Amministratore società – azione sociale di responsabilità – presupposti – sussistenza –– ragioni

4.12.2019 Corte di Appello di Ancona – Sent. 1729 – Pres. Marcelli - Est. Gianfelice

10/12/2019

(Omissis)…. … “Con atto di citazione ritualmente notificato X conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Pesaro, B e C promuovendo nei loro confronti azione di responsabilità ex art. 2476 cc quali amministratori della società M; in particolare  chiedeva la condanna al risarcimento del danno pari a € 517.169,99, oltre rivalutazione monetaria, sull’assunto che tra il 2001 e il 2006 i predetti avessero emesso una serie di fatture saldate con denaro della società che, in realtà riguardavano spese non inerenti con gli scopi della stessa. I convenuti eccepivano in via pregiudiziale l’improcedibilità dell’azione, stante la pendenza davanti al Collegio arbitrale di una controversia con il medesimo oggetto, l’inammissibilità del difetto di legittimazione dell’attrice per il periodo anteriore al decesso del padre, nonché la prescrizione del diritto con riferimento alle circostanze anteriori al 22 maggio 2002. Nel merito contestavano la fondatezza della domanda. La società M, costituitasi in giudizio, riservava la formulazione delle proprie conclusioni al prosieguo del giudizio e successivamente concludeva per la condanna dei convenuti al ristoro dei danni cagionati alla società.  Istruito il giudizio con CTU   e   deposizioni testimonial, il Tribunale accoglieva   la domanda attrice; in particolare dichiarava la responsabilità per mala gestio degli amministratori e condannava B e gli eredi della convenuta C a restituire alla società M rispettivamente la somma di € (omissis) e di € (omissis) oltre rivalutazione monetaria ed interessi. B, in proprio e quale erede di C impugnava tempestivamente la predetta decisione con atto ritualmente notificato e prospettava i motivi di doglianza in parte motiva. Si costituiva X, che chiedeva il rigetto dell'appello e formulava appello incidentale sul quantum risarcitorio. Nelle more del giudizio si costituiva M in liquidazione chiedendo il rigetto del gravame. All'udienza del 21.05.2019 la Corte tratteneva la causa a sentenza. Col primo motivo di gravame l’appellante eccepisce l’erronea interpretazione dell’art. 2935 cc e dell’art. 2941 n.7 cc in quanto la sospensione della prescrizione tra le persone giuridiche e i loro amministratori non sarebbe applicabile a B che al 22.5.2007, data in cui è stata promossa azione di responsabilità, aveva giàcessato la propria carica di amministratore. Il motivo è infondato. In realtà quale che sia il momento in cui i fatti contestati a B sono stati posti in essere, il decorso della prescrizione nei suoi confronti ha avuto avvio dal momento in cui lo stesso è cessato dalla carica di amministratore quindi dal 15 luglio 2006. Il termine dunque risulta rispettato. Per quanto riguarda la responsabilità di C, ella è subentrata nel ruolo di amministratore delegato dopo il figlio per cui risponde delle spese sostenute dopo quella data. Col secondo motivo di gravame, l’appellante eccepisce la contraddittoria ovvero omessa motivazione stante l’impossibilità di controllare il criterio logico seguito dal giudice nell’accertamento della responsabilità degli amministratori. Il motivo è infondato. In realtà il Giudice di prime cure ha specificato che la domanda attrice è fondata in base alla copiosa produzione documentale e coerentemente con le sue prerogative, e condividendo le conclusioni del perito ha ritenuto fondata  la quantificazione del CTU valutando come spesa non inerente la somma di € (omissis); ha poi  integrato le risultanze delle indagini peritali  con le deposizioni testimoniali e in sentenza giustifica ogni spesa valutata come non inerente con la testimonianza che l’ha avallata costringendo altresì l’appellante a riprendere e confutare le testimonianze richiamate dal giudice per giustificare il suo convincimento, a riprova di aver egli stesso ben individuato il percorso logico-deduttivo seguito dal giudice. Col terzo e quarto motivo di appello, da trattare congiuntamente, l’appellante ha censurato come errata la valutazione delle risultanze probatorie ex art. 115 e 116 cpc e del danno. Il Giudice di prime cure ha ritenuto non inerenti oltre alle spese segnalate dal CTU, le spese relative all’abitazione privata (omissis), le spese personali (omissis) le spese per gli sponsor, ulteriori spese personali (omissis). Ad esempio le spese per l’acquisto e la manutenzione di automobili, alcune delle quali molto costose, sono state considerate dal giudice di prima cure non in linea con lo scopo della società, la cui attività era limitata alla riscossione di canoni ed al pagamento delle imposte e si svolgeva in un ufficio di 50 mt con due vani: il giudice di prime cure ha ritenuto che   le auto fossero destinate ad uso personale. L’appellante contrasta le argomentazioni riportate dalla sentenza.  