pur vero che spetta al conducente del veicolo che si trova a marciare dietro quello che viene investito dare la prova della sussistenza di situazioni quali quelle suddette, idonee ad escludere la presunzione di colpa dell’art. 149 c.d.s. ed a comportare, quanto meno, un concorso di colpa nella causazione del sinistro da parte dei soggetti in esso coinvolti (Cass. n. 20916/2016). Nella fattispecie de qua, deve ritenersi accertata la dinamica del sinistro sulla base delle risultanze della CTU espletata nel corso del giudizio di primo grado (relazione ed integrazione alla bozza inviata alle parti dell’Ing. Y) e della perizia svolta dal consulente del P.M. (Ing. X) nel corso delle indagini: la stessa parte appellante non ha, infatti, contestato la ricostruzione della dinamica come descritta nelle relazioni dei predetti consulenti e poste a fondamento della decisione del Tribunale, avendo invece valorizzato alcuni aspetti in ordine alla condotta di guida di I al fine di evidenziare il concorso di colpa. Pertanto si ritiene accertato, come rilevato dal CTU Ing. Y, che alle 22,15 circa del 28.8.2009 I, alla guida di un velocipede - in compagnia del fratello C e dell’amico J, che marciavano alla guida delle rispettive biciclette – provenendo da una strada laterale (Via Cimarosa), ha impegnato un’area di intersezione con la strada principale (Via Solferino), svoltando a sinistra per dirigersi verso il centro abitato di Pesaro: è stato accertato dal CTU che, nell’effettuare tale manovra, i ciclisti hanno omesso di percorrere la corsia di canalizzazione centrale e hanno attraversato la doppia linea continua che la delimitava a destra e, raggiunta la corsia di marcia su Via Solferino, l’hanno percorsa per circa 50 m., quando, dopo circa 12 secondi dal superamento della doppia linea continua, I è stato violentemente tamponato dall’autovettura condotta da V, sopraggiungente da tergo ad una velocità di circa 80 Km/h. Dagli accertamenti svolti dall’Ing. Y, anche sulla base di quelli effettuati dalla Polizia Stradale (intervenuta subito dopo il sinistro per eseguire i necessari rilievi), è emerso altresì che: l’urto si è concretizzato tra la parte centrale dell’auto e la ruota posteriore del velocipede, a circa m. 1,80 dal margine destro della carreggiata (rispetto alla direzione di marcia dei mezzi coinvolti); dopo l’impatto, il corpo di I “giunse a frantumare il parabrezza e a deformare in maniera vistosa sia il tetto dell’ATV sia la robusta traversa del ‘vetro’; fu poi sicuramente lanciato in avanti e verso l’alto, trovando quiete a 42 metri di distanza dal P.P.U”; prima dell’incidente V aveva assunto sostanze stupefacenti (art. 187 c.d.s); lungo il tratto di strada ove si è verificato il sinistro era vigente il limite di velocità di 50Km/h e la illuminazione era scarsa (la strada era “quasi buia”, per la presenza di un “lampione spento ed uno coperto dai rami di un pino”, come indicato nel rapporto della Polizia Stradale). Gli elementi oggettivi sopra descritti inducono ad escludere che le circostanze evidenziate dall’appellante assumano decisivo rilievo ai fini del ritenuto concorso di colpa della vittima. Invero in primo luogo va rilevato che il tempo trascorso tra la immissione (già ultimata al momento dell’urto tra i due mezzi) e l’impatto, avvenuto quando il ciclista aveva percorso diversi metri, inducono a ritenere che le modalità di immissione nella Via Solferino da parte del gruppo di biciclette - effettuata omettendo di percorrere la corsia di canalizzazione centrale ed attraversando immediatamente la linea continua - non abbiano influito sulla dinamica del sinistro. Infatti, come chiarito dal CTU, si è trattato “di un vero e proprio tamponamento assiale nei confronti di un ciclista che, da circa 11 secondi (e 50 metri), marciava parallelo all’asse stradale, ignaro della propria sorte” (pag. 25): in considerazione di ciò, poiché l’investimento si è verificato quando il ciclista aveva già ultimato la immissione e stava viaggiando lungo la carreggiata, deve escludersi che egli abbia rappresentato un ostacolo improvviso alla circolazione della autovettura e quindi che le modalità di immissione abbiano avuto una incidenza causalmente rilevante, così come precisato dal CTU - con argomentazioni convincenti e logiche che, pertanto, la Corte condivide – il quale ha affermato che, “E’ doveroso sottolineare immediatamente come non vi sia alcun