Appropriazione indebita – fallimento della società – azione risarcitoria del soggetto passivo del reato contro l’Amministratore – responsabilità ex art. 2395 c.c. – sussiste – prescrizione della pretesa – art. 2947 c. III c.c. - applicabilità

8.6.2022 – Trib. Milano Sez. Spec. Impresa – Sent. 5033/2022 – Pres. Est. Simonetti

13/06/2022

… “La soc. X ha convenuto in giudizio con citazione notificata in data 12/07/2019 il Sig. P e ha proposto domanda di condanna al pagamento della somma di 500.000 euro a titolo di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 e art. 2395 c.c.L’attrice, a fondamento della sua domanda, ha allegato in fatto che:

  • in data 31/08/2012 aveva stipulato un contratto di conto deposito (doc.3) con la società B S.p.A. (successivamente dichiarata fallita in data (omissis) dal Tribunale di Matera), di cui il convenuto è stato amministratore fino alla dichiarazione del fallimento, col quale B, depositaria, si impegnava allo stoccaggio, custodia, manipolazione e riconsegna dei prodotti (omissis) consegnati da X, materie che sarebbero state custodite nei silos di proprietà della società depositaria in località (omissis);
  • il contratto era stato il quinto di una serie di contratti col medesimo oggetto stipulati tra le parti, in virtù di un rapporto commerciale iniziato svariati anni prima; nel periodo di vigenza del quinto contratto di conto deposito il Sig. P aveva autorizzato, come convenuto, invii giornalieri di comunicazioni sui quantitativi di prodotto presente nei serbatoi (incombenza di cui si occupava la sig.ra M, dipendente di B);
  • la materia prima depositata presso i silos veniva alternativamente lavorata e rivenduta da B alla stessa depositante come biodiesel oppure acquistata dalla depositaria che, a quel punto, procedeva a lavorarla per poi vendere il prodotto finito a terzi;
  • in virtù dell’art. 4 del contratto B aveva garantito che nei serbatoi sarebbe stata conservata e resa disponibile per il ritiro la stessa quantità depositata come risultante dai documenti di presa in carico del prodotto;
  • in esecuzione dell’accordo, X aveva collocato i prodotti (omissis) nei serbatori del sito di (omissis) di proprietà della depositaria;
  • il contratto di conto deposito prevedeva che B S.p.A. non avesse né la proprietà, né il possesso del prodotto, se non dopo che, a seguito di preciso ordine scritto, tramite modulo di transfer stock, fosse stata autorizzata da X a trasferire il prodotto verso la linea di produzione di biodiesel;
  • al 28/01/2013 X risultava cartolarmente (in virtù cioè del registro di conto deposito) avere nella sua disponibilità depositate in (omissis) tonnellate circa dei prodotti citati;
  • il 23 gennaio 2013 l’Agenzia delle Dogane di Potenza aveva revocato la licenza di esercizio per la produzione di prodotti energetici concessa a B;
  • in data 28/01/2013 l’Ing. F, dipendente di X, si era presentato ai cancelli della società B per accertarsi dell’effettiva quantità di olii presenti nei silos; a seguito della verifica fisica delle giacenze calcolate con le attrezzature presenti in azienda appurava la presenza nei serbatoi di (omissis) tonnellate di prodotto; tale quantità si sarebbe poi ridotta a (omissis) tonnellate come risultante dalla perizia giurata datata 28/02/2013. Si è così evidenziato un ammanco da tali serbatoi di (omissis) tonnellate di (omissis) e di (omissis) tonnellate di (omissis) per un valore di (omissis) euro;
  • B avrebbe, inoltre, inviato falsi rapporti giornalieri e riepiloghi mensili, inducendo così X a credere che il prodotto depositato fosse ancora nei silos della depositaria per le quantità concordate; la stessa avrebbe poi continuato a contabilizzare e richiedere ad X il corrispettivo pattuito per il riscaldamento di serbatoi ormai vuoti;
  • Il Sig. P, pur non lavorando stabilmente nel sito produttivo, quale Amministratore Unico era in grado di conoscere l’effettiva quantità di prodotto stivato; l’assenza per lunghi mesi di ogni segnalazione e l’invio all’attrice di comunicazioni false sulle quantità in deposito sarebbero chiari indici della colpevolezza del convenuto che intenzionalmente avrebbe impiegato il materiale di X srl per la linea produttiva di B;
  • nello stesso periodo la soc. A, altra società operante nel settore energetico, era rimasta vittima con modalità analoghe di un ammanco del prodotto depositato presso lo stabilimento di B per un importo di valore pari a (omissis) euro; questa circostanza era stata denunciata alla Procura della Repubblica di Matera, che aveva proceduto a unificare le indagini;
