Appello – notifica nel domicilio eletto in procura alle liti e non nel domicilio del procuratore medio tempore trasferitosi – ritualità – ragioni – costituzione dell’appellato – sanatoria ex nunc – Usucapione – Eccepita dal convenuto – insussistenza - ragioni

27.5.2022 – Corte di Appello di Bologna – Sez. I sent. 1239/2022 – Pres. Montanari – Est. Di Gregorio

14/06/2022

… “SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato il 26.03.2014, il signor X conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Rimini la Soc. V, allegando:− di essere proprietario di un immobile sito in Comune di (omissis), via (omissis), distinto al NCEU di detto Comune al foglio (omissis), confinante, tra gli altri, con l’immobile di proprietà della Soc. V, distinto al foglio (omissis);− che detto immobile era stato donato all’attore con atto trascritto il 17.08.1998 dalla zia materna, Sig. M, la quale lo aveva a sua volta acquistato con atto di divisione del 29.04.1980, stipulato con i signori A, B e V;− che con il medesimo atto di divisione, il signor B aveva acquistato la proprietà esclusiva della part. (omissis);− che sino al 2004, il signor X e, prima di lui, la signora A, avevano potuto godere dell’immobile distinto alla (omissis), unitamente all’unità destinata a magazzino distinta alla (omissis);− che il confine tra le particelle di proprietà dell’attore e del signor C non era, infatti, delimitato o chiuso;− che nel corso del 2004, il signor B, dante causa della società convenuta, illegittimamente e in modo occulto, nell’ambito della particella di proprietà dell’attore, erigeva un muro lungo un metro ca. a chiusura del varco esistente tra le due proprietà, accorpando un’areaindivisa di mq. 10,00 ca., facente parte catastalmente della particella (omissis) e confinante con la particella di B identificata al (omissis);− che dalla documentazione prodotta, emergeva che il piccolo vano era compreso nella particella relativa all’immobile dell’attore;− che nel 2006 il signor B vendeva il magazzino (particella (omissis)) alla Soc. V, senza preoccuparsi di ripristinare lo stato dei luoghi;− che il signor X, per rientrare nel possesso del piccolo vano ricompreso nella particella (omissis) di sua proprietà, delimitava la predetta particella erigendo un muro di confine, ossia realizzando un tramezzo tra la sua proprietà e quella della soc., ripristinando lo stato dei luoghi mediante pratica edilizia regolarmente assentita dal Comune di (omissis);− che la Soc. V agiva in possessoria, definita con provvedimento del 16.07.2007 che ordinava l’abbattimento del manufatto;− che la Soc. V presentava altresì denuncia-querela nei confronti del signor X per esercizio arbitrario delle proprie ragioni;− che il processo si concludeva con l’assoluzione dell’imputato;− che nella sentenza di assoluzione, il Tribunale riconosceva in via incidentale il diritto di proprietà del vano conteso in capo al signor X;− che la Soc. V era ancora nel possesso della porzione immobiliare;− che l’attore agiva, dunque, in rivendica per ottenerne la restituzione;− che nel 2011 la società convenuta aveva dato inizio a lavori di ristrutturazione, mediante demolizione degli immobili di sua proprietà, nonché del tetto del piccolo vano in contestazione, a seguito della quale il signor X aveva presentato denuncia-querela;

  • che, in ogni caso, la porzione immobiliare contesa era stata posseduta ininterrottamente per oltre venti anni dal signor X e, prima di lui, dalla M, risultando, perciò, maturato il periodo ventennale per l’usucapione ordinaria.

