Abuso edilizio – stima sanzione ex art. 34 d.p.r. 380/2001.

3.6.2019 Tar Marche Sent. 379/2019 Pres. FF Morri est. Capitanio

06/06/2019

(omissis) …Per l’annullamentoPrevia sospensione

  • Della determinazione n. 15 del 7/5/2018 del Responsabile del Settore III – Urbanistica del Comune di M, avente ad oggetto: “pratica Suap n. 2014/2015 Determinazione sanzione in applicazione dell’art. 34 comma 2 del DPR 380/01 in riferimento alla sentenza del Tar Marche n. 711/2016 e n. 856/2017” con l’allegata “Relazione di stima di determinazione dell’aumento del valore venale delle opere eseguite in assenza e/o difformità dal titolo ex art. 34 comma 2 del DPR 380/01”, a data 27/4/2018, dell’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di …….. e la nota di trasmissione dei predetti atti e provvedimenti ai ricorrenti dell’8/5/2018;
  • Nonché, in via prudenziale e qualora occorra, dell’ordinanza n. 3 del 18/12/2017 del Comune di M, già impugnata con il ricorso n. 422/2017 R.G. ed avente oggetto “Lavori di realizzazione di un fabbricato ad uso agricolo in località W annullamento ordinanza del responsabile settore urbanistica n. 2/2016 in ottemperanza alle sentenze del Tar Marche n. 711/2016 e 856/2017 applicazione dell’art. 34 del DPR 380/01” in quanto confermata con la determinazione n. 15/2018” …(omissis)… FATTO
  1. I ricorrenti, nella rispettiva spiegata qualità di legale rappresentante dell’omonima azienda agricola affittuaria (X) e di proprietario del compendio aziendale (Y), impugnano la determinazione del responsabile del Settore III – Urbanistica del Comune M avente ad oggetto: “Pratica Suap n. 2014/2015 Determinazione sanzione in applicazione dell’art. 34 comma 2 del DPR 380/01 in riferimento alla sentenza del Tar Marche n. 711/2016 e n. 856/2017”, nonché l’allegata “Relazione di stima di determinazione dell’aumento del valore venale delle opere eseguite in assenza e/o difformità dal titolo ex art. 34 comma 2 del Dpr 380/01”, e gli altri atti presupposti connessi indicati in epigrafe, nella parte in cui la sanzione di che trattasi è stata determinata in complessivi € _________ e nella parte in cui il rilascio del titolo edilizio in sanatoria è stato subordinato al pagamento della suddetta somma.2. A premessa dei motivi di ricorso, X e Y così riepilogano le vicende amministrative e giudiziarie che sono alla base dell’odierno giudizio.2.1. Nel 2008 il Comune di M aveva autorizzato i ricorrenti a realizzare un manufatto edilizio adibito all’attività di impresa agricola gestita dalla sig.ra X. In relazione a ciò la stessa sig.ra X aveva presentato domanda di ammissione al bando emanato dalla Regione per l’erogazione di contributi per l’ammodernamento delle aziende agricole (PSR 2007/2013); la domanda era risultata inclusa fra quelle finanziabili e la sig.ra X nel corso del 2015 si è vista liquidare la somma di € 2.2. Avendo realizzato opere parzialmente diverse da quelle autorizzate ed essendo nel contempo mutate le esigenze aziendali, nel 2015 i ricorrenti avevano presentato, uno actu, la domanda di sanatoria per le difformità rispetto al titolo edilizio del 2008 e la richiesta di rilascio di un titolo ex novo per ciò che attiene a opere resesi nel frattempo necessarie per le esigenze aziendali (si trattava in particolare della costruzione di due tettoie destinate al riparo delle attrezzature agricole e al cambio di destinazione d’uso di una parte del fabbricato). Con provvedimento del 23 dicembre 2015 il Comune rigettava le istanze suddette, sia per ciò che attiene alla sanatoria, sia per ciò che attiene alle ulteriori opere da realizzare e al cambio di destinazione d’uso, mentre con successiva ordinanza n. 2/2016 disponeva la rimessione in pristino stato del manufatto.2.3. Tali provvedimenti furono impugnati davanti a questo Tribunale con ricorso iscritto al numero 169/2016 R.G. Il ricorso fu accolto con sentenza n. 711/2016, con la quale:- è stato annullato il diniego di rilascio del titolo con riguardo alla tettoia “C” e al cambio