  • le circostanze accertate non sarebbero coerenti con una mera disattenzione o negligenza della società amministrata dal Sig. P. Analizzando la vicenda che ha visto coinvolta la società A emergerebbe che il volume in uscita di fatturato di Biodiesel e quello in entrata di corrispettivi di tali vendite avrebbe portato alla società del Sig. P introiti per almeno (omissis) euro senza correlative uscite. Questo potrebbe essere giustificato solo con l’appropriazione della materia prima al fine della produzione del prodotto finito. A sostegno di questa ricostruzione la società attrice ha ripreso alcuni passaggi del verbale della Guardia di Finanza redatto a seguito della verifica fiscale compiuta nei confronti di B, nel quale si escludeva che l’amministratore potesse non essere al corrente dell’attività illecita della società, anche perché per trasportare la quantità di prodotto oggetto dell’appropriazione sarebbero stati necessari non meno di 500 carichi;
  • nella relazione del Curatore del fallimento B si dà atto di omissioni sistematiche di imposte sul reddito e sul valore aggiunto da parte di B fin dall’inizio dell’attività imprenditoriale per oltre (omissis) di euro (anni 2004 – 2006), con falsificazione delle poste debitorie nei documenti contabili.Sulla scorta di tali fatti - supportati dai documenti offerti in produzione - la società attrice ha chiesto la condanna del Sig. P in quanto, quale amministratore di B, aveva assunto scelte produttive di biodisel impiegando consapevolmente materiale di terzi, tra cui di X, cagionandole un danno diretto pari al valore della materia prima di cui B si era appropriata. Il convenuto si è costituito tempestivamente in giudizio in data 12/02/2020 per l’udienza del 03/03/2020 e ha contestato la pretesa dell’attrice di cui ha chiesto il rigetto. Il Sig. P a sostegno delle sue conclusioni ha rilevato che:
  • l’azione di risarcimento del danno promossa dal X nei suoi confronti doveva ritenersi prescritta, poiché erano trascorsi più di cinque anni[1] dal 28 gennaio 2013 - giorno in cui X era venuta a conoscenza della perdita di prodotto verificatasi nello stabilimento di B e a partire dal quale il diritto al risarcimento poteva essere fatto valere - alla data dell’atto di citazione[2];
  • l’attrice sarebbe carente di legittimazione attiva, almeno limitatamente all’azione di responsabilità esperita ex art. 2394 c.c., poiché tale azione, ai sensi dell’art. 146, comma 2, l. fall. E dell’art 2394 bis c.c., dopo la dichiarazione di fallimento, può essere promossa esclusivamente dal curatore fallimentare;
  • B svolgeva sia attività di produzione sia di rivendita di biodiesel, prodotto con olii del tipo di quelli depositati presso i suoi stabilimenti dalla società attrice. In particolare, una parte della materia prima consegnata da X veniva lavorata mediante esterificazione, trasformata in biodiesel e rivenduta alla depositante come prodotto finito; altra parte veniva invece venduta a terzi, una volta completato il processo industriale di trasformazione in biodiesel;
  • contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di citazione sarebbe stato lo stesso Sig. P a comunicare, tempestivamente, il 24 gennaio 2013 a X l’intervenuta revoca della licenza di deposito fiscale della B da parte dell’Agenzia delle Dogane di Potenza e ad autorizzare una prima verifica delle giacenze del prodotto nel luglio 2012 (cfr. p.11, comparsa di risposta) e la successiva verifica, di cui si dà conto nell’atto di citazione, il 26 gennaio 2013;
  • l’indagine per evasione fiscale condotta dalla Procura di Matera a seguito della denuncia/querela della X non era stata coltivata dalla stessa Autorità inquirente;
  • il Sig. P non gestiva personalmente l’impianto produttivo di (omissis), dirigendo le attività della società dal quartier generale di (omissis) in qualità di amministratore unico, occupandosi esclusivamente delle questioni finanziarie e dell’organizzazione generale della società, lasciando l’attività di direzione operativa ai direttori di stabilimento, le cui funzioni potevano essere rinvenute nell’organigramma aziendale (cfr. doc, 9,10, convenuto);