nesso causale o concausale tra l’infrazione commessa ed il sinistro perché, nella fenomenologia infortunistica, un simile intervallo di spazio/tempo elimina ogni relazione tra i due eventi” (pag.24 della relazione); tale conclusione, del resto, risulta conforme a quanto già accertato in sede penale dall’Ing. X il quale ha, tra l’altro, rilevato che l’immissione dei ciclisti, pur se eseguita senza rispettare la segnaletica orizzontale, “non ha alcun concorso causale con il fatto” (pag. 11 della relazione). Pertanto, pur tenendo in considerazione la infrazione attribuita a I, evidenziata dall’appellante, va rilevato – come già osservato dal Tribunale – che la stessa, in base agli accertamenti svolti sia in sede penale che in sede civile, non ha avuto alcuna efficacia causale o concausale, nella produzione del sinistro di cui si tratta. Parimenti irrilevante, al fine di ridurre la responsabilità del V, è la circostanza concernente la scarsa illuminazione del tratto di strada sia perché tale situazione è tale da imporre una maggiore prudenza e attenzione nella guida (soprattutto in ora notturna - quando la visibilità è minore - in condizioni di “traffico intenso” – come indicato nel rapporto – e lungo una strada che, come risulta pacificamente dai rilevi tecnici, conduce al centro abitato di una città ed è quindi più frequentata da veicoli, comprese le biciclette), sia perché il velocipede della vittima poteva essere avvistato in quanto, come accertato dal CTU, dotato dei catarifrangenti gialli sui pedali e visibile da circa 50 m. grazie ai proiettori dell’auto (pagg. 20-21 della relazione): nonostante ciò, come si evince dalla CTU, il V, a causa della eccessiva velocità tenuta e del suo stato (guidava sotto l’effetto di sostanze stupefacenti che verosimilmente hanno influito sul tempo di reazione, elementi questi mai contestati nel corso degli accertamenti tecnici e non specificamente censurati dall’appellante), una volta giunto alla distanza che gli avrebbe permesso di vedere la bicicletta (illuminata dagli anabbaglianti), non è stato in grado di evitare il tamponamento, circostanza questa confermata, in base alla ricostruzione del CTU, non contestata, dalle modalità dell’urto e dalle fase immediatamente successive (“in effetti il V solo dopo l’impatto deviò leggermente verso sinistra, forse più per istinto che per reale volontà elusiva, avendo già imbarcato il povero ciclista”, pag. 21 della relazione). In merito alla posizione della bicicletta al momento dell’impatto se è vero che la stessa non teneva strettamente la destra, ma procedeva a distanza di circa m. 1,80 dal margine della carreggiata e, quindi, pressoché al centro della corsia di marcia (in quel punto larga m. 3,90, come accertato dal CTU, pag. 26 della relazione), si ritiene, come sostenuto dal giudice di primo grado, che tale infrazione non sia tale da comportare un concorso di colpa, neppure in misura minima, della vittima. Invero, come si è detto in precedenza, le condizioni di visibilità erano tali da permettere un tempestivo avvistamento della bicicletta e, quindi, l’esecuzione di manovre idonee ad evitare il tamponamento; inoltre, come chiarito dal CTU (pag. 8 della integrazione), rispondendo alle osservazioni del consulente di parte, “alla base del sinistro vi furono sia la velocità elevata sia il ritardo di reazione, al quale va attribuita l’erosione di tutto lo spazio frapposto, al momento della possibile percezione, tra il V e la vittima”. In tale contesto le cause esclusive del sinistro vanno individuate nella grave condotta di guida del V, risultando irrilevante la posizione nella carreggiata della biciletta, atteso che il primo, pur trovandosi in posizione tale da permettere l’avvistamento del ciclista, non è stato in grado di porre in essere manovre idonee ad evitare l’impatto, sia per la eccessiva velocità (80 Km/h), notevolmente superiore al limite prescritto (50 Km/h) e comunque non adeguata allo stato dei luoghi (ora notturna e traffico), sia per le condizioni personali ricollegabili all’effetto di sostanze stupefacenti che hanno rallentato i tempi di reazione al momento in cui (a distanza di circa 50 m.) il ciclista era visibile; in ogni caso, considerati lo stato dei luoghi (strada rettilinea) e le condizioni di visibilità di cui si è detto, va aggiunto che maggiore attenzione e prudenza nella guida avrebbero permesso al V di accorgersi della bicicletta che stava viaggiando lungo la strada, di rallentare l’andatura e di evitare il tamponamento. In tale contesto non è ravvisabile alcuna efficienza causale della condotta della vittima poiché la biciletta, pur trovandosi al centro della corsia di marcia, non ha costituito ostacolo alla circolazione dell’autovettura. Per le considerazioni svolte il primo motivo di impugnazione va respinto. 