Dipendente Comunale - Ottemperanza a giudicato civile – Sentenza TAR declinatoria di giurisdizione del G.A. – successiva sentenza di merito in riassunzione dell’AGO – annullamento in appello per difetto di giurisdizione dell’AGO – possibilità e ragioni

9.1.2019 Corte di Appello di Ancona – Sez. lavoro – Sent. n. 482/2018 Pres. Cetro Est. Quitadamo

17/06/2019

(OMISSIS) … “Con ricorso al Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Urbino V, la dipendente in servizio presso il Comune di A, conveniva i resistenti per conseguire il rinnovo della procedura di mobilità per la copertura di un posto vacante ex art. 30 d.lgs.n.165/2001 in asserita ottemperanza alla sentenza n.100/2012 dello stesso Tribunale, ormai passata in giudicato, con cui era stata già dichiarata l’illegittimità della procedura originariamente avviata nel gennaio 2009 e conclusasi in favore del dipendente P. Assumeva in particolare la ricorrente che, non erano nuovamente applicati i criteri fissati dalla legge e dall’art. 27 bis del CCNL Enti Locali vigente ratione temporis, l’Amministrazione avrebbe sostanzialmente eluso l’ordine giudiziale attuando il rinnovo delle operazioni in spregio alle disposizioni di legge e di contratto applicabili, così che il diritto al trasferimento di essa ricorrente continuava ad essere negato. Chiedeva, ordinarsi al Comune di M la ripetizione delle operazioni inerenti alla mobilità in questione facendo applicazione della legge e dei criteri di selezione di cui all’art. 27 bis CCNL enti locali per i livelli fino al VI (residenza, anzianità di servizio, situazione familiare); per l’effetto, accertarsi il diritto della ricorrente alla copertura del posto vacante. Il Comune di M eccepiva in via preliminare l’inammissibilità della domanda per esistenza del giudicato rappresentato sia dalla sentenza n.100/12 del Tribunale di Urbino che dalla sentenza n.310/2015 con cui il TA.R. Marche aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda proposta dalla ricorrente per ottenere il riconoscimento del diritto all’assegnazione del posto in argomento; nel merito, sosteneva la legittimità del proprio operato ed insisteva per il rigetto della domanda attorea. Il Comune di A e il sig. P restavano contumaci. Con sentenza del 23 marzo 2017, depositata il 21 novembre 2017, il Tribunale di Urbino, accertata l’illegittimità della procedura di mobilità ne ordinava al Comune di M la ripetizione in conformità al disposto dell’art. 30 d.lgs. n.165/2001, quindi condannava l’Amministrazione resistente alla rifusione delle spese di lite in favore della ricorrente. Con ricorso depositato il 2 febbraio 2018 il Comune di M ha proposto appello avverso detta sentenza, deducendo che il primo giudice, nell’ordinare che la selezione fosse regolata dalle disposizioni dell’art. 30 d.lgs.n.165/2001 in vigore all’epoca del rinnovo - ossia nella formulazione risultante dalle modifiche apportate con il d.lgs. n. 150/2009, entrato in vigore nel novembre 2009 - inoltre, ha evidenziato le parti in cui la sentenza impugnata, nel richiedere la predeterminazione dei criteri di selezione a mente del citato art. 30 d.lgs n. 165/2001, come modificato dal d.lgs. n. 150/2009, si poneva in contrasto con il giudicato costituito dalla sentenza del Tribunale di Urbino n.100/2012, in tal modo incorrendo nell’errore di considerarla nuova e distinta procedura di mobilità e non, invece, rinnovo dell’originaria procedura disposto in ottemperanza; al riguardo l’appellante ha sottolineato che la stessa ricorrente aveva contestato innanzi al T.A.R. delle Marche la violazione o comunque l’elusione del giudicato per effetto della rinnovata procedura di mobilità, ottenendo dal Giudice Amministrativo una declaratoria di inammissibilità dell’azione. Ha chiesto, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, rigettarsi la domanda attorea con vittoria di spese di lite. V ha resistito al gravame chiedendone il rigetto; in via incidentale ha contestato la mancata applicazione nella selezione dei criteri dell’art. 27 bis CCNL enti locali, ed espressamente richiamata nella parte motiva della sentenza n. 100/2012. Inoltre, ha censurato l’omessa pronuncia da parte del primo giudice sullo specifico titolo di precedenza vantato da essa ricorrente nella selezione in argomento ai sensi della legge n. 104/1992, in