  • la quantità di prodotto custodita e lavorata per conto di X rappresentava una percentuale assai ridotta (pari al solo 5,8%) del totale movimentato nel sito di (omissis)[3] e alla luce di ciò le eventuali, esigue perdite di prodotto registrate nel periodo 2011-2013 dovevano considerarsi accettabili[4] e comunque poco significative rispetto alla quantità complessiva di prodotto della società X custodito nei silos della depositaria nel corso dei diversi anni in cui si era svolto il rapporto commerciale tra le due società. Più precisamente il convenuto ha ammesso che nel corso di 14 mesi B aveva prelevato, involontariamente, (omissis) tonnellate di prodotto di X destinato alla lavorazione non pagato, rendendosi così inadempiente agli obblighi contrattuali assunti;
  • né il registro di deposito fiscale (dove era annotata la quantità di materia prima entrante nello stabilimento e quella di biodiesel prodotto in uscita dallo stesso, al fine di verificare che non ne fosse venduto alcun quantitativo senza aver pagato le relative accise), né il registro di conto deposito (compilato annotando la quantità di materia che B aveva pagato a X, o utilizzava per conto di quest’ultima, e quindi era ancora tenuta a pagare alla depositante) avevano la funzione di registrare le quantità fisiche di prodotto custodite, giorno per giorno nei serbatoi;
  • non corrisponde al vero che il registro di conto deposito sia stato falsificato o che siano state trasmesse da B false comunicazioni alla società attrice: il registro di conto deposito, infatti, certificava esattamente la merce che B doveva ancora pagare ad X, sottratta quella già pagata o utilizzata per conto di quest’ultima, ragione per cui poteva esistere uno scarto tra quanto risultante in giacenza nel registro di conto deposito e quanto fisicamente presente nei silos;
  • il Sig. P non aveva attuato alcuna condotta - dolosa o solo colposa - idonea a far sorgere un titolo responsabilità extra contrattuale, personale e diretta nella suesposta vicenda. La società attrice, inoltre, non aveva adempiuto al proprio onere probatorio, limitandosi a provare l’inadempimento contrattuale di B, non riuscendo, tuttavia, nel compito di dimostrare la responsabilità extracontrattuale dell’amministratore. Le eventuali perdite di prodotto occorse dovrebbero eventualmente ricondursi alla responsabilità del direttore dello stabilimento, della cui gestione quotidiana il convenuto era del tutto estraneo, occupandosi egli principalmente di orientare le scelte strategiche dell’azienda, avendola guidata in un periodo tutt’altro che semplice, dati i cambiamenti significativi cui il mercato degli idrocarburi era andato incontro, soprattutto a seguito della modifica della legislazione comunitaria (cfr. p. 9-10, comparsa di risposta). L’azienda, inoltre, era dotata di un organigramma e di deleghe adeguate che avrebbero permesso all’amministratore unico di lasciare a terzi la gestione ordinaria dell’azienda (cfr. doc. 9, convenuto); il sig. P, dunque, non era il soggetto incaricato di decidere i quantitativi di produzione giornaliera dello stabilimento, né quale tra le materie prime a disposizione dovesse essere utilizzata e da quale serbatoio prelevarla, com’è normale vista la carica apicale rivestita nella società; in altri termini l’unica responsabilità nel caso di specie sarebbe quella derivante dall’inadempimento contrattuale di B stessa, non sussistendo in capo all’amministratore le responsabilità previste dagli artt. 2395 o 2043. Nelle memorie depositate ex art. 183 sesto comma c.p.c. le difese hanno ribadito le loro posizioni e svolto richieste istruttorie, non ammesse dal GI. La causa è stata istruita in via esclusivamente documentale e rimessa in decisione dinanzi al Collegio sulle conclusioni in epigrafe riportate precisate alla udienza del 15/02/2022; risultano depositate comparse conclusionali e repliche. ***La domanda dell’attrice è fondata e va accolta. L’azione proposta si qualifica, considerando i fatti allegati a sostegno della domanda (condotta illecita di appropriazione di beni di X compiuta dal Sig. P e consumata nell’esercizio della sua funzione di amministratore di B), di responsabilità extracontrattuale e va ricondotta, trattandosi di responsabilità dell’amministratore della società per danni diretti subiti dal terzo, alla fattispecie di cui all’art 2395 c.c.; si tratta di azione individuale del terzo affatto differente dalle azioni recuperatorie che spettando alla curatela e dalle azioni di responsabilità sociale della società verso l’organo gestorio che esercita