Si costituiva la Soc. V chiedendo il rigetto delle domande attoree in quanto inammissibili e/o infondate e proponendo, in via subordinata, domanda riconvenzionale affinché fosse accertata la consistenza della proprietà del signor B poi trasferita alla Soc. V; in via ulteriormente subordinata e riconvenzionale, la convenuta eccepiva l’intervenuto acquisto del vano conteso per usucapione abbreviata e, in via di estremo subordine, di usucapione ordinaria. La società convenuta deduceva: − di avere acquistato, con atto del giorno 08.05.2006, (anche) la porzione immobiliare controversa dal signor B, che, a sua volta, la possedeva da oltre trent’anni e ne aveva trasferito il possesso alla sua dante causa; − che con atto di divisione del 29.04.1980, alla M e al signor A era stato assegnato il fabbricato part. (omissis), confinante con via (omissis), mentre al signor B era stato assegnato il fabbricato distinto al mapp. (omissis), confinante con la via (omissis); − che il fabbricato distinto al mapp. (omissis) era composto da un’abitazione sul fronte con due tettoie e da un magazzino sul retro; − che detto fabbricato confinava con quello assegnato ai signori A; − che la planimetria del 1977 che riportava la quota assegnata alla Sig. A riportava il muro di confine nella sua esatta posizione, ma conteneva un insignificante errore grafico, ossia una seconda linea inesistente nella realtà e arretrata di ml. 2,00 ca. dal muro di confine verso la via Saffi, come a costituire un vano separato di mq. 9,00 ca. di forma rettangolare all’interno della proprietà della convenuta, vano mai esistito nella realtà; − che l’attore intendeva appropriarsi di detta superficie, prolungando il proprio fabbricato all’interno di quello distinto al mapp. (omissis); − che la superficie contesa era parte integrante dal fabbricato distinto al mapp. (omissis), composto da un unico e indiviso vano; − che l’intero corpo di fabbrica (mapp. (omissis)) nelle sue attuali dimensioni effettive e reali, compresa, dunque, la porzione controversa, era stato nel possesso e nella proprietà del signor B sino a quando non era stato acquistato dalla Soc. V (2006); − che, in subordine, tale possesso sarebbe risalito, comunque, al 1991, come risultava da scrittura del 12.10.1991 (contratto preliminare di compravendita avente a oggetto la porzione immobiliare controversa), alla quale, peraltro, doveva attribuirsi mera natura ricognitiva; − che l’errore grafico, contenuto in una sola planimetria, non poteva assumere alcuna rilevanza e non poteva essere di ostacolo all’acquisto da parte della legittima proprietaria anche della porzione immobiliare contesa; − che, infatti, nelle altre planimetrie riproducenti lo stato dei luoghi non era riportato alcun segno grafico divisorio; − che la mera sovrapposizione delle planimetrie dei due fabbricati, partendo dai punti fermi costituiti dalle rispettive strade di affaccio (via (omissis) e via (omissis)), consentiva di stabilire la corretta posizione del confine tra le due proprietà; − che dal 1970, momento in cui furono effettivamente divisi gli immobili in comunione, con formalizzazione successivamente avvenuta nel 1980, il signor B aveva abitato l’immobile di via (omissis), insediandovi anche, fino al 1988, una rivendita all’ingrosso di tabacchi; - che, a seguito della divisione, il passaggio tra il fabbricato di via (omissis) e quello di via (omissis) era stato chiuso con una porta in lamiera, tuttora esistente; − che, da quel momento, le sorelle A, proprietarie dell’immobile distinto al mapp. (omissis), non erano più transitate attraverso detto passaggio, restando i condividenti nel godimento esclusivo ciascuno delle proprietà definitivamente loro assegnate nel 1980; − che nel 2007, il signor X, di notte, manu militari e di nascosto, aveva demolito parte del muro di confine tra le proprietà, realizzando una parete sulla erronea linea di cui alla planimetria del 1977, appropriandosi della porzione di magazzino di proprietà della Soc. V, oggetto di rivendica; − che all’esito del giudizio possessorio promosso dalla stessa Soc. V, il signor X era stato costretto a demolire il muro; − che il giudizio penale conseguente pendeva ancora in grado