In particolare, con riguardo alla somma di € (omissis) che il tribunale ha ritenuto come fatturazione alla società di spese personali, l’appellante asserisce di non avere incaricato le ditte fornitrici di servizi ed interventi effettuati sulle abitazioni degli amministratori, in quanto dalle prove testimoniali è emerso che l’incarico era stato conferito dal padre di B, con riguardo alla somma di € (omissis) pagata alla ditta V. con riguardo alla fattura n. (omissis), l’appellante asserisce che la relativa somma è già compresa nelle spese valutate dal CTU come non inerenti; con riguardo alle fatture emesse dalla (omissis) per il servizio di vigilanza, allega l’appellante che il servizio pagato era svolto soprattutto per   gli uffici della società e che l’abitazione degli amministratori era stata inclusa nel 2006, interessando pertanto la sola somma di € (omissis), già  inclusa dal CTU nelle spese non inerenti; con riguardo alle spese di sponsorizzazione allega che le stesse sono state decise dai genitori di B e C, sicché non sono riconducibili al suo operato; aggiunge che per altre forniture i testi sentiti non sono stati in grado di indicare né la persona che aveva conferito l’incarico o effettuato l’acquisto della fornitura, né il soggetto effettivo beneficiario, in quanto i testi non  ricordavano se i lavori erano stati effettuati presso l’abitazione dell’amministratore ovvero presso l’opificio; con riguardo alle spese di pulizia, allega che le stesse avevano interessato in gran parte i locali degli uffici della società; con riguardo ad altre spese personali, asserisce ad esempio che le opere d’arte acquistate sono collocate negli uffici della società che per alcune forniture (di mobili, di fagiani da abbattere)  i testi non hanno confermato le fatture, che porte e medagli sono state fornite  e consegnate alla società; con riguardo alle vetture, asserisce l’inerenza dei costi delle stesse con riguardo al fatturato della società. Il motivo è   infondato. Ritiene il Collegio che l’appellante abbia illegittimamente addebitato alla società costi di pertinenza di terzi, come ad es. i costi relativi alla pulizia della casa dei genitori, all’acquisto di mobili e suppellettili, all’organizzazione di tornei di tennis e battute di caccia: va infatti ricordato che i costi appostati in bilancio devono essere pertinenti con l’attività societaria, e che tali non possono essere i costi relativi ad attività espletate nell’ interesse personale di uno dei soci. Irrilevante in merito è il fatto che le spese siano state decise da altri e segnatamente dal padre dell’appellante: quello che conta è che le spese sono state comunque sostenute società in quanto l’amministratore non ha diligentemente controllato ed escluso i costi estranei all’esercizio dell’impresa. Va inoltre considerato il fatto che alcuni beni acquistati dalla società sono stati retrocessi (omissis) ovvero poi rivenduti o stornati a soci è ulteriore sintomo di una gestione societaria irregolare sotto il profilo della diligenza richiesta al buon amministratore. Col quinto motivo di gravame l’appellante deduce la violazione o errata interpretazione dell’art 2423 c.c., argomentando che la non inerenza delle spese non è motivo di annullamento della delibera di approvazione del bilancio al 31.12.2006. Il motivo è infondato. La contabilizzazione di costi non pertinenti nel bilancio d'esercizio ex se comporta il pregiudizio del socio a causa del difetto di correttezza con riferimento alla detta contabilità, ripercuotendosi sull’utile da distribuire. Va infatti ricordato che il bilancio d’esercizio è il documento contabile dal quale i soci e i terzi, creditori in primo luogo, possono conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria della società; e che pertanto i costi appostati devono essere pertinenti con l’attività societaria, e che tali non possono essere i costi relativi ad attività espletate nell’esclusivo interesse personale di uno dei soci. L’illiceità del bilancio in quanto contrario alle norme imperative che dispongono nel senso che esso debba rispondere ai principi di chiarezza, precisione e rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, comporta pertanto la nullità della delibera che lo approva con conseguente riconoscimento dell’interesse ad agire del socio nei confronti della società nel caso in cui il bilancio, frutto di appostazioni improprie, possa indurre in errore sulla esatta consistenza patrimoniale e sull’efficienza economica della società (cfr. Cass. Civ. 23976/04). In relazione a quanto sopra pertanto la sentenza gravata va confermata nella parte in cui ha ravvisato vizi invalidanti della delibera di approvazione del bilancio, dichiarando, a correzione della “formula” adottata dal giudice di prime cure, la nullità della deliberazione con cui il 06.04.2007 l'assemblea ordinaria della soc. M, ha approvato il bilancio chiuso al 31.12.2006, e ciò in considerazione della natura del vizio sussistente: la violazione dei principi di chiarezza e precisione nella redazione del bilancio ex art. 2423 c.c., posta a tutela dell'interesse generale alla verità del bilancio, provoca la nullità della delibera che quel bilancio approva, per illiceità del suo oggetto. Ne deriva l’infondatezza anche del sesto motivo di appello con cui si eccepisce la violazione dell’art. 2479 ter c.c. primo comma e quindi la tardività dell’impugnazione della delibera in 6 aprile 2007, ben oltre i 90 giorni previsti dalla legge. Proprio in quanto la questione si concentra non sulla non inerenza delle spese quanto piuttosto sulla estraneità delle stesse, è chiaro che non si rientra nel caso di cui al primo comma del suddetto articolo