di destinazione d’uso di una porzione dell’edificio;- è stato altresì annullato il diniego di sanatoria degli altri abusi e, a questo riguardo, è stato disposto che il Comune valutasse l’applicabilità dell’art. 34 del T.U. n. 380/2001 (avendo i ricorrenti dedotto che non era tecnicamente possibile demolire la parte difforme senza pregiudizio per la parte conforme);- è stata annullata di conseguenza anche l’ordinanza di demolizione.2.4. Non avendo il Comune prestato esecuzione alla sentenza nonostante alcuni solleciti, con ricorso iscritto al numero 422/2017 R.G. X e la Y avevano esperito il giudizio di ottemperanza. Il Comune di M. oltre a instare per il rigetto del ricorso, aveva a sua volta proposto un ricorso incidentale finalizzato a chiedere chiarimenti in merito alla corretta ottemperanza della citata sentenza n. 711/2016.Con sentenza non definitiva n. 856/2017, il Tribunale ha:- accolto il ricorso principale, disponendo che il Comune concludesse il procedimento entro 20 giorni dalla notifica o dalla comunicazione della decisione;- reso i chiarimenti richiesti dal ricorrente incidentale.A questo secondo riguardo il Tribunale ha statuito che:“- nella sentenza n. 711/2016 il Tribunale ha valorizzato in più punti il parere tecnico reso dall’Ufficio Agricoltura della Regione, per cui quanto detto a proposito della tettoia B non vale anche per la tettoia C (visto che in parte qua il parere regionale era favorevole al rilascio del titolo). Circa la corretta interpretazione dell’art. 79 delle NTA del PRG, il Tribunale, pur non annullando formalmente il parere provinciale, lo ha disatteso, ritenendo che il manufatto de quo fosse assentibile nel suo complesso (tanto è vero che il Comune non ha mai annullato in autotutela il permesso di costruire originario del 2008);- in relazione al piano interrato, il Tribunale ha stabilito che l’eventuale impossibilità riconosciuta di demolire la parte difforme senza pregiudizio per la parte conforme implica che la parte abusiva del piano interrato andrà sanata e che, a questo proposito, il Comune potrà valutare la possibilità di imporre prescrizioni tese a minimizzare l’impatto visivo dell’opera e a ricondurla alla tipologia edilizia prevista nel p.d.c. del 2008, ossia edificio ad un piano. In questo senso potrebbe trovare applicazione la previsione dell’art. 13, lett. u), secondo capoverso, dell’abrogato R.E.T.R.;- quanto, infine, alla richiesta di una relazione tecnica finalizzata a consentire al Comune di verificare l’impossibilità tecnica di demolire la sola parte difforme, si tratta di richiesta del tutto legittima, visto che in parte qua l’art. 34 del T.U. n. 380/2001 ripartisce l’onere probatorio sia sulla parte privata (in prima battuta) che sull’ufficio comunale…”.2.5. Il Comune ha quindi portato avanti il procedimento relativo all’applicazione dell’art. 34 del Testo Unico Edilizia, acquisendo ulteriore documentazione dai ricorrenti, stabilendo (ordinanza n. 3/2017) che trovava applicazione l’art. 34, acquisendo la relazione di stima dell’Agenzia delle Entrate e pervenendo all’adozione della determinazione odiernamente impugnata.3. Questi i motivi di ricorso articolati da X e Y:a) violazione e falsa applicazione dell’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 e del D.P.R. n. 138/1998 (allegato C). Violazione ed elusione del giudicato formatosi sulle sentenze n. 711/2016 e n. 856/2017 del T.A.R. Marche. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, difetto di motivazione e di istruttoria, falso presupposto in fatto e in diritto. Con questo primo gruppo di censure i ricorrenti evidenziano che:- il manufatto oggetto di causa, come del resto risulta anche dagli atti istruttori in base ai quali è stata adottata la determinazione impugnata, è un accessorio agricolo;- l’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 prevede per la fiscalizzazione degli abusi edilizi una sanzione “…pari al doppio del costo di costruzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978 n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale determinato a cura dell’Agenzia del Territorio per le opere adibite ad usi diversi da quelli residenziali…”;- dalla relazione di stima emerge che la stessa Agenzia delle Entrate è partita da una corretta applicazione della norma, evidenziando che, ai fini della determinazione della sanzione, si dovesse stabilire il valore di mercato del manufatto, attraverso il metodo di valutazione “sintetico-comparativo”;- tuttavia, subito di seguito, l’Agenzia evidenzia che, non essendosi reperite compravendite relative a manufatti agricoli similari a quello dei ricorrenti da utilizzare ai fini della stima comparativa, si fa riferimento a mercati più dinamici ovvero a quello di immobili ad uso residenziale. Tale scelta viene giustificata sul presupposto che “….nelle zone semicentrali periferiche e suburbane del Comune di M i valori della tipologia residenziale sono congruenti a quelli della tipologia commerciale ed a quelli terziario…”;- ne consegue che il metodo di stima seguito dall’Agenzia e poi recepito dal Comune è del tutto illogico ed erroneo, in quanto si basa su tipologie di immobili e valori per mq non pertinenti con la classificazione agricola del manufatto realizzato dai ricorrenti.Ciò premesso i ricorrenti propongono contestualmente azione di accertamento per la corretta determinazione della sanzione ex art. 34 T.U. Edilizia e al riguardo riportano in ricorso la sintesi di una perizia di parte a firma dell’ing. V (che sarà poi depositata in giudizio in data 5 settembre 2018). Per ragioni di brevità del contenuto di tale perizia si darà conto direttamente nella parte in diritto;b) violazione e falsa applicazione dell’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001, degli artt. da 12 a 20 e 36-37 del D.P.R. n. 380/2001. Violazione ed elusione del giudicato formatosi sulle sentenze n. 711/2016 e n. 856/2017 del T.A.R. Marche. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, difetto di motivazione e istruttoria, falso presupposto in fatto e in diritto.Con questo secondo gruppo di censure i ricorrenti sostengono che in ogni caso la sanzione applicata dal Comune va annullata e rideterminata in considerazione del fatto che la stessa è stata applicata a tutte le difformità realizzate nell’immobile dei ricorrenti e dunque anche alle difformità sanabili ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001.Tale conclusione discenderebbe da quanto il Tribunale ha statuito con le sentenze n. 711/2016 e n. 856/2017. La sanzione doveva dunque applicarsi in relazione al solo piano interrato, per cui la stessa, applicando i criteri indicati dal perito di parte, dovrebbe ammontare a € _________ o, al più, a €_________;c) violazione e falsa applicazione dell’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001, degli artt. da 12 a 20 e 36-37 del D.P.R. n. 380/2001. Violazione ed elusione del giudicato formatosi sulle sentenze del T.A.R. Marche n. 711/2016 e n. 856/2017. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, difetto di motivazione e istruttoria, falso presupposto in fatto e in diritto.Con quest’ultimo gruppo di censure la determinazione n. 15/2018 viene impugnata nella parte in cui, confermando quanto statuito con la precedente ordinanza n. 3/2017, il Comune subordina il rilascio del titolo edilizio al pagamento della sanzione di cui all’art. 34.Tale modus operandi viene ritenuto illegittimo sia con riguardo alle opere per cui era stato richiesto ex novo il titolo edilizio (realizzazione della tettoia “C” e cambio di destinazione d’uso) - visto che in parte qua non viene in rilievo l’art. 34 - sia con riguardo all’abuso da sanare - perché l’art. 34 prevede che il procedimento si conclude con la determinazione della sanzione (previo accertamento dell’impossibilità tecnica di demolire la parte difforme senza pregiudizio per le parti conformi), mentre il pagamento della relativa somma da parte del privato è un adempimento successivo.4. Si sono costituiti in giudizio il