d’appello; − che la domanda di usucapione proposta dall’attore era temeraria, in quanto la porzione contesa era ricompresa nel magazzino di proprietà della convenuta, con il quale costituiva un “tutt’uno”. Espletata consulenza tecnica d’ufficio e assunte le prove orali ammesse, il Tribunale di Rimini, con sentenza n. (omissis) depositata il (omissis), accoglieva la domanda di rivendica proposta dal signor X, sul presupposto dell’intervenuto acquisto per usucapione della porzione immobiliare contesa. Il primo giudice, individuato un conflitto non sanabile tra i rispettivi titoli di acquisto, stabiliva che nessuna delle parti avesse assolto all’onere di provare di essere titolare di un diritto di proprietà sull’area acquistato a titolo derivativo; per l’effetto, qualificata la domanda attorea come azione di rivendica, esaminava la pretesa sotto il profilo dell’intervenuto acquisto dell’area per usucapione, invocato da entrambe le parti (per vero, la convenuta, in subordine e in via di eccezione), concludendo che fosse stata acquisita la prova del fatto che la signora A prima e il signor X poi, almeno dal 1980 al 2004, avessero posseduto l’area in questione, utilizzandola come passaggio, nonché come ripostiglio, esercitando sulla predetta porzione le facoltà dominicali per oltre un ventennio. A conforto di tale conclusione, il Tribunale, oltre alle prove testimoniali, richiamava gli esiti dell’accertamento tecnico, dai quali emergeva che in origine il vano era aperto e accessibile dalla proprietà A/X. La Soc. V era, quindi, condannata alla restituzione della porzione immobiliare e al risarcimento del danno. ∞ ∞ ∞ Avverso tale decisione ha proposto appello la Soc. V per i seguenti motivi. 1. Il Tribunale ha errato nel ritenere non provato l’acquisto a titolo derivativo dell’area contesa in forza del contratto preliminare del 12.10.1991, concluso tra la signora A e il B, in quanto detto negozio aveva natura meramente ricognitiva dello stato di fatto, ossia della titolarità in capo al B della porzione immobiliare, e, comunque, allo stesso contratto dovevano riconoscersi effetti immediatamente traslativi, considerato che esso aveva le caratteristiche di un contratto di compravendita definitivo (il bene era individuato nella sua consistenza e ubicazione; il prezzo totale era stato interamente versato; il promissario acquirente veniva immediatamente immesso nel possesso del bene stesso; il contratto non prevedeva l’impegno alla stipula del definitivo). 2. Il Tribunale non si è pronunciato sulla domanda (rectius eccezione) di usucapione ventennale proposta dalla Soc. V, fondata sul contenuto del preliminare di compravendita del 12.10.1991, con il quale la signora A dichiarava di immettere immediatamente nel possesso il signor B; inoltre, il primo giudice, ha ritenuto erroneamente che con il preliminare fosse stata trasferita la mera detenzione, ignorando la volontà espressa delle parti e, in particolare, della promittente venditrice; peraltro, la natura del potere di fatto esercitato sulla cosa quale possesso e non detenzione era stata accertata in sede penale dalla Corte di Appello di Ancona che, con sentenza n. (omissis), accogliendo l’impugnazione della Soc. V e condannando ai fini civili il signor X per il reato di arbitrario esercizio delle proprie ragioni commesso nel 2007, riconosceva in capo alla Soc. V, quanto meno dal 1991, il possesso dell’area in contestazione. 3. Il Tribunale è incorso in errore ove ha riconosciuto la sussistenza dei presupposti per l’acquisto per usucapione dell’area da parte del signor X essendo, al contrario, provato che il possesso fosse stato esercitato, quanto meno dal 1991, dal B prima e dalla Soc. V poi e non invece, dalla signora A e dal X. Inoltre, prima della realizzazione del muro da parte dell’appellato nel 2007, non esisteva alcun vano delimitato, trattandosi di spazio “confuso” con il resto del magazzino del signor B. 4. La sentenza merita di essere riformata anche in punto spese. Si è costituito il signor X eccependo: la inammissibilità dell’appello per intervenuta decadenza dal termine previsto dall’art. 325 c.p.c.; la inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c.; la inammissibilità delle