il curatore una volta dichiarato il fallimento. L’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata dal convenuto è infondata e va rigettata. Il convenuto, nel procedimento penale a suo carico per il reato di appropriazione indebita, aveva optato per la definizione del processo mediante applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento). Sebbene tale esito del procedimento penale non sia evidenza né della colpevolezza dell’accusato, né della sua innocenza, cionondimeno il giudice civile può trarre dalla scelta processuale dell’accusato argomenti a sostegno dell’integrazione della responsabilità civile derivante dal reato, qualora la condotta adottata sia idonea a integrare un fatto illecito. La Corte di Cassazione ha ribadito in diverse occasioni che la sentenza di patteggiamento, sebbene non dotata della valenza probatoria tipica della condanna emessa all’esito dell’istruttoria dibattimentale, contiene pur sempre un’ipotesi di responsabilità e implica il riconoscimento del fatto-reato (Cass. civ. sez. III sent. n. 2695/2017). La condotta contestata al convenuto va inquadrata nell’ambito del reato di appropriazione indebita e valutato in sei anni il periodo di prescrizione del diritto al risarcimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 2947, comma 3, c.c. e 157 c.p.; è opinione del Tribunale che il diritto dell’attrice non si sia estinto per prescrizione. Infatti, dalla data in cui il diritto poteva essere fatto valere (28/01/2013), la prescrizione è stata interrotta ➢ una prima volta l’8/05/2013 con la notifica a B e al Sig. P dell’atto di citazione per il risarcimento del danno promosso da X davanti al Tribunale di (omissis) (all. 6 pag 8, prodotto con la citazione) per le medesime condotte dannose poste a fondamento della presente azione, ➢ una seconda volta con la notifica, nel febbraio 2019, del ricorso cautelare ante causam instaurato presso il Tribunale di Milano (circostanza allegata in citazione e in memoria n. 1 dalla difesa dell’attrice e desumibile dalla ordinanza cautelare All B citazione dove si dà atto che alla data del 28.2.2019 anche la resistente era già costituita), ➢ di nuovo con la notifica dell’atto di citazione introduttivo del presento giudizio a luglio 2019. Considerato
  • l’effetto immediato dell’interruzione realizzata nel caso di specie con atti giudiziali e
  • gli intervalli tra un atto interruttivo e l’altro di durata mai superiore ai sei anni previsti dall’art. 157 c.p. e art. 2947 co 3 c.c., si constata che il termine di sei anni non si è mai consumato con la conseguenza che l’eccezione di prescrizione è infondata. Superata l’eccezione preliminare di prescrizione, va ora esaminata la fondatezza del diritto al risarcimento del danno avanzato dall’attrice. In primo luogo va messo in evidenza che il convenuto non ha contestato un “ammanco” del materiale di X srl in deposito presso B spa e quindi un impiego da parte della depositaria per (omissis) tonnellate senza pagarne il corrispettivo ad X, ma ha sostenuto che si è trattato di un inadempimento contrattuale di B; l’obbligazione inadempiuta sarebbe stata quella del mancato pagamento della quantità di prodotto impiegata ed appresa nell’arco di 14 mesi cioè dall’inizio del rapporto commerciale con X (pagina 17 e 18 della comparsa di costituzione). Il convenuto ha dedotto, per escludere ogni suo profilo di colpa, ✓ che la quantità era trascurabile considerando il totale delle quantità di prodotto movimentata nello stabilimento di (omissis) nel medesimo arco temporale, pari a (omissis) tonnellate, ✓ che nel contratto di deposito era contenuto uno specifico impegno di B a rispondere delle eventuali infrazioni commesse nella gestione del deposito e nella movimentazione dei prodotti, per tutte le eventuali differenze tra giacenze reali e giacenze contabili , sicché le parti erano consapevoli della complessità della gestione del contratto di deposito e avevano inteso regolamentare il rischio di eventuali maggiori prelievi da parte di B mediante l’assunzione di un obbligo specifico a riparare a tale infrazione con il pagamento della merce. Il valore che X srl attribuisce alla merce sottratta, pari in totale ad euro (omissis) per (omissis) tonnellate di materiale, non è contestato dal convenuto sicché la quantità di materiale che ha ammesso esser stata impiegata da B senza autorizzazione di X (omissis) ha un valore nettamente superiore al quantum della