quanto madre di minore in situazione di handicap grave; titolo che avrebbe dovuto condurre senz’altro alla declaratoria del diritto di essa aspirante alla copertura del posto in contesa. P, in adesione agli argomenti dell’appellante principale, ha chiesto il rigetto della domanda attorea. All’odierna udienza la Corte ha deciso la causa come da dispositivo in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE Va dichiarato il difetto di giurisdizione di questa Autorità giudicante in favore dell’Autorità Giurisdizionale Amministrativa, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 112 d.lgs.n. 104/2010. Invero, attraverso la rappresentazione dei fatti contenuta nel ricorso di primo grado è senz’altro possibile qualificare la domanda di V come intesa a chiedere la piena e sostanziale ottemperanza al giudicato, rappresentato dalla sentenza n. 100/2012 del Tribunale di Urbino, cui il Comune di Fossombrone avrebbe dato esecuzione solo in senso formale ed apparente, eludendone il comando nella sostanza, attraverso la totale disattenzione - nell’ambito della rinnovata procedura per la copertura del posto vacante di vigile urbano, cat. C - ai contenuti dell’art. 27 bis ccnl enti locali, che pure nella sentenza ormai “cosa giudicata” era stato espressamente additato come la regola-guida delle operazioni selettive in questione. L’oggetto della domanda si evince indiscutibilmente da espressioni di univoco tenore in seno al ricorso, delle quali basterà richiamare, a mo’ di esempio, le seguenti:“… la sig.ra V …..è costretta di nuovo a rivolgersi a codesta Autorità giudiziaria per gravare la ripetizione della procedura di trasferimento per mobilità operata dall’Ente in dichiarata ottemperanza alla predetta sentenza e conclusasi, di nuovo, con l’illegittima conferma dell’assegnazione del posto in favore del sig. P (pag. 4 del ricorso)…o ancora: “…In modo del tutto anomalo, anziché procedere ad una nuova valutazione delle posizioni già in atti alla luce dei criteri fissati in sentenza…”(pag. 7 del ricorso).... “il Comune …..pur dichiarando di voler ottemperare alla sentenza del Tribunale ometteva ancora una volta di esplicitare i criteri di selezione a cui si sarebbe attenuto…” (pag. 8 del ricorso). Insomma, il petitum della causa si sostanzia univocamente nella domanda di effettiva, e non solo apparente e formale, ottemperanza alla sentenza n. 100/2012 da parte dell’Amministrazione convenuta (cfr. conclusioni alle pagg. 40 e 41 del ricorso), sull’assunto che quest’ultima, viceversa, abbia eluso la sostanza del giudicato di riferimento. D’altro canto, anche in questa sede l’odierna appellata principale-appellante incidentale reitera gli argomenti, a suo dire disattesi dal primo giudice, in ordine alla dedotta elusione del giudicato da parte dell’Amministrazione convenuta, ad onta del fatto che questa avesse dichiarato formalmente di rinnovare la procedura in ottemperanza alla statuizione giudiziale, nondimeno disattendendo la regola-guida della selezione, rappresentata dall’art. 27 bis CCNL enti locali ed espressamente richiamata nella parte motiva della sentenza n. 100/2012 (cfr. pagg. 23 e 24 della memoria di costituzione, contenente appello incidentale). La circostanza che, in seno all’appello incidentale proposto dall’originaria ricorrente, sia stata mossa una chiara censura alla parte della sentenza in cui è affermata la perfetta autonomia tra le due procedure selettive, rispettivamente indette nel 2009 e nel 2012, basta a far escludere che sul punto si sia formato il giudicato, oltre ogni considerazione sulla portata dell’appello principale, la cui lettura complessiva, pure, consente di ravvisare in esso una doglianza di analogo tenore. Sotto distinto profilo, nessun rilievo, ai fini dell’odierna decisione, ha il contenuto della sentenza n. 310/2015 con la quale il T.A.R. delle Marche ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da Spadoni Antonietta, posto che trattasi di pronuncia di mero rito, del tutto inidonea a formare cosa giudicata, in quanto con essa il Tribunale Amministrativo non ha accertato il difetto di prova degli elementi costitutivi della domanda ma si è limitato ad affermare l’esorbitanza, dai confini del sindacato amministrativo, dell’indagine sollecitata dalla ricorrente. E’, infatti, jus receptum, anche in relazione