domande nuove proposte in questa fase (effetto traslativo del contratto 12.10.1991); nel merito, ha concluso chiedendo il rigetto dell’impugnazione in quanto infondata. Con ordinanza depositata il 03.05.2019, la Corte ha respinto l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, in seguito reiterata e dichiarata inammissibile. Le parti hanno precisato le conclusioni con note scritte e la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del giorno 11 gennaio 2022, celebrata in forma cartolare, mediante trattazione scritta. ∞ ∞ ∞ L’eccezione di inammissibilità dell’appello per decadenza dal termine previsto dall’art. 325 c.p.c. non è fondata. Entrambe le parti riferiscono che la sentenza di primo grado è stata notificata da parte appellante al domicilio eletto della Soc. V il 27.11.2018; tuttavia, la copia notificata non è stata prodotta dalla difesa del signor X che ha sollevato l’eccezione di decadenza e, dunque, avrebbe dovuto offrire la prova dell’avvenuta rituale notificazione eseguita ai sensi dell’art. 326 c.p.c. In ogni caso, quand’anche si potesse ritenere provato il perfezionamento della notifica ai sensi della norma sopra richiamata, la Corte ritiene che l’appellante non sia incorso in alcuna decadenza. In primo luogo, è pacifico che, con la sentenza, sia stata notificata anche la procura alle liti rilasciata in favore dell’avv. (patrono dell’appellato), che riporta l’indirizzo del proprio studio in (omissis), via (omissis), ossia il vecchio recapito. Deve, quindi, ritenersi che l’errore in cui è incorso l’appellante, il quale una volta ricevuto inesitato l’atto presentato alla notifica il 24.12.2018, lo ha notificato presso il nuovo studio in (omissis) il 10.01.2019, sia incolpevole. Inoltre, questa Corte ritiene di dover aderire all’orientamento interpretativo prevalente, secondo cui è da considerarsi nulla e non inesistente “la notifica dell'appello non andata buon fine in conseguenza del trasferimento dello studio del procuratore domiciliatario, qualora, pur risultando la nuova sede dai timbri apposti sugli scritti difensivi conclusivi e dall'avviso di notificazione della sentenza impugnata, sia mancata un'idonea ed inequivoca comunicazione dell'avvenuto trasferimento, non rendendo tali annotazioni inoperante l'iniziale elezione di domicilio. Ne deriva che la rinnovazione nel termine concesso ex art. 291 cod. proc. civ. comporta la sanatoria "ex tunc" della prima e tempestiva notificazione.” (Cass. civ., sent. n. 12539/2014). Nel caso di specie, peraltro, il nuovo indirizzo non solo non risulta dagli scritti conclusivi, ma parte appellata ammette di avere notificato la sentenza con una procura riportante l’indirizzo della vecchia sede. La giurisprudenza ha, affermato anche che “è valida la notificazione dell'atto di appello effettuata presso il procuratore nel domicilio eletto nel giudizio di primo grado e non revocato, senza che assuma rilevanza l'avvenuto trasferimento, nell'ambito della medesima circoscrizione, del domicilio del procuratore stesso che sia "medio tempore" sopravvenuto e sia stato comunicato al competente Consiglio dell'Ordine, ma non alla controparte” (Cass. civ, ord. n. 14455/2018). Inoltre, la costituzione dell’appellato che si difenda anche nel merito, sana con effetto ex tunc la notifica nulla (Cass. civ., sent. n. 21704/2019). Infine, la Corte ritiene che il procedimento di notificazione messo in atto dalla Soc. V debba essere considerato unitariamente, sicché l’esito negativo del primo tentativo di consegna con immediata rinotificazione presso l’indirizzo corretto, consentirebbe di concludere comunque per la tempestività, dovendosi risalire alla prima presentazione dell’atto all’ufficiale giudiziario, ossia al 24.12.2018. ∞ ∞ ∞ Anche l’eccezione di inammissibilità formulata ai sensi dell’art. 342 c.p.c. deve essere respinta in quanto l’impugnazione non è carente di specificità, anche alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale della norma di riferimento che si è orientata a favore della tutela del principio di effettività della tutela giurisdizionale, anziché di un rigoroso e vacuo formalismo (Cass. civ., SS.UU., sent. n. 27199/2017; conff.: Cass. civ., sent. n. 