domanda di condanna contenuta in euro 500.000,00. Il convenuto, come si è detto, afferma che gli ammanchi di prodotto accertati, e non contestati, sono da considerare tollerabili alla luce della quantità complessiva di olii depositati presso i propri stabilimenti e la quantità di prodotto depositata dalla stessa attrice nel corso degli anni. In ogni caso, anche volendo aderire alla ricostruzione attorea, la negligenza dovrebbe essere attribuibile al direttore dello stabilimento di (omissis) che, in virtù delle deleghe ricevute, aveva la responsabilità di vigilare sul corretto adempimento degli obblighi contrattuali da parte dei suoi sottoposti. Questa ricostruzione non convince. Dalla lettura del verbale della Guardia di Finanza del giugno 2013 è possibile evincere una situazione alquanto differente da quella descritta. In particolare, nel periodo che va dal 1 gennaio 2012 al l’8 gennaio 2013, in relazione agli scostamenti tra la quantità di prodotto depositato da X e quella non acquistata, né lavorata ai fini della commercializzazione, è possibile evincere che, delle (omissis) tonnellate depositate presso i silos dello stabilimento, ben (omissis), un sesto del totale, non sono state restituite da B a X (omissis). Orbene, tale circostanza non appare coerente con un semplice scostamento attribuibile alla complessità della gestione dei depositi e dei processi di lavorazione in B, considerando che si tratta di scostamenti riferiti solo al deposito di X. A medesima conclusione si perverrebbe prendendo in considerazione la quantità di impiego non autorizzata ammessa dal convenuto di (omissis) tonnellate; il valore di più di (omissis) milioni di euro di questa quantità di materia prima produttiva porta a ritenere che l’amministratore non poteva non rilevarne l’impiego per la produzione sociale senza che gli risultassero i corrispondenti costi. Ulteriori elementi rendono la prospettazione difensiva del convenuto non condivisibile. Infatti, al di là della misura precisa degli ammanchi di prodotto di X, la complessiva gestione del business di B apre scorci emblematici sull’intera vicenda. Nel medesimo verbale della GdF già citato si legge, a pagina 47, come “la B oltre a non aver adempiuto agli obblighi di comunicazione per quanto attiene l’ingresso della materia prima, parimenti ha omesso di dichiarare alla dogana l’immissione in libera pratica del prodotto finito; per tali motivi si presume che lo stesso sia stato ceduto in violazione delle norme sulla fatturazione e registrazione in materia di imposte dirette e di Iva”. Anche siffatta condotta omissiva appare più in linea con una consapevole strategia aziendale che con un’ulteriore dimenticanza. Questa ricostruzione è coerente con quanto riferito dal Curatore a pagina 2 della relazione stilata ai sensi dell’art. 33 L. Fall., dove si può leggere che “la gestione della società, specie nell’ultimo quadriennio antecedente alla dichiarazione di fallimento, è stata caratterizzata per un verso dalla violazione della disciplina che presidia la redazione dei bilanci d’esercizio, per altro verso da una spiccata tendenza all’azzardo morale a danno dei creditori”. L’azzardo, nella ricostruzione del Curatore, risiederebbe nella scelta della società[5] di non optare per la gestione ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio della società6, ma in quello di continuare l’attività di impresa con modalità illecite, rappresentate, in particolare, dalla falsificazione delle comunicazioni sociali[6], dall’inadempimento agli oneri tributari dovuti, dalla mancanza di accantonamenti per gli ingenti costi di bonifica ambientale e dall’inadempimento alle obbligazioni contrattuali nei confronti dei propri fornitori[7]. In relazione a quest’ultimo punto, significativo appare il turnover di clienti della società, con l’obiettivo, questa la conclusione del Curatore, di ottenere materia prima senza pagarla dai depositanti, interrompendo il rapporto commerciale con questi una volta scoperti gli ammanchi di prodotto e venuto meno il rapporto fiduciario, stringendo sempre nuovi accordi con altri soggetti in sostituzione dei precedenti, in esecuzione di un piano strategico illecito (cfr. p.2, all. 8, atto di citazione). La vicenda che ci occupa, dunque, si inserirebbe in un più ampio contesto caratterizzato da una grave crisi imprenditoriale. In un’ottica più marcatamente contabile, questa emergerebbe, tra le altre cose, dall’incapienza