Comune di M e l’Agenzia delle Entrate chiedendo il rigetto del ricorso.Con ordinanza n. 188 del 2018 il Tribunale ha accolto la domanda cautelare (stabilendo che il Comune procedesse al rilascio del Titolo Unico subordinatamente alla prestazione di idonea cauzione da parte dei ricorrenti) ed ha fissato per l’8 maggio 2019 l’udienza di trattazione del merito. Per inciso, dal deposito documentale effettuato dal Comune il 26 marzo 2019 risulta che il Titolo Unico è stato rilasciato il 3 gennaio 2019.DIRITTO5. Ciò premesso, il ricorso va accolto, nei termini che di seguito si preciseranno.E’ opportuno, per completezza, evidenziare che:- nelle more, il Tribunale ha definito il giudizio di cui al ricorso per ottemperanza n. 422/2017 R.G. (sentenza definitiva n. 626/2018, di cui si dirà infra);- all’odierna udienza pubblica è passato in decisione anche il ricorso n. 603/2017 R.G. con cui X e Y hanno chiesto la condanna del Comune al risarcimento dei danni cagionati loro dal complessivo operato dell’amministrazione. A questo riguardo va altresì evidenziato che, come correttamente osservato da parte ricorrente, la questione relativa alla tempistica di rilascio del Titolo Unico n. 1/2019 non rileva nel presente giudizio, bensì proprio nell’ambito del giudizio introdotto con il ricorso n. 603/2017 R.G., trattandosi di profilo che viene eventualmente in evidenza ai soli fini risarcitori.6. Tornando al merito della controversia, va anzitutto dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il motivo con cui si contesta il fatto che il Comune abbia subordinato il rilascio del Titolo Unico al pagamento della sanzione, e ciò perché, a seguito della pubblicazione dell’ordinanza cautelare n. 188/2018, il Titolo è stato rilasciato (nel merito la doglianza sarebbe comunque da respingere, sia per le ragioni indicate dal TAR Sardegna nella sentenza n. 597/2017, sia per quanto statuito dal Tribunale al paragrafo 5. della sentenza n. 626/2018, laddove si evidenzia che “Trattandosi di pratica che è stata trattata unitariamente con la procedura SUAP, i suddetti titoli sono destinati a confluire nel Titolo autorizzativo unico…”).7. Infondato è invece il motivo sub b), nella parte in cui si deduce la violazione/elusione del giudicato formatosi sulle sentenze n. 711/2016 e n. 856/2017, visto che, come il Tribunale ha stabilito con la successiva sentenza n. 626/2018 (si veda in particolare il paragrafo 4.5. della citata decisione), nella specie non trovava applicazione l’art. 36 del T.U. n. 380/2001, non essendo l’abuso sanabile per carenza della conformità urbanistica.8. Sono invece fondate le censure con cui si contesta il quantum della sanzione.8.1. Al riguardo, seppure sono da condividere a livello generale le considerazioni espresse dall’Agenzia delle Entrate sia nella relazione di stima trasmessa al Comune e sia negli scritti difensivi, tali considerazioni non si attagliano alla presente fattispecie, dovendosi rilevare una vistosa discrasia fra le premesse e le conclusioni.Ed infatti:- non è in discussione la circostanza che l’Agenzia ha preso a riferimento il valore per mq di immobili a destinazione commerciale e residenziale (concetto che è stato ribadito nella relazione versata in atti dall’Avvocatura erariale in allegato alla memoria di costituzione, dove si evidenzia che l’immobile in parola sarebbe assimilabile ad una tipologia commerciale in un contesto agricolo, e ciò in quanto nei listini immobiliari non compare mai la tipologia “agricola”);- non è nemmeno in discussione il fatto che il manufatto in parola è stato autorizzato ai sensi della L.R. n. 13/1990 (per cui si tratta di manufatto adibito ad attività agricola).Pertanto, non si può condividere il percorso logico-motivazionale seguito dall’Agenzia, anche perché appare abbastanza inverosimile che, seppure non sono stati individuati contratti di compravendita riferiti a manufatti agricoli stipulati negli anni recenti in territorio di M, non esistano analoghi atti di compravendita relativi a