alle pronunce del giudice amministrativo, che la sentenza ha attitudine al giudicato solo quando è frutto di un accertamento rigoroso e motivato in ordine alla sussistenza dei fattori sostanziali legittimanti l’azione in giudizio (e sempre che non siano mutate le circostanze di fatto e vi sia identità di soggetti e di oggetto dell’azione); al contrario, la sentenza non ha tale attitudine, ove consista in una pronuncia meramente processuale, che attenga, cioè, solo all’accertamento di esistenza del potere-dovere del giudice di pronunciarsi sul ricorso (vedi Cons. di Stato 15 febbraio 2017 n.682; Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2013 nr. 1744). Nel caso di specie, non vi è traccia in atti, né menzione alcuna negli scritti difensivi di entrambe le parti, di una qualche sentenza del Giudice Amministrativo che abbia deciso il merito dell’ottemperanza, laddove, lo si ripete, la sentenza n. 310/2015 pronunciata dal TAR delle Marche si è limitata ad escludere di poter giudicare sulle censure sollevate dalla ricorrente in ordine alle modalità con le quali la commissione incaricata avesse condotto la selezione. Ebbene, ad avviso di questa Corte, il petitum inerente al giudizio di ottemperanza può e deve avere ad oggetto anche tali censure, essendo il quomodo inscindibilmente legato all’an dell’ottemperanza, sempre nei limiti in cui chi l’istante - come è avvenuto nel caso di specie, in forza delle argomentazioni avanzate in ricorso ed innanzi richiamate - muova dal presupposto che tanto l’uno quanto l’altro siano enucleabili dalla stessa sentenza che costituisce il giudicato di riferimento, attraverso l’interpretazione del contenuto complessivo e dell’intera sostanza di detta statuizione giudiziale. Ed infatti, secondo un ormai consolidato e risalente principio sancito dalla Giurisprudenza del Consiglio di Stato, il giudizio di ottemperanza deve perseguire la finalità che il ricorrente vittorioso trovi pieno soddisfacimento alla pretesa azionata in sede di cognizione, nella misura in cui tale pretesa gli sia stata riconosciuta. Esso, dunque, mira a garantire al ricorrente vittorioso gli effetti favorevoli della pronuncia giurisdizionale, illegittimamente negati dall’amministrazione con un comportamento – apertamente o velatamente – omissivo, incombendo l’obbligo dell’amministrazione di conformarsi ad essa e consistendo il contenuto di tale obbligo nell’attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice (vedi in questo senso anche sent. Corte Cost., 8 settembre 1995, n. 419). L’oggetto del giudizio di ottemperanza consiste, pertanto, nella verifica della corretta attuazione del giudicato (art. 34, co. 1, lett. e, art. 112, co. 1, c.p.a.; v. Cons. Stato, Ad. Plen., 10 aprile 2012, n. 2) e, quindi, nella verifica sul se l’Amministrazione tenuta ad eseguire la sentenza vi abbia o meno dato puntuale esecuzione (Cons. Stato, sez. VI, 21 dicembre 2011, n. 6773; sez. IV, 15 novembre 2010, n. 8053). Quanto ai margini di discrezionalità riconosciuti all’Amministrazione per ciò che concerne il quomodo dell’esecuzione (Cons. St., sez. IV, 7 maggio 2002, n. 2439), essi vanno adeguatamente ricondotti entro i confini che lo stesso giudicato traccia nel delineare l’ambito della tutela accordabile, onde evitare che la discrezionalità diventi l’espediente per vanificare la sostanza del giudicato e, con essa, la ratio stessa delle disposizioni di legge che contemplano il giudizio di ottemperanza come rimedio per garantire l’effettivo soddisfacimento dell’interesse meritevole di tutela. La discrezionalità dell’azione amministrativa, quindi, trova il suo naturale limite nel divieto di tradire la sostanza della statuizione giudiziale ed eluderne gli effetti ultimi. Se, dunque, per giurisprudenza consolidata l’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica da parte del giudice dell’esatto adempimento dell’obbligo dell’amministrazione di conformarsi al giudicato, onde far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita riconosciutogli in sede di cognizione (C.d.S., sez. V, 30 agosto 2013, n. 4322; 23 novembre 2007, n. 6018; 3 ottobre 1997, n. 1108; sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; 17 ottobre 2000, n. 5512), tale verifica va condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione (C.d.S., sez. V, 9 maggio 