ma nel caso di cui al terzo comma che prevede la nullità della delibera per illiceità dell’oggetto, per la cui impugnazione si prevede il diverso termine di tre anni. Coi motivi settimo ottavo e nono l’appellante contesta la decisione sulle spese; argomenta che, stante la previsione di un obbligo di rimborso nell’art. 2476 co. 4 c.c.,   il tribunale di prime cure non doveva adottare statuizioni in merito alla condanna alle spese; aggiunge che le spese  dovevano essere compensate in considerazione della   soccombenza della X nella fase cautelare e nel ridimensionamento della sua pretesa; lamenta l’errata determinazione dell’ammontare in violazione dell’art. 4 del DL 140/2012, dovendosi individuare lo scaglione sulla base del decisum con applicazione delle medie di tariffa in luogo dei valori applicati per le varie fasi, coincidenti o vicine  ai massimi tariffari; lamenta l’errata  liquidazione delle spese di consulenza tecnica sfornite di prova del relativo esborso. I motivi sono infondati. L’onere delle spese di lite è stato attribuito in considerazione dell’esito finale del processo, valutato globalmente nella sua oggettività (Cass. n. 12082/1995; Cass. n. 84/1997; Cass. n. 15787/2000; Cass. n. 11543/2001; Cass. n. 4201/2002; Cass. n. 9060/2003; Cass. n. 4778/2004; Cass. n. 406/2008); nel caso di specie inoltre l'attribuzione del carico delle spese di lite all’odierno appellante va ritenuto giustificato giustificato anche in virtù del principio di causalità, alla luce del quale il fondamento della condanna alle spese risiede nella antigiuridicità della condotta posta in essere da colui il quale, per l'appunto, lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata, o azionando una pretesa accertata come infondata, ha dato causa al processo (Cass. n. 5914/1981; Cass. n. 5539/1986; Cass. n. 7182/2000; Cass. n. 20335/2004; Cass. n. 25141/2006; Cass. n. 7307/2011). Del resto il principio della soccombenza è violato solo se il giudice pone le spese a carico della parte interamente vittoriosa, potendo ogni altra statuizione trovare sostegno, a seconda dei casi, nel combinato disposto degli artt. 91 e 92 (Cass. n. 4201/2002; Cass. n. 12963/2007). In altri termini, anche a fronte di una ipotesi di soccombenza parziale (ad es. di un non integrale accoglimento della domanda) è giustificata la condanna integrale, rientrando ciò nelle facoltà del giudice di merito (Cass. n. 1731/1968; Cass. n. 4019/1979; Cass. n. 12295/2001). Quanto ai valori tariffari applicati, essi rientrano nello scaglione di riferimento con riguardo al decisum, e la scelta di applicare entità vicine ai massimi tariffari si giustifica in considerazione della laboriosità del giudizio, che ha visto numerose udienze istruttorie e lo svolgimento di una elaborata consulenza. Quanto agli esborsi della parte attrice, gli stessi risultano documentati dalle fatture e dalle note spese prodotte all’udienza di discussione. Esse sono quindi dovute, anche se ancora non sostenute, alla luce di Cassazione civile sez. VI, 20/11/2019, n.30289 secondo cui Le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., comma 1, della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue. D'altra parte, fra le spese processuali che la parte soccombente è tenuta a rimborsare rientrano non solo quelle effettivamente già sostenute dalla parte vittoriosa, ma anche quelle dalla medesima ancora dovute, sebbene all'atto della condanna in suo favore, essa non ne abbia ancora compiuto il pagamento. Con l’ultimo motivo di gravame la parte appellante lamenta l’applicazione degli interessi moratori dalla data dei singoli esborsi al saldo; allega che trattandosi di azione contrattuale gli interessi erano dovuti dalla data della domanda. Il motivo è infondato alla luce di Cassazione Civile sez. I sentenza 25.05.2005 n. 110108 secondo cui Il risarcimento del danno cui è tenuto l'amministratore ai sensi dell'art 2393 c.c. - sia che derivi da responsabilità per illecito contrattuale, sia che si ricolleghi a responsabilità extracontrattuale, sia, infine, che si configuri più genericamente come effetto di responsabilità "ex lege", e tanto se si tratti di danno emergente come di lucro cessante - riveste natura di debito di valore e non di debito di valuta, il quale è, pertanto, sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria fino al momento della sua liquidazione, ancorché il danno consista nella perdita di una somma di denaro, costituendo questo, in siffatta particolare ipotesi, solo un elemento per la commisurazione dell'ammontare dello stesso, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo In conclusione l'appello principale va rigettato. Va infine accolto l’appello incidentale. È evidente infatti che le spese sostenute per l’autovettura (omissis), ritenute estranee all’attività d’impresa, non sono state sommate pur essendo state conteggiate per un importo complessivo di € (omissis), atteso che il tribunale di prime cure ha aggiunto solo il costo della (omissis) risultante dalla differenza fra il prezzo della vetture al momento dell’acquisto e la somma ricavata dalla vendita a B. La somma dovuta a titolo di risarcimento è quindi pari a totali € (omissis). Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.” … (Omissis) …  

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