immobili ubicati in Comuni del circondario o dell’intera Provincia. Eppure, negli ultimi anni nel territorio pesarese vi è stato un fiorire di aziende agricole in cui si praticano metodi biologici, di agriturismi, country houses e così via.Ma, in ogni caso, non è corretto prendere a riferimento per la stima dell’incremento di valore del manufatto de quo immobili a destinazione commerciale. Va infatti considerato che l’azienda agricola di X è innanzitutto un’azienda produttiva (vocata in particolare alla trasformazione delle olive) e che i locali per la degustazione e la vendita dei prodotti aziendali costituiscono un quid pluris pensato solo nell’ottica della promozione dell’agricoltura biologica, secondo un trend ormai consolidato che caratterizza i settori agricoli “di nicchia”. Questo è confermato dal fatto che, in base al progetto presentato a suo tempo per la sanatoria, l’immobile è destinato ad ospitare un piccolo frantoio per la molitura delle olive direttamente in situ, il che, come è noto, consente all’azienda agricola di produrre un olio extravergine certificato (sul punto si veda la documentazione depositata nell’ambito del coevo giudizio di cui al ricorso n. 603/2017 R.G.).8.2. Per quanto concerne il capo della domanda in cui si chiede al Tribunale di procedere alla corretta determinazione della sanzione, va anzitutto rilevato che la domanda è ammissibile in quanto si tratta di controversia affidata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.Ciò detto il Collegio ritiene che la sanzione vada rideterminata applicando il secondo dei criteri indicati nella perizia di parte a firma dell’ingegner V depositata dai ricorrenti in data 5 settembre 2018.Questo alla luce delle seguenti considerazioni.8.2.1. L’ing. V ha, in sintesi, esposto che:- a fronte dell’impossibilità di ricorrere al metodo sintetico-comparativo per assenza di atti di compravendita da utilizzare come termini di comparazione e dunque di un mercato di riferimento, si possono utilizzare altri criteri aventi ugualmente una valenza oggettiva;- il primo di tali criteri è quello della rendita catastale, calcolata tramite il DOCFA con aggiornamento, rivalutazione e maggiorazione del 5% e del 60%. Questo criterio presenta un elevato grado di oggettività e verificabilità, in quanto è comunemente utilizzato dai notai nella stipula degli atti di compravendita per la individuazione di valori che siano ritenuti congrui dall’Agenzia delle Entrate. Peraltro, lo strumento del DOCFA offre un quid pluris rispetto all’allegato C al D.P.R. n. 138/1998, visto che il D.P.R. riguarda l’estimo catastale solo dei manufatti residenziali mentre il DOCFA permette di stabilire la rendita catastale di tutti i tipi di manufatti e dunque anche quella dei manufatti agricoli. Applicando il criterio della rendita catastale, si giunge a determinare un valore di € 4.158,00 sia per il piano terra che quello interrato, e quindi un valore totale di € 8.316,00 che, moltiplicato per due ai sensi dell’art. 34 del T.U. n. 380/2001, porta ad una sanzione complessiva di € 16.632,00;- in via subordinata, si può utilizzare il medesimo criterio seguito dall’Agenzia delle Entrate, ma con un rilevante aggiustamento. L’Agenzia è partita correttamente da una qualificazione dell’immobile come accessorio agricolo, anche se poi ha utilizzato valori per mq relativi a immobili residenziali o commerciali. In particolare, partendo da un valore di € 1.008,00 al mq, l’Agenzia ha operato una decurtazione pari a un quarto per il locale al piano primo (giungendo così a un valore di €/mq), mentre per il manufatto pertinenziale interrato ha stabilito un valore di €/mq (valore previsto dal D.P.R. n. 139/1998 per i locali di ricovero attrezzi e simili). Il correttivo consiste nell’applicare il valore di €/mq a tutta la porzione dell’immobile oggetto della “sanatoria” (mq 130 circa), e ciò in quanto entrambe le porzioni dell’edificio realizzate in difformità dal titolo abilitativo del 2008 si compendiano in manufatti strumentali