7675/2019; Cass. civ., ord. n. 13535/2018). A tale orientamento ha aderito anche questa Corte con numerose pronunce tutte conformi. ∞ ∞ ∞ Il terzo motivo di appello è fondato e il suo accoglimento è assorbente rispetto alle altre censure formulate dalla Soc. V e all’eccezione di inammissibilità per novità proposta dal signor X. Il Tribunale ha correttamente qualificato la domanda proposta dall’attore quale azione di rivendica ai sensi dell’art. 948 c.c. e ha concluso per il suo accoglimento sul presupposto che il signor X abbia provato in giudizio di avere acquistato la porzione immobiliare contesa per usucapione, in mancanza di un titolo valido di acquisto diverso. Questa ultima statuizione, ossia l’insussistenza di un valido titolo di acquisto a titolo derivativo è coperta da giudicato. Ritiene la Corte che non siano ravvisabili i presupposti per il perfezionamento dell’acquisto a titolo originario (usucapione) in capo al signor X, con conseguente rigetto della sua domanda di rivendica per non avere egli assolto all’onere probatorio che incombe su chi agisce in giudizio ai sensi dell’art. 948 c.c. Nell’atto di citazione che ha dato origine alla presente causa, il signor X afferma che sia lui, sia la sua dante causa, M, avevano sempre potuto fare uso del magazzino di proprietà del signor B, distinto al mappale (omissis), perché il confine tra la proprietà di quest’ultimo e quella dell’attore non era delimitato o chiuso. In altra parte del medesimo atto, egli dichiara di avere realizzato, tra il 2006 e il 2007, un muro divisorio delimitante, verso la via (omissis), l’area contesa, separandola dal magazzino del signor B, in modo da rientrarne in possesso. Tali dichiarazioni trovano pieno riscontro documentale nelle planimetrie prodotte dalla stessa parte attrice/appellata sub docc. nn. 9 e 11. Trova, dunque, conferma quanto allegato dall’odierna appellante, ossia che la porzione immobiliare di cui si controverte costituiva, di fatto, un corpo unico con il magazzino B, ossia con l’immobile distinto al mappale (omissis). Se si raffrontano e integrano queste allegazioni con gli esiti della CTU, emerge che dalla proprietà A (ora X) con ingresso da via Mazzini era possibile accedere mediante una porta all’area controversa e al magazzino B (ora Soc. V); nel 2004 questa porta è stata chiusa mediante un muro in laterizi, come dichiarato dal signor X (doc. n. 9 – fasc. appellato) e, nel 2006/2007, lo stesso signor X ha realizzato un altro muro nella posizione indicata nella planimetria prodotta sub doc. n. 11 – fasc. appellato, in modo da ricavare un vano isolato dal magazzino B; si è reso così necessario, per il signor X, trasformare la finestra che dava luce a detto vano in porta per potervi accedere: questi interventi sono stati oggetto del giudizio possessorio che lo ha visto soccombente. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che il signor X non possa avere acquistato a titolo originario l’area contesa, in quanto, quand’anche ricorressero tutti gli altri presupposti, sarebbe, comunque, carente il requisito del possesso esclusivo e assoluto, non potendosi sostenere che, all’interno di uno spazio indiviso destinato a magazzino, l’appellato abbia potuto godere del bene in modo inconciliabile con la facoltà di godimento del signor B, il quale aveva libero accesso, almeno fino al 2007, anche a quella porzione immobiliare. L’usucapione sarebbe stata configurabile solo ove il signor X avesse delimitato l’area e l’avesse poi utilizzata in modo esclusivo per vent’anni, ma è pacifico, per stessa ammissione dell’attore/appellato, che il muro divisorio non sia stato edificato prima del 2007. Il mero “uso” del bene immobile, pur protratto per lungo tempo, non è, infatti, sufficiente perché se ne perfezioni l’acquisto a titolo originario, giacché non integra di per sé un’attività idonea a realizzare l’esclusione dei terzi dal godimento del bene (in termini, sulla necessità di recintare il fondo per l’accertamento dell’usucapione, si vedano: Cass. civ., ord. n. 1796/2022; Cass. civ., ord. n. 6123/2020; Cass. civ., sent. n. 18215/2013). ∞ ∞ ∞ Le spese seguono la soccombenza. (omissis)      

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