dell’attivo circolante a far fronte ai debiti a breve termine con gli attivi prontamente liquidabili a valori rilevati dai bilanci pubblicati (cfr. p. 5 e segg, doc. 2 , memoria ex art 183 co 6 n. 1 di parte attrice). E’ irrilevante la qualificazione della condotta di B come mero inadempimento contrattuale di B posto che è un fatto pacifico che l’impiego del materiale di X è avvenuto senza il necessario consenso scritto di X e senza che B abbia mai riconosciuto, durante il rapporto contrattuale e prima della scoperta degli ammanchi, l’impiego in eccesso e quindi un suo debito verso la controparte. A ciò va aggiunto che la circostanza che nel contratto di deposito B/X si fosse assunta l’obbligazione risarcitoria a favore della depositante per eventuali infrazioni commesse nella gestione del deposito e nella movimentazione dei prodotti e in particolare per tutte le eventuali differenze tra giacenze reali e contabili dei prodotti (doc. 15 conv.) non esclude la responsabilità concorrente extracontrattuale dell’amministratore della società ove risultino provati gli elementi costitutivi come allegati in citazione ovvero l’incidenza diretta del danno sul patrimonio dell’attrice come conseguenza di una scelta gestoria illecita costituita dall’impiego di materia prima di terzi, X, in deposito presso B senza sopportarne il costo al fine della produzione di B stessa. In questa situazione può rilevarsi che se la funzione del registro di deposito interno, come dedotto dal convenuto, era solo quella di annotare da parte della depositaria B la quantità di materia prima già depositata da X, venduta da X a B per la sua produzione industriale e di cui B non aveva ancora pagato il prezzo (pag 15 e 20 della conclusionale di parte convenuta), la circostanza che tale registro non abbia riportato fedelmente le quantità prelevate e non pagate sta solo a significare che le registrazioni fatte da B non erano corrette, cioè erano infedeli. L’ammanco fisico è stato ampiamente accertato (pag 44 doc. 8 citazione) e riconosciuto. Ma la responsabilità del Sig. P non si fonda affatto sulla tenuta del registro di deposito interno. Venendo più nello specifico alla responsabilità del Sig. P, egli contesta gli addebiti, significando che le eventuali responsabilità, in coerenza con gli organigrammi societari (doc. 9, comparsa di risposta), sarebbero addebitabili al direttore di stabilimento e ai dipendenti incaricati delle singole operazioni. Questa affermazione tuttavia non sembra credibile.Anche ipotizzando che i dipendenti dello stabilimento non abbiano adottato la diligenza dovuta nello svolgimento delle proprie mansioni, quindi le prove orali dedotte dal convenuto relative alle mansioni dei dipendenti dello stabilimento di (omissis) sono irrilevanti (capp da (i) a (vii) da (xi) a (xvi), le discrepanze accertate per quantità, valore, impiego diretto nel ciclo produttivo della società e circostanze in cui si sono verificate ( in costanza di crisi della società B) non paiono accidentali, frutto di occasionale svista comprensibile a fronte degli elevati quantitativi di prodotto che transitavano giornalmente nello stabilimento, quanto piuttosto intenzionali. Tali discrepanze più ragionevolmente devono essere imputate al tentativo della società di restare sul mercato pur nella situazione di grave crisi patrimoniale e finanziaria nella quale versava fin dal 2010 come rappresentata nella relazione ex art 33. Il quantitativo di materia prima di X impiegata nel periodo da agosto 2012 a gennaio 2013 da B senza preventivamente acquistarla e quindi senza registrarla nel registro di conto deposito è tale che porta a ritenere che si è trattato di condotta posta alla base di una strategia aziendale di produrre senza pagare la materia prima, in una situazione in cui la società si trovava in crisi economica. A ciò si aggiunga che il biodisel prodotto da B è stato ceduto con elevati ricavi da parte di B ( per svariati milioni di euro) senza che si sia mai data una ragionevole spiegazione di come la società abbia giustificato il mancato corrispondete sostenimento dei relativi costi. E, quindi, se può essere verosimile che il Sig. P non presidiava quotidianamente il sito di (omissis) poiché dirigeva la società dal quartier generale di (omissis), occupandosi prevalentemente di indirizzare le strategie complessive della compagnia, stringendo accordi commerciali e individuando possibili sbocchi commerciali alternativi[8], allo