3-B) Alla medesima conclusione deve pervenirsi in merito al secondo motivo concernente la entità della somma liquidata a titolo di risarcimento come di seguito indicato: €. 300.000,00, ciascuno, a favore dei genitori di I; €. 130.000,00 per ognuno dei quattro nonni; €. 130.000,00 a favore del fratello, C; €. 40.000,00 in favore dello zio, H. Ad avviso dell’appellante le circostanze e gli elementi indicati dal Tribunale, relativi ai rapporti esistenti tra le predette parti e la vittima, non giustificherebbero il risarcimento nella misura indicata, vicina al massimo dei valori riportati nelle tabelle del Tribunale di Milano (poste a fondamento della decisione) che, peraltro, non prevedono un diritto risarcitorio a favore dello zio della vittima il quale sarebbe privo di legittimazione attiva, essendo questa ravvisabile in capo ai parenti qualificabili “come immediati congiunti e cioè, oltre al coniuge, tutti i parenti di primo grado (genitori, figli e fratelli)”; secondo la appellante il completo esame delle risultanze istruttorie e la corretta applicazione delle tabelle di liquidazione applicate dal Giudice di primo grado, nonché la valutazione della assenza di radicali cambiamenti dello stile di vita degli odierni appellati, della concreta relazione affettiva degli stessi con I, del fatto che quest’ultimo, da oltre un anno, non conviveva più con i genitori, ma si era trasferito, per motivi di lavoro, a Pesaro ove abitava con i nonni materni e con lo zio, mentre non aveva mai convissuto con i nonni paterni, avrebbero dovuto portare al riconoscimento di somme sensibilmente inferiori rispetto a quelle liquidate. Con particolare riferimento alla entità del danno non patrimoniale liquidato ai genitori, si ritiene che il pregiudizio subito da questi ultimi sia particolarmente intenso, sotto il profilo morale ed esistenziale, avuto riguardo alla giovane età degli stessi (52 e 44 anni) e del figlio deceduto (quasi 21 anni) all’epoca del fatto, alla tragicità dell’evento che ha provocato la morte improvvisa e prematura del ragazzo, all’inevitabile turbamento determinato dalla perdita del figlio, al legame esistente tra gli stessi e all'intenso rapporto affettivo - che non possono ritenersi attenuati in seguito al venir meno della convivenza, tenuto presente che, da quando I si era trasferito a Pesaro (oltre un anno, come dedotto dalla stessa appellante), aveva mantenuto stretti rapporti con i genitori sia per i frequenti viaggi del I a _________ (RM) ove vivono i genitori sia per le frequenti visite dei genitori al figlio a Pesaro sia per i contatti telefonici e via computer che I aveva con i genitori (circostanze accertate dal Tribunale sulla base delle deposizioni testimoniali e non contestate): in tale contesto si ritiene che l'assenza di convivenza non possa essere considerata elemento decisivo, essendo tale assenza imputabile a circostanze di vita (trasferimento di I per motivi di lavoro) che non escludono il permanere di vincoli affettivi e la vicinanza psicologica dei genitori con il congiunto deceduto. In considerazione di tali aspetti e delle inevitabili ripercussioni negative sulla vita dei superstiti, conseguenti alla alterazione dell’equilibrio familiare derivante dalla improvvisa interruzione del legame parentale con il giovane figlio, si ritiene congrua la liquidazione equitativa effettuata dal Tribunale e che le doglianze dell’appellante non giustifichino la riduzione dell’importo stabilito a titolo di risarcimento. Alla medesima conclusione si ritiene di dover pervenire in merito alla determinazione della somma liquidata ai nonni materni: in particolare, la convivenza instaurata da I con gli stessi da oltre un anno ed il fatto che “I aveva dato ai nonni (materni) un po’ di vitalità” (deposizione del teste L richiamata nella sentenza) denotano chiaramente lo stretto legame esistente tra gli stessi ed il nipote, caratterizzato da una concreta relazione affettiva, confermata dal fatto che “la nonna materna cercava di soddisfarlo anche