all’attività agricola con natura di accessori e ricoveri per attrezzature dell’agricoltura.Applicando dunque il valore di stima di €/mq a entrambi i piani e alle difformità realizzate, si giunge a un importo di complessivi € che, moltiplicato per due, porta ad una sanzione totale pari a €;- in via ulteriormente subordinata, si può far ricorso al criterio del costo di costruzione, con conseguente determinazione di una sanzione pari a €.Il perito di parte elabora anche altri calcoli, dai quali si può però prescindere, in quanto presuppongono l’applicazione al caso di specie dell’art. 36 del T.U. n. 380/2001.8.2.2. Dal punto di vista processuale va anzitutto evidenziato che le amministrazioni resistenti non hanno allegato alcun elaborato tecnico idoneo confutare la citata perizia, essendosi limitate a ribadire la correttezza delle valutazioni svolte dall’Agenzia delle Entrate. Ma poiché il Tribunale non condivide tale valutazione, ne consegue che le allegazioni di parte ricorrente non sono state confutate. In ogni caso, le allegazioni del perito di parte trovano riscontro tecnico e giuridico sia in assoluto sia negli stessi atti istruttori sulla base dei quali è stato adottato il provvedimento impugnato. Il Collegio ritiene pertanto di potersi basare sulla predetta perizia, evitando il ricorso ad una dispendiosa consulenza tecnica d’ufficio, la quale, peraltro, non potrebbe pervenire a risultati sostanzialmente diversi, visto che nella specie il punto controverso riguarda la destinazione urbanistico-funzionale del manufatto edilizio per cui è causa. Infatti gli stessi ricorrenti non contestano l’esattezza dei valori per metro quadrato stimati dall’Agenzia delle Entrate, bensì il fatto che la stessa Agenzia abbia contraddittoriamente ritenuto di attribuire all’immobile in parola una destinazione “commerciale-agricola”, ossia una destinazione che non esisterebbe nello strumento urbanistico di M e che comunque non è quella effettivamente attribuibile al manufatto de quo (e ciò sia perché il Comune aveva a suo tempo autorizzato l’intervento ai sensi della legge regionale n. 13 del 1990, sia perché X ha ottenuto dalla Regione un contributo che è nominalmente finalizzato al sostegno delle attività degli imprenditori agricoli).8.2.3. Nel merito, invece, il Collegio non ritiene anzitutto che nella specie possa trovare applicazione il meccanismo di calcolo DOCFA, in quanto lo stesso ha altre finalità specifiche rispetto a quelle sottese all’art. 34 del T.U. In effetti l’articolo 34 parla di incremento del “…valore venale…” determinato dall’abuso e dunque fa riferimento a quotazioni di mercato, il che è del tutto plausibile visto che si sta parlando di una sanzione che deve comunque avere una sua afflittività e che va ragguagliata al vantaggio sostanziale che l’autore dell’abuso ha ricavato dal suo operato.Né è applicabile il criterio del costo di costruzione, visto che lo stesso art. 34 limita il ricorso a tale criterio ai soli immobili ad uso residenziale.Pertanto appare più corretto far riferimento al criterio numero 2, ossia applicare all’abuso nel suo complesso (il quale, come si è visto, attiene al fatto che i ricorrenti hanno realizzato un piano seminterrato anziché un piano interrato, il che comportato che l’immobile in questione viene a svilupparsi su due piani anziché su uno solo, come prevede invece l’art. 8 della L.R. n. 13 del 1990 e come il Comune aveva stabilito in sede di rilascio del titolo autorizzativo originario) il valore per metro quadrato stimato dall’Agenzia delle Entrate per il solo piano seminterrato, ossia €/mq.La sanzione deve essere pertanto rideterminata in € .9. Alla luce di quanto precede il ricorso va accolto in parte, con conseguente annullamento dell’atto impugnato (nonché degli atti presupposti) e rideterminazione della sanzione in € .Le spese del giudizio si possono compensare anche alla luce della complessità tecnica della vicenda sottostante” (omissis) 

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