stesso tempo è convinzione del Tribunale, alla luce di quanto sopra esposto, che ciò che accadeva a (omissis) venisse deciso a (omissis) e che gli ammanchi di prodotto di X siano riconducibili non a dipendenti negligenti, ma a una consapevole scelta gestoria di appropriazione di materia prima di terzi, eseguita su direttiva dell’amministratore, per ridurre esponenzialmente i costi di produzione del biodiesel, fornendo alla società la prospettiva di guadagnare tempo, ritardando con ogni mezzo la messa in liquidazione, forse nell’improbabile eventualità di risollevare le sorti dell’impresa da tempo destinata a fallimento. Gli elementi descritti risultano sufficienti per convincere il Tribunale che l’amministratore Sig. P si sia reso responsabile consapevolmente della appropriazione del prodotto di X[9]. Il quadro che emerge trova ulteriore conferma nell’ulteriore elemento indiziario rappresentato dalla sentenza di patteggiamento n. 75/21 del Tribunale di Matera (produzione di parte attrice del 7 maggio 2021) pronunciata nei confronti di P anche per il delitto p. e p. dall’art 646 c.p. con riferimento all’impiego del materiale di X, alla medesima vicenda oggetto della presente azione risarcitoria; l’imputazione penale è infatti coerente con le altre emergenze probatorie di cui si è dato atto sopra. Il danno provocato a X dalla condotta di P quale amministratore di B spa è rappresentato dal valore della merce prelevata da B perché è dall’impiego che è derivata per X la perdita del suo bene[10]. La domanda è stata contenuta nel quantum all’importo di euro 500.000,00[11] ben inferiore al valore di mercato della merce impiegata da B valore non contestato da P; resta pertanto assorbita ogni altra questione inerente altre voci di danno per lucro cessante, dovendo la pronuncia esser contenuta nei limiti della domanda ex art 112 cpc. Trattandosi di obbligazione risarcitoria di valore il danno va liquidato in moneta attuale alla data odierna a decorrere da gennaio 2013 applicando gli indici di rivalutazione Istat Foi, oltre ad interessi compensativi, per il ritardo nel risarcimento, calcolati secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione SU 1995 n. 1712; si perviene, in applicazione di tali principi, alla liquidazione del danno in moneta attuale di euro 550.500,00 per capitale ed euro 28.853,00 per interessi per un totale di euro 579.353,00; dalla data della decisione (19 maggio 2022) al saldo decorrono gli interessi moratori al tasso legale sulla sola somma capitale di euro 550.500,00. Pertanto P è condannato a pagare a X spa la somma di euro 579.353,00 oltre interessi al tasso legale sulla somma di euro 550.500,00 dal 19 maggio 2022 al saldo effettivo. Il sequestro conservativo concesso ante causam si converte in pignoramento ex art. 686 cpc. Il regime delle spese processuali. (omissis)

[1] Cfr. art. 2395 c.c. [2] Luglio 2019   [3] Nel periodo temporale che va dal novembre 2011 al gennaio 2013 nello stabilimento di (omissis), furono movimentati 5.404 camion per il trasporto del prodotto   [4] A sostegno della tesi della tollerabilità dell’ammanco il convenuto cita la Circolare dell’Agenzia delle Dogane 6D del 18 giugno 2015 [5] Rettificando il bilancio con i dovuti debiti tributari, gli accantonamenti per costi di bonifica, le svalutazioni dei crediti deteriorati, i costi di acquisto di merce non pagata, il capitale sociale si sarebbe azzerato ben prima della dichiarazione di fallimento e gli amministratori avrebbero avuto l’obbligo di mutare la gestione della società da ordinaria in conservativa ai sensi dell’art. 2486, anche a tutela dei creditori sociali come X. [6] Cfr. p. 1-2, relazione ex art. 33 L. Fall. [7] Oltre a X il verbale della Guardia di Finanza del 7 giugno 2013 analizza la vicenda analoga occorsa a A S.p.A. (cfr. p. 42 ss., doc. 8, atto di citazione).   [8] Si pensi alla costituzione della società B Y Ltd. in joint venture con W Ltd. per entrare nel mercato del trading su prodotti derivati dagli olii vegetali (biodiesel e altri). [9] Cfr. art. 646 c.p. “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni”. [10] La dichiarazione del curatore del fallimento B spa, doc. depositato in data 18.3.2021 dalla difesa dell’attrice, porta a ritenere che la danneggiata non otterrà alcuna distribuzione in sede fallimentare. [11] Come precisato anche a pagina 2 della conclusionale.  

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