nei gusti alimentari e ogni tanto gli preparava dolci da portare al lavoro” e dalla circostanza che “I, avendo la patente, accompagnava il nonno (di Pesaro) dove aveva necessità di andare” (deposizione teste L richiamata nella sentenza). L’assunto dell’appellante secondo cui si tratterebbe di circostanze generiche riferibili ad un “normale rapporto tra nonno e nipote” non è decisivo, perché l’asserita “normalità” non esclude la stretta relazione ed il rapporto affettivo creatosi nell’ambito del nucleo familiare composto dai nonni materni (e, come si dirà, dallo zio H), improvvisamente e imprevedibilmente interrotti, in seguito al tragico incidente di cui si discute nel presente giudizio che ha quindi inevitabilmente creato una perdita particolarmente dolorosa anche per i nonni materni, tale da giustificare il risarcimento nella misura liquidata dal Tribunale. Quanto alle doglianze articolate dall’appellante in merito alla determinazione della somma dovuta ai nonni paterni si ritiene invece che le censure non colgano, sul punto, la effettiva ratio decidendi della pronuncia di primo grado, perché sono basate esclusivamente sulla mancanza di convivenza tra i nonni e I, circostanza pacifica e tenuta presente dal Tribunale che, tuttavia, ha ritenuto di riconoscere una somma pari a quella liquidata ai nonni (materni) conviventi in considerazione della peculiarità del rapporto emerso all’esito della attività istruttoria, caratterizzato dalla “intimità della relazione di parentela, anche allargata, contraddistinta da reciprochi e costanti legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno, nonostante la lontananza nonché un affectio maturata nel tempo nel corso dell'’infanzia e della crescita del ragazzo”, argomentazioni che non hanno costituito oggetto di specifica contestazione con l’impugnazione proposta. In merito al rapporto tra i fratelli (I, deceduto, e C, nato nel 1994), le argomentazioni difensive dell’appellante - basate sul fatto che essi non convivevano più da oltre un anno e sul fatto che le circostanze riferite in merito al buon rapporto esistente tra i due rientrano in un “normale rapporto tra consanguinei” – non giustificano la riduzione del risarcimento, risultando la somma liquidata congrua avuto riguardo alla giovane età dei fratelli, allo stretto legame esistente, desumibile dalle circostanze riferite dai testimoni – e valorizzate dal primo giudice – i quali hanno dichiarato che i due erano spesso insieme ed avevano amici ed interessi in comune - circostanza confermata dal fatto che anche la sera del sinistro C, all’epoca quindicenne, era con Andrea al momento dell’incidente - che V era per il fratello minore un punto di riferimento di grande importanza e quando ancora viveva a Roma andava a prendere C a scuola e giocavano insieme a pallone: le circostanze delineate denotano infatti l’intenso rapporto tra i due ragazzi - iniziato quando erano piccoli e proseguito quando I si è trasferito, per motivi di lavoro, a Pesaro - improvvisamente interrotto in seguito al sinistro. Indubbiamente rilevante è quindi il turbamento subito dall’appellato C sia per la grave perdita del fratello maggiore, sia per aver assistito all’incidente in cui il congiunto è rimasto tragicamente coinvolto, per cui, anche in tal caso, si reputa congrua la somma stabilita in via equitativa dal primo giudice. In merito alla posizione dell’appellato H, zio della vittima I, la sentenza impugnata si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto atteso che le deposizioni testimoniali hanno evidenziato che i due avevano interessi e passioni comuni (calcio, Formula Uno, shopping) tali da evidenziare un rapporto costante, caratterizzato da complicità e affetto reciproco: queste circostanze e la duratura convivenza, protrattasi per oltre un anno, denotano una situazione che, complessivamente valutata, induce a ravvisare la legittimazione attiva di H e a ritenere sussistente un pregiudizio ricollegabile alla sofferenza indubbiamente patita dal medesimo in seguito al decesso del giovane nipote che, in considerazione dello stretto legame affettivo instauratosi con la convivenza, tragicamente ed improvvisamente interrotto, si stima equo liquidare nella misura determinata dal Tribunale. Per le considerazioni svolte l’appello va quindi respinto, confermando la sentenza impugnata.” (omissis) …

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