2001, n. 2607; sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1964). Essa, quindi, comporta una puntuale attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando, sulla base della sequenza “petitum – causa petendi – motivi – decisum” (C.d.S., sez. IV, 19 maggio 2008, n. 2312; sez. V, 7 gennaio 2009, n. 10). Né tale indagine interpretativa può ritenersi esclusa allorché, come nella specie, il giudicato promani dall’Autorità Giurisdizionale Ordinaria, essendo, viceversa, precluso al giudice amministrativo dell’ottemperanza esclusivamente il “sindacato” sulla pronuncia del giudice civile, nonché l’integrazione di questa e la modifica dei suoi contenuti, in quanto gli è inibita l’indagine sul merito delle questioni riservate alla cognizione del G.O., che non siano state affrontate e decise in sentenza. L’effettività della tutela giurisdizionale amministrativa in sede di ottemperanza rappresenta, del resto, il corollario dei principi sanciti dagli articoli 24, 111 e 113 Cost. Pertanto, nel giudizio di ottemperanza può essere senza dubbio dedotta come contrastante con il giudicato non solo l’inerzia della pubblica amministrazione cioè il non facere (inottemperanza in senso stretto), ma anche un facere, cioè un comportamento attivo, attraverso cui si realizzi un’ottemperanza parziale o inesatta ovvero ancora la violazione o l’elusione attiva del giudicato (C.d.S., sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6501). Ed il nuovo atto emanato dall’amministrazione può essere considerato elusivo del giudicato quando, attraverso la completa lettura di dispositivo e motivazione, sia agevolmente desumibile lo specifico profilo di difformità dell’atto stesso dalla sostanza dell’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire (C.d.S., sez. IV, 21 maggio 2010, n. 3233; sez. V, 6 maggio 2013, n. 2418sez. VI, 7 giugno 2011, n. 3415; 5 dicembre 2005, n. 6963). Insomma, anche l’elusione del giudicato ottenuto in sede di cognizione civile è configurabile ogniqualvolta la Pubblica Amministrazione, pur provvedendo formalmente a dare esecuzione alle statuizioni della sentenza, persegua l’obiettivo di aggirarle dal punto di vista sostanziale, giungendo surrettiziamente allo stesso risultato già stigmatizzato e sanzionato dal giudice della cognizione. Va detto, inoltre, che l’art. 112 del d.lgs. n.104/2010, recante le nuove disposizioni generali sul giudizio di ottemperanza, dopo aver sancito espressamente al secondo comma, lett. c), la proponibilità dell’azione di ottemperanza per conseguire l’attuazione “… delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato….” Stabilisce al quinto ed ultimo comma che “… Il ricorso di cui al presente articolo può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza”. Il rimedio, ivi previsto, dell’ottemperanza in via preventiva è da ritenersi esteso anche al giudicato civile, non essendo espressamente esclusa dal campo di operatività dell’ultimo comma l’ipotesi di cui alla lettera c). Se, quindi, in via preventiva è possibile chiedere al giudice dell’ottemperanza di chiarire le concrete modalità e connotazioni del futuro operato dell’amministrazione attuativo del giudicato civile, non si ravvisano ragioni per escludere che lo stesso giudice sia investito di una verifica “a posteriori” circa la piena conformità alla sostanza del giudicato civile di un’attuazione già realizzata. Tornando al caso di specie, la domanda della ricorrente sollecita un’indagine sull’operato del Comune di M al fine di accertarne la difformità dalla portata sostanziale della sentenza n. 100/2012 del Tribunale di Urbino, alla stregua dell’espresso richiamo ivi contenuto, in parte motiva, ai criteri di selezione fissati dall’art. 27 bis CCNL enti locali, partendo dall’assunto che la selezione indetta nel 2012 abbia disatteso tali criteri. In tal modo la domanda si muove nel solco delle denunce di “elusione” del giudicato civile da parte della Pubblica Amministrazione, implicanti l’indagine del giudice amministrativo dell’ottemperanza, attraverso la lettura coordinata di parte motiva e dispositivo della statuizione giudiziale ormai cosa giudicata. La particolarità della questione trattata e la natura in rito dell’odierna pronuncia suggeriscono di compensare tra le parti le spese del giudizio” (OMISSIS) …  

© Artistiko Web Agency